Il Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” contiene alcune disposizioni in materia ambientale. Il decreto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 giugno, contiene diverse novità in materia di terre e rocce da scavo,  matrici materiali da riporto, acque sotterranee emunte e autorizzazione paesaggistica.

1. Terre e rocce da scavo

Viene nuovamente modificata la disciplina in materia di terre e rocce da scavo.

Attraverso l’introduzione di un nuovo comma 2-bis all’articolo 184-bis del D. Lgs. 152/2006 (sottoprodotto), si circoscrive l’applicazione del D. M. 10 agosto 2012, n. 161 “Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo” ai soli casi di terre e rocce da scavo provenienti da attività o opere soggette a valutazione d’impatto ambientale o autorizzazione integrata ambientale.

Viene esclusa dal campo di applicazione del D. M. 161/2012 anche l’immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e di posa in mare di cavi e condotte (articolo 109 del D. Lgs. 152/2006).

Il Regolamento è stato emanato in attuazione dell’art. 49 del D. L. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012 n. 27 “l’utilizzo delle terre e rocce da scavo è regolamentato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti”.

Con l’entrata in vigore del Regolamento è stato abrogato l’art. 186 del D. Lgs. 152/2006.

Conseguentemente, le terre e rocce da scavo che non rientrano nel campo di applicazione del decreto ministeriale sono pertanto da considerare sottoprodotti e non rifiuti, secondo i principi generali, se il produttore dimostra che sono destinate direttamente all’utilizzo in un determinato ciclo produttivo nello stesso sito o in un altro luogo, che non contengono fonti di contaminazione, che l’utilizzo in un successivo ciclo di produzione non determina rischi per la salute e che non è necessario sottoporle ad alcun trattamento preventivo, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere.

2. Matrici materiali di riporto

Le matrici materiali di riporto sono escluse — al pari del suolo — dalle norme in materia di rifiuti in base a quanto stabilito dall’articolo 185 del D. Lgs. 152/2006, con la  modifica all’articolo 3 del D. L.  2/2012 che ne contiene l’interpretazione autentica.

Tale interpretazione viene integrata precisando che le matrici materiali di riporto sono costituite “da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito e utilizzati per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri”.

Attraverso la sostituzione dei commi 2 e 3, la norma stabilisce a livello applicativo che le matrici, ai fini dell’esclusione dalla normativa sui rifiuti, devono essere sottoposte a test di cessione sui materiali granulari, ai sensi del D. M 5 febbraio 1998 e ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee.

Nel caso i test risultino conformi ai limiti del testo di cessione, le matrici devono comunque rispettare la normativa in materia di bonifica dei siti contaminati. Se invece sia rilevata la non conformità le matrici vanno considerate fonti di contaminazione che devono essere rese conformi, oppure rimosse, oppure sottoposte a messa in sicurezza permanente.

3. Gestione acque sotteranee emunte

Viene riformulato l’art. 243 del D. Lgs. 152/2006 sulla gestione delle acque sotterranee emunte che risolve anche il problema sulla qualità giuridica delle acque emunte quali rifiuti liquidi o scarichi.

 Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre alla eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile e economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalità generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti dalla Parte III del presente decreto.

Gli interventi di conterminazione fisica o idraulica con emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate, sono ammessi solo nei casi in cui non è altrimenti possibile eliminare, prevenire o ridurre a livelli accettabili il rischio sanitario associato alla circolazione e alla diffusione delle stesse. Nel rispetto dei principi di risparmio idrico di cui al comma precedente, in tali evenienze deve essere valutata la possibilità tecnica di utilizzazione delle acque emunte nei cicli produttivi in esercizio nel sito stesso .

Negli altri casi, l’immissione di acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura deve avvenire previo trattamento depurativo da effettuarsi presso apposito impianto di trattamento delle acque di falda o presso gli impianti di trattamento delle acque reflue industriali esistenti ed in esercizio in loco, che risultino tecnicamente idonei.

Le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di dette acque con il punto di immissione delle stesse, previo trattamento di depurazione, in corpo ricettore, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico e come tali soggette al regime di cui alla Parte III del presente decreto.

Ai soli fini della bonifica delle acque sotterranee, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte. Il progetto deve indicare la tipologia di trattamento, le caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di messa in sicurezza della porzione di acquifero interessato dal sistema di estrazione/reimmissione.

Le acque emunte possono essere reimmesse, anche mediante reiterati cicli di emungimento e reimmissione, nel medesimo acquifero ai soli fini della bonifica dello stesso, previo trattamento in idoneo impianto che ne riduca in modo effettivo la contaminazione, e non devono contenere altre acque di scarico né altre sostanze.

4. Autorizzazione paesaggistica

Nel caso in cui la soprintendenza non renda il parere di compatibilità paesaggistica del progettato intervento entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, non è più richiesta la convocazione della conferenza di servizi di cui all’art. 149 comma 9 del Codice, ma l’Amministrazione può provvedere direttamente sulla domanda di autorizzazione.


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