Ove le diverse parti di un contratto di concessione in uso di un teatro comunale non siano oggettivamente o funzionalmente separabili, dal momento che la concessione in uso del bene pubblico implica necessariamente, per la peculiarità del bene affidato, tutta una serie di obblighi funzionali alla gestione del bene stesso, si applica il comma 8 dell’art. 169, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, secondo cui il regime giuridico applicabile deve essere determinato in base all’oggetto principale del contratto in questione.

E’ illegittima l’aggiudicazione della concessione in uso del teatro e dei servizi a questo collegati, essendo stata la deliberazione di indirizzo adottata dalla Giunta comunale e non dal Consiglio comunale

Tar Lombardia, Milano, sez. IV, sentenza n. 2306 del 1° dicembre 2017 – presidente Gabbricci, estensore Lombardi

A margine

Una società impugna il provvedimento con cui, in esito ad apposita gara, un Comune ha affidato in concessione d’uso il teatro lirico comunale per lo svolgimento di attività culturali e di spettacolo.

Tra i motivi di doglianza, la ricorrente contesta l’erroneità della procedura di affidamento prescelta. A suo dire, si tratterebbe, infatti, di una concessione di servizi e non soltanto di una concessione in uso di un bene pubblico.

Da qui la violazione delle norme procedurali stabilite dal codice dei contratti pubblici a cui andrebbe ad aggiungersi un vizio di incompetenza connesso all’adozione della delibera di indirizzo per l’affidamento da parte della Giunta e non del Consiglio comunale.

In via preliminare, il collegio qualifica la concessione in parola alla stregua di una concessione mista, in cui coesistono sia elementi di concessione di servizi che elementi di concessione di lavori, oltre che l’affidamento in uso di un bene pubblico di natura demaniale.

In proposito, il giudice osserva che, secondo l’art. 169 del d.lgs. n. 50/2016, vertendosi in materia contratti aventi ad oggetto sia elementi disciplinati dal codice dei contratti pubblici che elementi non disciplinati dallo stesso, occorre anzitutto verificare se l’amministrazione ha scelto di aggiudicare una concessione unica (comma 6), o se le diverse parti del contratto sono oggettivamente non separabili (comma 8). Nel primo caso, infatti, si applicano le norme del codice dei contratti pubblici, “a prescindere dal valore delle parti cui si applicherebbe un diverso regime giuridico e dal regime giuridico cui tali parti sarebbero state altrimenti soggette”; nel secondo caso, invece, “il regime giuridico applicabile è determinato in base all’oggetto principale del contratto in questione”.

A detta del Tar, nel caso di specie ricorre l’ipotesi di cui al comma 8 dell’art. 169 del d.lgs. n. 50/2016: il collegio constata dunque che l’oggetto principale della concessione mista, connessa all’uso del teatro, è rinvenibile in una concessione di servizio pubblico.

Si tratta infatti della concessione di un bene demaniale con vincolo di interesse culturale, con tipologia di struttura e di destinazione idonee a generare un rilevante flusso di cassa; con gestione di attività essenzialmente svolta a rischio e pericolo del concessionario, commisurata ad un canone variabile da versare al concedente, stabilito in funzione della previsione del consolidamento dei guadagni nell’arco di dodici anni e in ragione del costo di alcuni lavori iniziali.

Nel contratto, tra l’altro, sussistono la previsione di precisi obblighi di condotta e l’imposizione di standards qualitativi, oltre che il mantenimento in capo all’amministrazione concedente di poteri di indirizzo, vigilanza ed intervento, affinché il programma artistico e gestionale approvato in sede di esame dell’offerta tecnica venga poi effettivamente realizzato.

Sulla base di queste considerazioni, trattandosi dell’organizzazione e della concessione di un servizio pubblico, il Tar accoglie la doglianza afferente l’incompetenza relativa.

Non appare infatti sufficiente che il Consiglio comunale, organo direttamente rappresentativo della collettività, si sia occupato delle modalità di gestione del teatro solo nel Documento Unico di programmazione dell’ente, prevedendone la futura messa a bando: col DUP infatti il Consiglio si è limitato alla mera programmazione dell’attività senza dettare la disciplina afferente all’organizzazione del relativo pubblico servizio o alla concessione dello stesso così come previsto dall’art. 42, secondo comma, lett. e) del d.lgs. n. 267/2000.

In altri termini, con la delibera impugnata, la Giunta comunale non ha dato seguito alla “scelta delle modalità attuative della direttiva fissata in sede consiliare” ma ha integralmente e illegittimamente disciplinato l’organizzazione e la concessione del servizio pubblico.

Chiarito ciò, il giudice evidenzia che la procedura avrebbe dovuto comunque essere annullata in quanto svolta al di fuori delle regole imposte dal codice dei contratti pubblici, con lesione diretta e concreta dell’interesse strumentale del concorrente a partecipare ad una gara ad evidenza pubblica conforme alle norme che ne regolano la relativa fattispecie giuridica.

I provvedimenti impugnati vengono quindi annullati.

Stefania Fabris


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