Dalla normativa europea e nazionale (e nella giurisprudenza prevalente) risulta che il proprietario del sito contaminato non può essere obbligato al ripristino ambientale senza un’effettiva verifica del coinvolgimento diretto  nella causazione del fenomeno inquinamento, applicando la regola del “più probabile che non”.


Il d.lgs.n. 152 del 2006 stabilisce che l’obbligo di bonifica è in capo al responsabile dell’inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l’onere di individuare e ricercare (articoli 192, 242 e 244 del D.Lgs n. 152 del 2006).

Tale previsione costituisce un’esplicitazione del criterio “chi inquina paga”, principio cardine del diritto ambientale e espressamente richiamato, in materia di bonifica, anche dall’ art. 239 del d.lgs n. 152/2006.

Le stesse disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV, del d.lgs. n. 152/2006 (artt. da 239 a 253) operano, infatti, una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell’inquinamento e quella del proprietario del sito, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione.

Con riguardo alla contaminazione dei siti, lo stesso principio è stato ribadito anche in ambito europeo con la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale la quale, al diciottesimo considerando, prevede che “secondo il principio chi inquina paga, l’operatore che provoca un danno ambientale o è all’origine di una minaccia imminente di tale danno, dovrebbe di massima sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione.”

la giurisprudenza – La Corte di Giustizia Europea1 è intervenuta sul punto rispondendo al Consiglio di Stato italiano che l’aveva interpellata, con ordinanza 21/2013, circa la compatibilità delle prescrizioni stabilite dal Titolo V (bonifica dei siti contaminati) del “Codice ambientale”, con la disciplina Ue in materia di danno ambientale (direttiva 2004/35/Ce): secondo la Corte, le norme come il “Codice ambientale” che, nel caso di mancata individuazione del responsabile della contaminazione, non consentono alla P.A. di obbligare il proprietario “incolpevole” del sito a eseguire le misure di prevenzione e di riparazione, sono compatibili con la direttiva 2004/35/Ue.

In tale pronuncia la Corte evidenzia che l’obbligo di accertare un nesso causale tra l’azione dell’operatore e il danno ambientale è sempre richiesto dal regime di responsabilità “soggettiva” previsto dalla direttiva.

La stessa giurisprudenza europea2 ha quindi sottolineato la necessità di effettuare un rigoroso accertamento del nesso di causalità fra il comportamento del “responsabile” ed il fenomeno dell’inquinamento, affermando che tale accertamento deve essere fondato su una adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori.

In ambito nazionale, in termini analoghi, il Consiglio di Stato è intervenuto chiarendo che l’Amministrazione non può imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e bonifica, di cui all’art. 240, comma 1, lett. m) e p), d.lgs. n. 152/2006, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253, stesso d.lgs., in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare3.

Alla luce del sopra descritto quadro normativo e giurisprudenziale, emerge chiaramente che, qualora l’Amministrazione non provi che l’inquinamento riscontrabile nel sito sia imputabile ad un determinato soggetto, a quest’ultimo non potrà essere imposto alcun obbligo di adottare misure di bonifica in un’ottica di recupero del sito.4

Il proprietario del fondo in quanto tale, quindi, non ha di per sé alcun obbligo, ma ha solo la facoltà di messa in sicurezza e bonifica per evitare di subire l’ imposizione di un onere reale nel caso in cui gli interventi vengano effettuati d’ufficio a spese dell’ autorità competente, secondo quanto previsto dagli art 245 e 253 del D.Lgd 152/2006.

Non sempre tuttavia il proprietario può essere escluso dagli obblighi di bonifica.

Per poter coinvolgere il proprietario del sito sarà indispensabile valutare caso per caso la sussistenza o meno di responsabilità esclusiva o anche solo concorrente in capo al medesimo soggetto nella causazione del fenomeno inquinamento e la P.A. avrà tuttavia l’ onere di dimostrare la colpevolezza del proprietario.

Sono indubbiamente plurimi i casi in cui il proprietario non è andato esente dagli obblighi di bonifica perché non ritenuto del tutto estraneo ai predetti doveri.

In un caso trattato dal Consiglio di Stato nell’anno 20095, ad esempio, è stato dimostrato che i rifiuti pericolosi fossero stati depositati sui terreni dei precedenti proprietari del sito da parte di industrie petrolifere, successivamente fallite, che vi svolgevano la propria attività con il consapevole assenso dei proprietari stessi. La prova della conoscenza da parte dei proprietari era costituita da un contratto di locazione stipulato negli anni ’60 fra il dante causa degli attuali proprietari ed una industria chimica e petrolifera, che vi aveva depositato i residui catramosi della propria attività. Osserva il Consiglio che gli attuali proprietari, accettando l’eredità, sono subentrati nel patrimonio del loro dante causa, che era «gravato» di una passività rappresentata dall’obbligo legale di risanare l’area trasformata illecitamente in discarica di rifiuti inquinanti, in ragione di un rapporto di locazione dal cui esercizio il de cuius aveva tratto un “consapevole vantaggio economico”.

Su tale scorta il provvedimento indirizzato agli eredi è stato considerato legittimo.

Sostanzialmente gli stessi criteri sono stati adottati e confermati anni dopo dal TarVeneto6 il quale ha fondato la responsabilità del proprietario affittante sul presupposto che questi era a conoscenza dell’ attività pericolosa che veniva svolta da terzi sul proprio terreno: in caso di attività pericolosa i fenomeni di contaminazione erano conoscibili e prevedibili dal proprietario con l’uso dell’ordinaria diligenza in relazione appunto alla natura dell’attività che vi era stata esercitata e questi mantiene quindi quantomeno un obbligo di verifica sull’operato del conduttore.

In diversa ipotesi, invece, il proprietario locatore è stato ritenuto estraneo da qualsiasi responsabilità.

Il Tar Piemonte,7 ad esempio, ha affrontato la fattispecie della “colpa da rapporto locatizio” in maniera dettagliata e diametralmente opposta ai precedenti orientamenti, ritenendo che non sia ascrivibile al proprietario la responsabilità per culpa in vigilando sul presupposto dell’esistenza di un obbligo di custodia: alcun obbligo di custodia potrà essere considerato sussistente, qualora il bene venga concesso in locazione, con conseguente assunzione del medesimo obbligo da parte del conduttore. Nel caso in specie, il Giudice adito ha osservato che il rapporto di locazione – sulla cui scorta i proprietari dell’area affittata sono stati chiamati a rispondere per colpa – prevedeva l’utilizzazione dell’area quale mero «deposito-parcheggio» di camion e macchine operatrici, che, di per sé, non implica la prevedibile formazione di specifici e peculiari rifiuti.

Conclusione Al fine di coinvolgere il proprietario del fondo non si può quindi prescindere dalla ricerca di tutti i presupposti costitutivi della responsabilità. In particolare, la necessità di verificare il nesso di causalità tra la condotta del responsabile e la contaminazione riscontrata è stata ribadita dalla giurisprudenza amministrativa nazionale anche recentemente, ricordando la possibilità di utilizzare anche in tale ambito la regola probatoria del “più probabile che non”8.


1 Sentenza Corte di Giustizia Europea del 4 marzo 2015, causa C-534/13

2 Sentenza Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24 giugno 2008, n. 188

3 Sentenza Consiglio di Stato Sezione VI, 18 aprile 2011, n. 2376

4 In tal senso ricordiamo la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione VI, 18 aprile 2011, n. 2376).

5 Sentenza Consiglio di Stato Sezione V n. 1826 del 2009

6 Sentenza Tar veneto n.1347 del 28.10.2014

7 Sentenza Tar Piemonte, Sez II, 15 aprile 2010, n. 1901

8. Sentenza 6 marzo 2015 il Tar Marche.


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