Quando si parla di attività lavorative comportanti un rischio di esposizione alle fibre di amianto, gli addetti ai lavori, già da qualche anno, hanno familiarizzato con l’acronimo “ESEDI” ovvero “Emissioni Sporadiche E di Debole Intensità”.

Il termine “ESEDI” compare inizialmente nel testo del d.lgs. 25 luglio 2006, n. 257 (curiosa la casualità del numero del provvedimento, che coincide con quello della legge nazionale sulla cessazione dell’impiego dell’amianto, emanata nel 1992), che introduce nel corpo del Decreto Legislativo n. 626 del 1994  il Titolo VI-bis “Protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all’esposizione ad amianto”, poi confluito senza particolari modifiche nel Capo III del Decreto Legislativo n. 81/2008.

Obbligo valutazione rischi – L’articolo 249 del d.lgs. n. 81/2008  impone al datore di lavoro l’obbligo di valutare i rischi dovuti alla polvere proveniente dall’amianto e dai materiali contenenti amianto, al fine di stabilire la  natura e il grado dell’esposizione e le conseguenti misure preventive e protettive da attuare.

Si può parlare di “Emissioni Sporadiche E di Debole Intensità” in presenza di un’esposizione all’amianto del lavoratore inferiore a 0,1 fibre per centimetro cubo di aria, misurata come media ponderata nelle otto ore; in questo caso il datore di lavoro non soggiace all’obbligo di notifica dei lavori, di riduzione al minimo dell’esposizione dei lavoratori alla polvere derivante dall’amianto o dai materiali in cui esso è contenuto, alla sorveglianza sanitaria dei lavoratori e all’iscrizione dei lavoratori nel registro degli esposti.

Il comma 2 del predetto articolo fornisce inoltre un breve elenco di attività considerate “ESEDI”, a condizione che risulti chiaramente dalla valutazione dei rischi che il valore limite di esposizione all’amianto non viene superato nell’aria dell’ambiente di lavoro, ovvero:

  1. brevi attività non continuative di manutenzione durante le quali il lavoro viene effettuato solo su materiali non friabili;
  2. rimozione senza deterioramento di materiali non degradati in cui le fibre di amianto sono fermamente legate ad una matrice;
  3. incapsulamento e confinamento di materiali contenenti amianto che si trovano in buono stato;
  4. sorveglianza e controllo dell’aria e prelievo dei campioni ai fini dell’individuazione della presenza di amianto in un determinato materiale.

La circolare – Allo scopo di disciplinare le attività “ESEDI” la Direzione Generale della Tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in data 25 gennaio 2011 emana la Circolare prot. 15/SEGR/0001940.

In questo documento, all’allegato 1, viene ampliato l’elenco delle tipologie di attività “ESEDI” (ritenuto indicativo e non esaustivo) che passano da quattro a quindici.

Viene stabilito che, per essere considerata “ESEDI”, l’attività deve essere effettuata per un massimo di  60  ore/anno, per non più di  4  ore per singolo intervento e non più di 2  interventi al mese, impegnando in modo diretto al massimo 3  lavoratori contemporaneamente.

Come vedremo in seguito, questa Circolare apparentemente “innocua” nasconde invece una “rivoluzione copernicana” condensata in sei righe di testo, che si ripercuote pesantemente sia sulla normativa ambientale che sulla normativa speciale emanata a suo tempo dal Ministero della Sanità in materia di amianto.

Vediamo in particolare il paragrafo in questione.

Nell’elenco all’Allegato 1  alla circolare compaiono fra le altre le seguenti attività:

  • applicazione di prodotti inertizzanti in elementi di impianto contenenti MCA non friabile in buone condizioni (ad es. rivestimenti di tubature);
  • attività di conservazione dell’incapsulamento con ripristino del ricoprente;
  • rimozione di vasche e cassoni per acqua, o al massimo di 10 mq di lastre poste all’interno di un edificio o mattonelle in vinil amianto, qualora questi manufatti possano essere rimossi dalla loro sede senza dover ricorrere a rotture degli stessi;
  • raccolta di piccoli pezzi di MCA non friabile caduto o disperso a seguito di eventi improvvisi, per l’equivalente non superiore a 10 mq;
  • interventi di incapsulamento e confinamento di MCA che si trovano in buono stato di conservazione attuati senza trattamento preliminare.

L’introduzione della definizione di attività “ESEDI” nel contesto della normativa posta a tutela della salute dei lavoratori, recante alcune semplificazioni amministrative connesse alla ridotta esposizione alle fibre di amianto, di per sé non ha posto particolari problemi dal punto di vista della normativa ambientale, almeno fino all’emanazione della Circolare in questione.

La faccenda si complica nel momento in cui si cerca di leggere il contenuto della Circolare alla luce di quanto previsto dal Testo Unico Ambientale e dalla normativa speciale sull’amianto, norme espressamente fatte salve nelle premesse del documento.

L’elenco dei destinatari della Circolare è alquanto corposo ma, scorrendoli tutti, guardacaso non compare il Ministero dell’Ambiente. Semplice svista?

Ma andiamo per gradi.

Nel 1994 il Ministero della Sanità, in attuazione degli articoli 6, comma 3 e 12, comma 2 della Legge n. 257/92, emana il D.M. 6 settembre 1994, nel quale vengono elencate  normative e metodologie per la valutazione  del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie.

Al paragrafo 3 vengono elencati i metodi di bonifica dei materiali contenenti amianto (MCA), ovvero:

  • Rimozione, ovvero l’eliminazione dei MCA ed il loro smaltimento come rifiuto pericoloso;
  • Incapsulamento, ovvero il trattamento dei MCA con prodotti penetranti/ricoprenti;
  • Confinamento, ovvero l’installazione di una barriera a tenuta che separi fisicamente i MCA con l’ambiente esterno o interno all’edificio.

Lo stesso Ministero della Sanità, al fine di disciplinare tecnicamente gli interventi di bonifica tramite “incapsulamento”, emana il D.M. 20 agosto 1999 (successivamente modificato con Decreto 25 luglio 2001).

Semmai sorgesse il dubbio se gli interventi di “incapsulamento” siano da ritenersi attività di “bonifica” di beni contenenti amianto, il Decreto in più punti lo sottolinea.

  • Allegato 2 : “Il presente disciplinare regolamenta requisiti prestazionali minimi dei rivestimenti incapsulanti, i protocolli di applicazione e gli adempimenti che si rendono obbligatori per eseguire correttamente gli interventi di bonifica di manufatti in cemento amianto in conformità a quanto previsto dall’art. 3 del decreto ministeriale 6 settembre 1994”;
  • Tabella 2 – Incapsulamento : “Il committente appalta l’opera di bonifica ad un’impresa con idonei requisiti” …… “Richiede all’impresa di bonifica l’attestazione della conforme esecuzione dei lavori” ….. “Impresa di bonifica – Ditta specializzata operante nel rispetto delle disposizioni vigenti in attesa dell’istituzione dell’Albo di cui all’art. 12 comma 4 Legge 257/92

Già il primo “Decreto Ronchi” nel 1997 prevedeva, all’art. 30, l’iscrizione all’Albo delle Imprese che effettuano la gestione dei rifiuti per coloro che intendevano svolgere attività di bonifica dei beni contenenti amianto.

L’articolo 1 del D.M. n. 406/98  istituì, presso il Ministero dell’Ambiente, l’Albo delle Imprese che effettuano la gestione dei rifiuti. L’articolo 2 articolava il suddetto Albo in Sezioni Regionali, aventi sede presso la Camera di Commercio capoluogo di Regione.

La piena operatività della categoria 10 dell’Albo (bonifica dei beni contenenti amianto), a sua volta suddivisa in sotto-categorie A e B, si raggiungeva nell’aprile 2004 con l’entrata in vigore del provvedimento recante le modalità e gli importi delle garanzie finanziarie prestate a favore dello Stato dalle imprese operanti.

Da questa data, le imprese che intendono dedicarsi alle attività di bonifica di beni contenenti amianto devono obbligatoriamente ottenere la preventiva iscrizione alla categoria 10 dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali.

L’esercizio di tale attività in assenza di iscrizione costituisce violazione all’articolo 212, comma 5 del d.lgs. n. 152/2006 che è sanzionata penalmente dal successivo articolo 256, comma 1 lettera b)  con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da 2600 a  26000 euro.

A questo punto, sorgono alcuni interrogativi.

Le questioni interprettivi – E’ logico ritenere che le attività “ESEDI”, previste e disciplinate all’interno della normativa sulla tutela della salute dei lavoratori, siano intese come sporadiche ed occasionali e svolte da lavoratori non professionalmente dedicati nello specifico a tali mansioni in maniera continuativa, ovverossia lattonieri, idraulici, manutentori, muratori o altri.

La Circolare prot. 15/SEGR/0001940 del 2011, tuttavia, elenca tout court una serie di specifiche attività di bonifica, così come definite dai Decreti del Ministero Sanità del 6 settembre 1994 e del 20 agosto 1999, ammettendo la possibilità che interventi di bonifica di beni contenenti amianto possano essere effettuati anche da figure professionali quali meccanici, elettricisti, lattonieri, muratori, idraulici.

E questo cosa significa? Che tali figure professionali possono operare queste attività senza iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali in categoria 10, o che devono comunque iscriversi?

Oppure basta solamente una “formazione sufficiente ed adeguata” impartita ai sensi dell’art. 258 del Testo Unico sulla Sicurezza?

E questo non è il solo dubbio che si pongono gli addetti ai lavori.

Facciamo un primo esempio pratico.

Un’impresa di lattoneria effettua un trattamento di incapsulamento di una copertura di lastre di eternit di 100 metri quadrati. Essendo considerata attività “ESEDI”, in applicazione della Circolare predetta,  non viene notificato l’intervento all’organo di vigilanza (SPSAL).

In primo luogo, sia il D.Lgs. n. 81/2008  che la Circolare prot. 15/SEGR/0001940 del 2011 stabiliscono che un’attività di incapsulamento “ESEDI” può essere svolta solo su materiali “in buono stato, senza tuttavia chiarire cosa si intende per “buono stato”.

  • Il decreto del Ministero della Sanità del 6 settembre 1994, nel paragrafo 2 “Valutazione del rischio”, suddivide i MCA in “integri” o “danneggiati”, prevedendo l’esecuzione di operazioni di bonifica solamente per i materiali “danneggiati”.

Buono stato” significa forse “Integro”?

Esistono lastre in eternit che, a distanza di decenni dalla loro posa in opera su coperture esposte agli agenti atmosferici,  presentino una superficie in buono stato, ovvero integra?

Faccio la domanda e mi do la risposta: assolutamente no.

Studi assolutamente attendibili sull’erosione delle coperture in eternit hanno evidenziato che la liberazione di fibre amiantifere dovuta alla corrosione e al deterioramento della matrice cementizia avviene già dopo pochi mesi, per diventare imponente dopo  5 / 10 anni di esposizione.[1]

Come previsto dall’articolo 249 del D.Lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro dell’impresa di lattoneria ha l’obbligo di valutare i rischi dovuti alla polvere proveniente dall’amianto e dai materiali contenenti amianto, al fine di stabilire la  natura e il grado dell’esposizione e le conseguenti misure preventive e protettive da attuare. In caso di copertura danneggiata, anche solo per l’ammaloramento dovuto alla naturale esposizione agli agenti atmosferici, non sarebbe quindi un’ attività “ESEDI”.

  • Se non vi è l’obbligo di notifica preliminare dei lavori, quale soggetto verifica che il trattamento sia stato effettuato per non più di quattro ore continuative? Che non siano stati impiegati più di tre addetti? Che l’impresa abbia rispettato il limite di 60 ore annuali?
  • In base al D.M. Sanità 20.08.1999, a termine dei lavori di incapsulamento il responsabile dei lavori dell’impresa di bonifica deve rilasciare un’attestazione di regolare esecuzione di lavori dove deve attestare: gli spessori del rivestimento incapsulante secco, indicando i metodi per la loro misura, indicare i diversi colori delle ultime due mani del rivestimento incapsulante e la durata minima del trattamento. Il documento può essere rilasciato dal responsabile dell’impresa di lattoneria, se la ditta non è iscritta all’Albo come impresa di bonifica amianto?
  • Se, analogamente, il trattamento svolto è di “conservazione dell’incapsulamento con ripristino del ricoprente” (altra attivita ESEDI) chi certifica la regolarità dell’intervento?
  • Le attività ESEDI, come stabilisce il comma 2 dell’art. 249 del D.Lgs. n. 81/2008, sono esentate dall’applicazione dell’art. 251, comma 1 stesso Decreto.

Fra le misure di prevenzione e protezione, citate al comma 1, che possono essere disapplicate, figurano:

  • L’obbligo di stoccare e trasportare l’amianto o i materiali che rilasciano polvere di amianto o che contengono amianto in appositi imballaggi chiusi;
  • L’obbligo di raccogliere e rimuovere i rifiuti dal luogo di lavoro il più presto possibile in appropriati imballaggi chiusi su cui sarà apposta un’etichettatura indicante che contengono amianto;
  • L’obbligo di trattare detti rifiuti in conformità alla vigente normativa in materia di rifiuti pericolosi.

La svista appare quantomeno paradossale, posto che trattasi di fattispecie penalmente sanzionabili ai sensi del Testo Unico Ambientale, se non correttamente adempiute.

Secondo esempio pratico.

Un evento improvviso ha causato la caduta e frantumazione di 10 mq di lastre di eternit da un piccolo magazzino attrezzi. Un impresa edile sostituisce la copertura e provvede alla raccolta dei piccoli pezzi caduti o dispersi, previo incapsulamento. Essendo considerata attività “ESEDI”, in applicazione della Circolare predetta, non viene notificato l’intervento all’organo di vigilanza (SPSAL).

La Circolare, in questo caso, contraddice se stessa.

  • Questo particolare tipo di attività ESEDI è elencato all’allegato 1, paragrafo b) della Circolare prot. 15/SEGR/0001940, intitolato “Rimozione senza deterioramento di materiali non degradati in cui le fibre di amianto sono fermamente legate ad una matrice”.

Come possono le fibre di amianto di un materiale già frammentato essere fermamente legate alla matrice?

Da ultimo appare quantomeno sconcertante l’utilizzo di termini fuorvianti ed assolutamente errati, specie trattando un argomento così delicato come l’esposizione all’amianto.

Esempio lampante è l’utilizzo del termine “applicazione di prodotti inertizzanti in elementi di impianto contenenti MCA non friabile in buone condizioni” nell’Allegato 1, paragrafo a).

Il termine “inertizzante” è errato in quanto i prodotti incapsulanti, siano essi penetranti o ricoprenti, non inertizzano per nulla l’amianto in quanto l’incapsulamento è un trattamento finalizzato alla sola riduzione del rilascio di fibre.

L’unico trattamento che “inertizza” l’amianto, rendendo nullo il rischio ad esso correlato, è quello previsto dal D.M.248/2004,  ovvero tramite la trasformazione cristallochimica dell’amianto ad alte temperature e pressioni elevate.

In ultima analisi, sarebbe quantomeno auspicabile un chiarimento da parte dei competenti Ministeri, al fine di armonizzare e chiarire le normative in questione, evitando nel contempo pericolose manipolazioni da parte di soggetti che, approfittando della situazione di poca chiarezza, andrebbero ad esercitare attività di sicuro impatto ambientale e sulla salute umana, ponendosi oltretutto in regime di concorrenza sleale nei confronti delle imprese di bonifica regolarmente iscritte all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, obbligate al rispetto di precisi requisiti e alla prestazione di importanti garanzie in termini patrimoniali.

dottore Daniele Grandesso – Tecnico della Prevenzione


[1]La erosione delle coperture in cemento amianto: una importante sorgente di inquinamento ambientale” G. Chiappino, L. Venerandi, in La Medicina del Lavoro 1991;82,2:99-121


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