Con la recente sentenza n. 129 del 6 giugno 2016, la Corte costituzionale dichiara “l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui non prevede, nel procedimento di determinazione delle riduzioni del Fondo sperimentale di riequilibrio da applicare a ciascun Comune nell’anno 2013, alcuna forma di coinvolgimento degli enti interessati, né l’indicazione di un termine per l’adozione del decreto di natura non regolamentare del Ministero dell’interno”.

Nel giudizio promosso dal T.A.R. del Lazio, la Corte costituzionale ritiene che il citato articolo, contenuto nella “prima spending review”, contrasti con gli artt. 3, 97 e 119 della Costituzione.

L’impugnato art. 16, comma 6, del d.l. n. 95 del 2012, infatti, nel disporre, che per l’anno 2013, la riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio, del fondo perequativo e dei trasferimenti erariali dovuti ai Comuni per un ammontare complessivo di 2.250 milioni di euro, prevede che le quote da imputare a ciascun Comune sono “determinate, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’interno, in proporzione alla media delle spese sostenute per consumi intermedi nel triennio 2010-2012, desunte dal SIOPE“.

Secondo i giudici costituzionali, come già sostenuto in altre pronunce (sentenze n. 65 e n. 1 del 2016, n. 88 e n. 36 del 2014, n. 376 del 2003), le politiche statali di riduzione delle spese pubbliche possano incidere anche sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali; tuttavia, tale incidenza deve, in linea di massima, essere mitigata attraverso la garanzia del loro coinvolgimento nella fase di distribuzione del sacrificio e nella decisione sulle relative dimensioni quantitative, e non può essere tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione (sentenze n. 10 del 2016, n. 188 del 2015 e n. 241 del 2012).

Il ricorso al criterio delle spese sostenute per i consumi intermedi come parametro per la quantificazione delle riduzioni delle risorse da imputare a ciascun Comune può trovare giustificazione solo se affiancato a procedure idonee a favorire la collaborazione con gli enti coinvolti e a correggerne eventuali effetti irragionevoli. Il criterio delle spese sostenute per i consumi intermedi non è dunque illegittimo in sé e per sé; la sua illegittimità deriva dall’essere parametro utilizzato in via principale anziché in via sussidiaria, vale a dire solo dopo infruttuosi tentativi di coinvolgimento degli enti interessati attraverso procedure concertate o in ambiti che consentano la realizzazione di altre forme di cooperazione.

Inoltre, la disposizione impugnata non stabilisce alcun termine per l’adozione del decreto ministeriale che determina il riparto delle risorse e le relative decurtazioni. Un intervento di riduzione dei trasferimenti che avvenisse a uno stadio avanzato dell’esercizio finanziario comprometterebbe un aspetto essenziale dell’autonomia finanziaria degli enti locali, vale a dire la possibilità di elaborare correttamente il bilancio di previsione, attività che richiede la previa e tempestiva conoscenza delle entrate effettivamente a disposizione.


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