Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4508 del 16 luglio 2014, conferma l’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa in tema di interdittiva prefettiva antimafia.

I giudici di Palazzo spada ritengono che:

– l’interdittiva prefettizia antimafia (cd. interdittiva antimafia “tipica”), prevista dall’art. 4 del d. lgs. n. 490 del 1994 e dall’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (ed oggi dagli articoli 91 e segg. del d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), costituisce una misura preventiva volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;

– l’interdittiva, trattandosi di una misura a carattere preventivo, prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;

– tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità, in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;

– la misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;

– anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;

– il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), dovendo l’informativa antimafia indicare (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti;

– gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento sull’impresa da parte della criminalità organizzata.


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