E’ possibile incrementare il trattamento accessorio dei dipendenti nella misura in cui si realizzino economie di bilancio derivanti da un utilizzo più efficiente del personale.

Corte dei conti, sezione regionale per il controllo della Toscana, deliberazione n. 86 del 6 settembre 2016; Pres. R. Tabbita, Est. P. Peluffo.

A margine

Due comuni hanno stipulato, ai sensi dell’art. 30 del decreto legislativo 267/2000, una convenzione per la gestione associata di alcune funzioni fondamentali, inclusa quella di polizia municipale. Intendono, ora, affidare la responsabilità di quest’ultimo settore ad un dipendente, se non fosse che così facendo il comune, presso cui è impiegato il dipendente, supererebbe il limite imposto dalla legge di stabilità 2016 in materia di salario accessorio.

L’ente locale decide, quindi, di sottoporre la questione alla Corte dei conti, tenuto anche conto che la strada intrapresa, non solo è imposta dalla legge (art. 14 decreto legge 78/2010, convertito con la legge 122/2010), ma consente di realizzare un risparmio di spesa.

La Corte dei conti, con un parere piuttosto prudente e sibillino, sembra ammettere, a certe condizioni, la deroga al divieto di aumentare la spesa per il salario accessorio, previsto dal comma 236 dell’articolo unico della legge di stabilità per il 2016. Questa disposizione, com’è noto, stabilisce che, nelle more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi della legge delega in materia di riorganizzazione della amministrazioni pubbliche (l. n. 124/2015), “a decorrere dal 1º gennaio 2016 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2015 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio, tenendo conto del personale assumibile ai sensi della normativa vigente”.

Secondo i giudici contabili, la ratio, peraltro già evidenziata dalle SS.RR. della Corte dei conti (deliberazione n. 51/2011 resa in funzione nomofilattica), è da individuare nella volontà del legislatore di “cristallizzare il tetto di spesa relativo all’ammontare complessivo delle risorse presenti nei fondi unici che dovrebbero tendenzialmente essere destinate al trattamento accessorio del personale. … la regola generale voluta dal legislatore è quella di porre un limite alla crescita dei fondi della contrattazione integrativa destinati alla generalità dei dipendenti dell’ente pubblico”.

In altri termini la norma è volta a contrastare una delle principali cause dell’andamento incontrollato e disordinato della spesa di personale e della crescita retributiva complessiva.

I giudici contabili, tuttavia, richiamando anche quanto già affermato dalla Sezione delle autonomie con la deliberazione n. 26/2014, sostengono che: “la sola deroga compatibile con lo spirito del divieto, sarebbe, …, quella fondata su economie di bilancio che scaturissero direttamente da un più efficiente utilizzo del personale, ciò in quanto l’intenzione del legislatore di ridurre la spesa di personale ponendo un freno alle dinamiche del trattamento accessorio si contrappone al favor dello stesso verso politiche di sviluppo della produttività individuale del personale”.

In conclusione, nel caso in esame, la magistratura contabile ritiene che “lasciando inalterato il limite complessivo della spesa destinata al trattamento accessorio da parte di entrambi gli enti, l’incremento del trattamento accessorio dell’ente richiedente è possibile nella misura in cui si realizzino economie di bilancio derivanti da un utilizzo del personale più efficiente”.

Ruggero Tieghi


Stampa articolo