E’ legittima l’attività extra moenia di una società in house affidataria di servizi pubblici locali.

T.A.R. per la Liguria, sentenza n. 606 del 10 giugno 2016; Pres. R. Pupilella, Est. R. Morbelli.


A margine

Il T.A.R. della Liguria, chiamato a valutare la legittimità di un bando per l’affidamento di un parcheggio pubblico, sviluppa un interessante ragionamento sulla competenza territoriale delle società in house affidatarie di servizi pubblici, giungendo alla conclusione che sifatte società, diversamente da quelle strumentali, possono agire anche extra moenia.

La questione, in sintesi, è la seguente: fino a dove una società in house può operare? entro il territorio di competenza dell’ente locale che la controlla oppure anche oltre?

I giudici amministrativi, dopo aver verificato che lo statuto della società non prevede limitazioni territoriali, si soffermano sul tenore letterale dell’art. 13 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (cosiddetto “Decreto Bersani”), convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, che al primo comma stabilisce: “Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonchè, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. Le società che svolgono l’attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti”.

Secondo i magistrati, la norma stabilisce limitazioni per le società strumentali, ma non anche per quelle in house affidatarie di servizi pubblici locali. Inoltre, anche la normativa comunitaria è intervenuta sul problema, prevedendo all’art. 12 della direttiva 24/2014 che le società in house devono svolgere più dell’80% della propria attività a favore dell’amministrazione controllante. Questa previsione, com’è noto, è stata poi recepita dal nuovo Codice degli appalti e concessioni, nonchè dai decreti legislativi sulle partecipate e sui servizi pubblici locali d’imminente emanazione. Per i giudici amministrativi “consegue, a contrario, che è legittima … la attività extra moenia di una società in house“.

In realtà, questa conclusione non convince appieno, almeno per due ordini di motivi.

Il primo motivo concerne la puntuale distinzione, che i giudici sembrano non rilevare nella sentenza in commento, tra il concetto di “competenza territoriale” della società in house, ossia fino a dove può svolgere la propria attività, e quello differente di “destinatari dei servizi” erogati dalla società ovvero a chi può essere rivolta l’attività della partecipata. La sentenza, richiamando l’art. 13 del “Decreto Bersani”, sembra far riferimento a quest’ultimo aspetto e non a quello che concerne la territorialità, infatti, la citata disposizione fa divieto alle società strumentali, che com’è noto recano un “oggetto esclusivo”, ossia possono erogare i propri servizi unicamente a favore degli “enti costituenti o partecipanti o affidanti”, di operare sul mercato (dibattuto se questa limitazione incida sulla capacità d’agire o, addirittura, su quella giuridica). Come si può notare la norma non delimita, almeno direttamente, la competenza territoriale della società e, pertanto, non si presta ad essere utilizzata per desumere, come fanno i giudici, che le società in house affidatarie di servizi pubblici possono operare ovunque.

Anche l’art. 12 della direttiva comunitaria del 2014, richiamato sempre nella sentenza, non delimita il perimetro territoriale delle società in house, in quanto il riferimento all’80% attiene ai compiti svolti dalla società; quest’ultima, infatti, deve garantire che l’80% delle sue attività siano riconducibili alla missione che l’ente le ha affidato.

Il secondo motivo è legato, invece, alla nozione di società in house; com’è noto, con questa espressione s’intende una società che, sebbene su un piano formale costituisca un soggetto distinto dall’amministrazione controllante, da un punto di vista sostanziale non lo è, in quanto rappresenta una longa manus dell’amministrazione. Ma stando così le cose, come può la società (al pari di un diverso Servizio dell’amministrazione) operare fuori dal territorio di competenza dell’ente pubblico controllante?

In sintesi, si ritiene che la società l’in house, essendo un modello organizzativo scelto dall’amministrazione per espletare un proprio servizio, debba mantenere le proprie attività entro il territorio di competenza dell’ente pubblico controllante.

Ruggero Tieghi

 


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