Meno vincoli in materia di spese di personale a seguito dell’approvazione del D.L. 113/2016 convertito nella L. 160/2016, che ha esplicitamente abrogata la previsione contenuta nell’art. 1, comma 557, lett. a) della L. 296/2006.

Tale previsione, in particolare, ai fini del concorso al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, chiedeva agli enti locali di garantire il contenimento della dinamica retributiva ed occupazionale assumendo, in termini di principio, anche l’ambito della «riduzione dell’incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento delle spese per il lavoro flessibile».

L’impatto effettivo della disposizione indicata è stato ritenuto tendenzialmente limitato dall’inizio e per lungo tempo, valorizzando l’esplicita configurazione in termini di “principio” dell’inciso, che avrebbe dovuto condurre ad un’impostazione delle manovre inerenti il personale finalizzata (seppure in modo non cogente) a ridurre progressivamente l’incidenza delle spese di personale sulle spese correnti.

Anche perché, proprio nel medesimo periodo, si era manifestata sempre di più la sostanziale incongruenza di tale norma, che chiedeva di migliorare progressivamente tale rapporto a fronte, però, di un contesto che era orientato nella direzione esattamente opposta.

Per effetto delle politiche di “rigore” richieste agli enti, infatti, la consistenza della spesa corrente si riduceva molto più rapidamente, tenuto conto del carattere di rigidità che normalmente connota la spesa di personale, alla luce soprattutto (ma non solo) dei vincoli normativi esistenti.

L’insieme di tali considerazioni, inoltre, portava ad escludere che il mancato rispetto di tale principio nel tempo, attraverso il peggioramento del rapporto, comportasse l’applicazione di sanzioni di sorta, soprattutto legate al divieto di procedere ad assunzioni di personale. Anche perché la sanzione riportata al comma 557 ter (relativa proprio a quest’ultimo divieto) era stata intesa come riferita esclusivamente all’obbligo di riduzione puntuale della spesa di personale.

Sussistevano, inoltre, alcune incertezze sulle concrete modalità di determinazione quantitativa delle grandezze da prendere in esame, soprattutto a seguito dell’introduzione dell’armonizzazione contabile (in relazione al criterio dell’esigibilità ed in funzione delle possibili reimputazioni), ma anche sulle modalità con cui eseguire il confronto nel corso del tempo, tenuto conto della novità inserita dalla L. 114/2014 che ha imposto (rispetto al limite puntuale) di fare riferimento, in modo non scorrevole, al triennio 2011/2013.

Sul quadro descritto ha avuto, però, un effetto “dirompente” la pronuncia n° 27/2015 della Sezione delle Autonomie della Corte dei Conti, che ha fissato il principio secondo cui le disposizioni indicate, che impongono la riduzione dell’incidenza della spesa di personale rispetto al complesso delle spese correnti, devono considerarsi immediatamente cogenti alla stregua del parametro triennale e la programmazione delle risorse umane deve essere orientata al rispetto anche di tale obiettivo di contenimento della spesa di personale.

Gli enti, quindi, avrebbero dovuto non solo ridurre quest’ultima (in termini puntuali e quindi di valore assoluto) rispetto alla media del triennio 2011/2013 ma altresì, rispetto al medesimo arco temporale di partenza, ridurre l’incidenza della spesa di personale rispetto alle spese correnti.

Tale interpretazione è stata ora superata in via legislativa, così evitando altresì i conseguenti effetti distorti, legati al forte contenimento della spesa corrente derivante dalle croniche difficoltà della finanza locale. Dopo il D.L. 113/2016, pertanto, gli enti locali dovranno “governare”, rispetto al triennio indicato, l’ammontare complessivo, in valore assoluto. della spesa di personale, ma non il rapporto con le spese correnti che, ora, è stato espunto dall’ordinamento.


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