Il 15 febbraio 2013 il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il testo del discusso decreto legislativo recante il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, previsto dall’articolo 1, comma 35, della legge 6 novembre 2012, n.190 , più nota come “ legge anticorruzione” (sullo stesso argomento, vedi in questa Rivista A. Frigo, Il decreto “trasparenza”  sugli obblighi di pubblicità delle p.a.  accoglie i suggerimenti del Garante  sulla privacy) .

Il provvedimento aveva iniziato il suo iter il 22 gennaio con l’approvazione preliminare da parte dello stesso organo. Successivamente, sul testo si era aperta un’ampia discussione pubblica, soprattutto ad opera di associazioni che da tempo si battono per l’adozione di una compiuta legge sulla trasparenza in Italia, sulla scorta dei “Freedom of Information Acts” di matrice anglosassone.

A livello istituzionale il provvedimento è stato, altresì, oggetto di esame da parte della Conferenza unificata, ai sensi dell’art. 9 comma 3 del dlgs. 281/1997, e da parte dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, per le ovvie implicazioni in tema di privacy

Proprio quest’ultima Authority si è pronunciata in maniera molto dettagliata sul testo (cfr. parere 7 febbraio), nell’intento dichiarato di contribuire in maniera sistematica al bilanciamento dei valori costituzionali, parimenti fondamentali, della trasparenza, della riservatezza degli individui e della protezione dei loro dati personali, soprattutto nell’ipotesi delicatissima, oggetto di disciplina, della diffusione di informazioni on-line.

E, in effetti, bisogna dare atto che, a quanto sembra, (la bozza ufficiale del provvedimento – quasi un ossimoro per un provvedimento in materia di trasparenza – non è ancora stata diffusa) il testo definitivo approvato il 15 febbraio recepisce la maggior parte dei rilievi formulati dal Garante della Privacy.

Finalità e impianto del provvedimento

La finalità esplicite del provvedimento si rinvengono facilmente nella legge delega. Il legislatore, nell’ambito dell’impegnativo impianto della legge anticorruzione, entro la quale gli obiettivi di trasparenza assurgono a un ruolo centrale nell’azione di argine delle male pratiche amministrative e di moralizzazione dell’attività pubblica, delega il governo ad assumere un provvedimento, da un lato, ricognitivo delle disposizioni che, nel corso degli anni, hanno introdotto obblighi di pubblicazione, dall’altro innovativo del quadro giuridico esistente, mediante la previsione di nuove forme di pubblicità obbligatoria, dei termini minimi di pubblicazione delle informazioni e soprattutto di nuove responsabilità e sanzioni per il mancato, ritardato o inesatto adempimento degli obblighi.

Di più, il legislatore sembra mosso dall’ambizioso intento di ridefinire in radice la stessa connotazione della trasparenza amministrativa, radicalizzando ulteriormente, certamente anche sulla scorta delle pressioni provenienti dalla società civile e dall’emergere di nuovi fatti corruttivi, la sua funzione di controllo generalizzato e diffuso sull’attività delle amministrazioni, oltre a quella di strumento di accountability sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

La nozione di trasparenza così definita viene addirittura assurta a strumento utile ad attuare i principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza, integrità e lealtà nel servizio alla nazione.

La trasparenza integra, in tale modo, per esplicita previsione dell’art. 1, il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di un’amministrazione al servizio del cittadino.

La trasparenza si configura, così – ormai pienamente – come un diritto soggettivo, riservato al cittadino in quanto tale, cui è riconosciuto esplicitamente nel decreto il diritto all’ “accesso civico”, sorta di azione popolare che permette al “quidam de populo”, nelle ipotesi in cui l’amministrazione sia stata negligente nella diffusione di alcune informazioni, di richiedere – senza formalità e senza bisogno di una legittimazione-  particolare i documenti omessi.

È questo probabilmente il punto di maggior contatto con i Freedom of information act, chiesti a gran voce, come si diceva, da una significativa parte della società civile; anche se, vi è da dire, e non senza delusione da parte di alcuni, rimangono non poche difformità: prima su tutte, l’ampiezza del diritto a conoscere che, nei paesi anglosassoni, riguarda tutte le informazioni dell’amministrazione, nell’impianto del decreto esclusivamente quelle oggetto di obbligo di pubblicazione.

I nuovi obblighi di pubblicazione

Come già nella disciplina previgente, centro nevralgico degli obiettivi di trasparenza delle amministrazioni rimane il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità, che, per esplicita previsione “definisce misure, modi e iniziative volti all’attuazione degli obblighi di pubblicazione”.

Peraltro, il Piano diviene ora, nelle previsioni del legislatore, una sezione del Piano di prevenzione della corruzione, di cui all’art. 1 comma 5 della legge 190/2012, e il Dipartimento per la Funzione Pubblica auspica, nella circolare 1/2013, che i Responsabili della trasparenza e della prevenzione della corruzione coincidano nel medesimo soggetto, a testimonianza, se ancora ce n’era bisogno, della strettissima interrelazione tra i due ambiti.

Una reale e anche mediaticamente discussa novità riguarda gli obblighi di pubblicazione concernenti i componenti di indirizzo politico. La disciplina previgente infatti, posta dal D.lgs. 150/2009, prevedeva, in capo agli stessi, un sintetico obbligo di diffusione di “curricula e retribuzioni”. La nuova formulazione prevede molto più ampiamente la necessità di informare la collettività sui compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica, compresi gli importi di viaggi e missioni, i compensi ricevuti a seguito dell’assunzione di altre cariche, e la necessaria diffusione dei dati di cui alla legge 5 luglio 1982, n. 441, obbligo esteso a tutti gli enti territoriali, compresi i comuni fino a 15.000 abitanti, oltre che rivolto anche al coniuge e ai parenti fino al secondo grado, qualora vi consentano.

La sanzione per la mancata pubblicazione comporta una multa da 500 a diecimila euro. I dati devono essere pubblicati entro tre mesi dalla elezione o dalla nomina e per i tre anni successivi dalla cessazione del mandato.

Necessariamente on-line devono reperirsi anche gli atti dei procedimenti di approvazione dei piani regolatori e delle varianti urbanistiche e, in materia sanitaria, i dati relativi alle nomine dei direttori generali.

Regioni e province devono pubblicare i rendiconti dei gruppi consiliari, mettendo in evidenza le risorse trasferite a ciascun gruppo e indicando il titolo di trasferimento e l’impiego delle risorse. La mancata pubblicazione comporta il taglio del 50% dei trasferimenti annuali.

Le amministrazioni pubbliche sono altresì obbligate a rendicontare ai cittadini la spesa sostenuta per il personale amministrativo, sia di ruolo che a tempo determinato e gli incarichi e le consulenze esterne, già oggetto di pubblicità ai sensi della legge 244/2007, sono assoggettate ad una disciplina analoga a quella prevista dall’art. 18 della legge 134/2012 (diffusione del curriculum del soggetto, estremi dell’atto di conferimento, ecc. ).

Proprio in merito alle previsioni di cui all’art. 18 della legge 134/2012, e alla sua possibile abrogazione da parte del decreto, si sono scagliate le proteste, anche intense, di diverse associazioni impegnate sul tema della trasparenza.

In realtà, nonostante l’abrogazione esplicita vi sia, il testo dell’art. 26 richiama, anche testualmente nella rubrica, la disposizione abrogata, temperandone solamente la portata, su indicazione del Garante per la privacy, con la previsione dell’esclusione “della pubblicazione dei dati identificativi delle persone fisiche destinatarie dei provvedimenti, qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative allo stato di salute ovvero allo situazione di disagio economico-sociale degli interessati”.

Infine, nella sezione riservata agli obblighi di pubblicazione in settori speciali, emerge l’ampliamento di quanto già previsto, in tema di oneri informativi, da alcune discipline di settore, con specifico riferimento agli obblighi di pubblicità on-line in materia di opere pubbliche (art. 38) e contratti pubblici (art. 37) e agli interventi straordinari e di emergenza che comportano deroghe alla legislazione vigente (art. 42) .

Le modalità di pubblicazione e l’apparato sanzionatorio

L’art. 7 del decreto sancisce l’obbligo di pubblicazione delle informazioni in formati di tipo aperto, ai sensi dell’art. 68 del Codice dell’amministrazione digitale.

Per la verità, l’originaria formulazione (“i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione costituiscono dati di tipo aperto e sono liberamente riutilizzabili secondo la normativa vigente”), ha subito un opportuno temperamento ad opera dell’Autorità Garante per la Privacy, in particolar modo per quanto riguarda la disciplina del riutilizzo.

La nuova formulazione correttamente ora inquadra la problematica del riutilizzo delle informazioni nell’ambito di quanto previsto dal decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36 che, recependo quanto stabilito in sede comunitaria dalla direttiva 2003/98/CE, prevede limiti e condizioni al riutilizzo dei documenti e fa salva espressamente la disciplina sulla protezione dei dati personali.

Particolare attenzione riserva il provvedimento al tema della qualità delle informazioni, di cui ci si premura di raccomandare la completezza, la tempestività, la semplicità di consultazione, la facile accessibilità, nonché la conformità ai documenti originali in possesso dell’amministrazione. Quest’ultima cosa, assai strana, per l’affidabilità degli archivi pubblici nel sistematico e spesso duale rapporto tra documenti tradizionali e documenti digitali!

Articolato è, come accennato, l’apparato sanzionatorio che il legislatore ha definito a sostegno delle nuove disposizioni.

L’art. 46 prevede che l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione e la mancata predisposizione del Programma Triennale per la trasparenza costituiscono fonte di responsabilità dirigenziale ed eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione.

In quest’ambito, si è introdotta, peraltro, nei confronti del Responsabile della trasparenza, una sorta di inversione dell’onere della prova, stabilendo che lo stesso risponda dell’inadempimento a meno che non provi che questo sia dipeso da causa a lui imputabile.

L’art. 47 invece pone ulteriori sanzioni rivolte testualmente “a casi specifici”, fra le quali la già menzionata sanzione pecuniaria prevista per la mancata o incompleta pubblicazione dei dati relativi agli organi di indirizzo politico, e la sanzione  pecuniaria che assiste l’obbligo di pubblicazione dei dati relativi agli enti e società di partecipazione pubblica.

Serena Bussani  – Gianni Penzo Doria

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