Con un interessante documento concernente “La selezione dei revisori degli enti locali alla luce delle nuove disposizioni normative: un’analisi empirica”, l’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili … offre importanti spunti di riflessione sulla prima applicazione del nuovo criterio (estrazione) di scelta degli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali.

Le conclusioni a cui giunge lo studio non sono certamente positive e proprio a partire da tale valutazione è utile sviluppare alcune consdirazioni, anche di ordine sistematico, in ordine ai nuovi criteri definiti dalla L. 148/2011 per conferire maggiori professionalità, competenza ed indipendenza agli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali ed all’applicazione finora intervenuta.

Esaminando il documento pubblicato si presenta di assoluto interesse l’analisi empirica effettuata che trova sintesi nell’apposita “appendice statistica”, composta da numerose tabelle. Infatti, il nuovo sistema di estrazione dei revisori degli enti locali consente di elaborare una serie di dati e indicatori statistici dai quali, tra l’altro, si evince un’elevata “discriminazione” su base regionale tra gli iscritti relativamente alle possibilità di accesso alla funzione revisionale. In altri termini, la distribuzione degli enti comunali per fascia demografica e degli iscritti all’elenco dei revisori presenta significative asimmetrie regionali che, in taluni casi, rendono tendenzialmente “rarefatta” la possibilità di ricoprire il ruolo di revisore.

Un primo elemento che gioca, in tale contesto, è costituito – ad evidenza – dalla distribuzione dei comuni di prima fascia (con popolazione inferiore a 5.000 abitanti) tra i diversi territori regionali, rilevante come soglia di accesso alla funzione di revisione per i professionisti che non hanno mai assunto incarichi. La media nazionale dimostra un’incidenza della prima fascia del 69,5%, risultante però da un calcolo aggregato che considera anche situazioni molto diversificate. Basti pensare che il Molise esprime un’incidenza del 92% e la Puglia del 33%. In più, regioni simili presentano forti differenze statistiche: in proposito, spicca il dato delle regioni Lombardia e Campania che, rispettivamente, annoverano nella prima fascia 1.086 e 335 comuni a fronte di 1.280 e 2.556 revisori potenziali.

Altro elemento è rappresentato dal numero di iscritti in ciascuna fascia nell’ambito di ogni regione, per cui è possibile considerare (al momento) distintamente il primo ed il secondo elenco che sono stati formati. Nell’ambito del primo elenco svetta la regione Campania, che presenta il maggiore numero di iscritti in tutte e tre le fasce, pari, rispettivamente, a 1.077, 521 e 351. Il minore numero di iscritti, invece, si registra in Molise (per la prima fascia, con 38 revisori) ed in Umbria per le restanti fasce (rispettivamente, 27 e 18 iscritti). La Campania mantiene il record anche nel secondo elenco, con un numero di iscritti rispettivamente pari a 2.556, 988 e 623 unità. Il Molise, ancora, si conferma la regione con meno revisori, questa volta, però, in tutte e tre le fasce (con 199, 116 e 87 iscritti, rispettivamente).

Anche la combinazione dei due dati (afferenti gli enti ed i revisori) evidenzia una situazione fortemente eterogenea nell’ambito dell’intero territorio nazionale. In relazione al primo elenco, il maggiore rapporto tra comuni e revisori sussiste in Piemonte per la prima fascia (rapporto 5,86), in Lombardia per la seconda (1,96) e nel Lazio per la terza (1,06). L’incidenza più sfavorevole, invece, è rispettivamente in Puglia (0,28), in Calabria (0,24) ed in Basilicata (0,11). In relazione al secondo elenco, poi, la situazione più favorevole ai revisori è in Piemonte per la prima fascia (rapporto 1,47), in Lombardia per la seconda fascia (0,54) ed in Puglia per la terza fascia (0,23). Le situazioni opposte, invece, si registrano in Puglia per la prima fascia (0,07) ed in Molise per la seconda e terza fascia (pari allo 0,07 e 0,03).

Sulla base di tali argomentazioni e considerazioni il documento conclude evidenziando che il nuovo sistema di scelta dei revisori negli enti locali genera notevoli asimmetrie strutturali con conseguenze potenzialmente negative. Soprattutto le statistiche relative al secondo elenco evidenziano come le restrizioni operanti per la prima fascia costituiscano di fatto una particolare barriera all’entrata e quindi una forte limitazione all’assunzione di incarichi di revisore in enti locali soprattutto per i giovani professionisti. In particolare, è sottolineato, in proposito, che in alcune regioni, in particolare in quelle meridionali, il rapporto tra comuni disponibili per fascia demografica ed iscritti è prossima allo zero: di conseguenza, la scarsa probabilità di estrazione per chi si colloca in prima fascia contribuisce a delineare un limite importante alla possibilità di svolgere l’attività di revisore degli enti locali, principalmente per coloro che non hanno svolto ancora incarichi.

Pertanto, secondo il documento, il criterio prescelto dell’estrazione, per quanto potenzialmente idoneo ad assicurare l’indipendenza del revisore, comporta il rischio di penalizzare eccessivamente l’investimento professionale, soprattutto da parte dei giovani, nella formazione specificamente rivolta al campo della revisione dei conti negli enti locali.

Peraltro, le considerazioni critiche inerenti il nuovo sistema di selezione degli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali non nascono esclusivamente da una valutazione numerica e quantitativa degli elenchi composti.

Rileva in primis un dato di ordine sistematico che è davvero significativo: gli organi di controllo degli enti locali sono gli unici (insieme a quelli delle regioni), nel panorama pubblico e privato, ad essere selezionati sulla base di un criterio meramente casuale, con una procedura così rigida e definita. Non sono estratti i sindaci delle Aziende Sanitarie Locali, i sindaci delle “partecipate”, i revisori degli enti pubblici regionali, degli enti pubblici nazionali e, tantomeno, i sindaci delle aziende private. In alcuni casi, anzi, neppure di provvede alle nomine con procedure ad evidenza pubblica.

Tale elemento è particolarmente indicativo se letto alla luce di tre considerazioni che presentano rilevanti. Da una parte, non si può certamente negare che anche nelle altre realtà citate (ivi incluse le aziende private) sussistano, a fortiori, le medesime esigenze che hanno determinato il cambiamento dei criteri di scelta dei revisori nell’ambito degli enti locali. Dall’altra parte, rileva la circostanza che gli organi di revisione economico-finanziaria hanno il vincolo (contrariamente a moltissime delle fattispecie ricordate) derivante dalla possibilità di essere rieletti una sola volta, dopo la quale scatta il divieto di assumere nuovamente l’incarico (se non dopo un periodo ragionevolmente lungo secondo talune pronunce giurisprudenziali). Da altro punto di vista ancora, va segnalata la circostanza che, per effetto delle disposizioni recate dalla L. 266/2005, gli organi di revisione degli enti locali costituiscono gli interlocutori privilegiati delle Sezioni Regionali di Controllo della Corte dei Conti, a cui devono inoltrare appositi questionari sul bilancio di previsione e sul rendiconto, che spingono i revisori a svolgere un efficace controllo sulla gestione degli enti in cui prestano la propria attività.

La soluzione adottata dal legislatore – poi – definisce un sistema di selezione dell’organo di revisione che si presenta sotto molti aspetti discutibile.

Anzitutto, per la sottrazione della competenza alla scelta dell’organo di controllo al consiglio, quindi circoscrivendo ulteriormente le condizioni di autonomia spettanti alle amministrazioni locali, già ampiamente compromesse dalle molteplici disposizioni di finanza pubblica.

Poi, per le modalità concrete di individuazione che sono state definite, in cui si prevede l’inserimento in un apposito elenco regionale formato sulla base delle conoscenze e competenze in materia di contabilità pubblica e gestione economico-finanziaria degli enti locali, con criteri che, però, non sembrano di per sé assicurare la necessaria ed indispensabile professionalità (basti pensare al numero di ore di formazione richieste).

Il riferimento ad un meccanismo di estrazione – poi – risulta certamente incoerente, lasciando alla sorte la decisione in ordine alla composizione di un organo che ha assunto sempre maggiori competenze, richiede crescente impegno e determina l’assunzione di una più rilevante responsabilità, a fortiori in periodi di scarsità di risorse finanziarie e di moltiplicazione dei vincoli gestionali.

Se, poi, si considera il livello regionale dell’apposito elenco ne deriva una significativa limitazione per i revisori che operano nelle zone di confine tra una regione e l’altra, che potranno concorrere (sempre con l’aiuto della buona sorte) all’assunzione di incarichi esclusivamente in enti appartenenti al proprio territorio regionale.

Accanto a tali argomentazioni di carattere strutturale e sistematico, non meno rilevanti si presentano le criticità che sussistono dal punto di vista operativo e che sono emerse in modo lampante nell’applicazione sinora intervenuta del nuovo criterio.

Un primo profilo assolutamente contraddittorio è costituito dalla possibilità che svolgano la funzione di revisori soggetti che non risultano più essere iscritti nell’apposito elenco. La sussistenza del requisito, infatti, è richiesta solo per la partecipazione all’estrazione (quindi ai fini della nomina) e non certamente per la permanenza nell’ambito della funzione, non essendo previsto neppure un meccanismo di decadenza al venire meno dei presupposti per lo svolgimento dell’attività di revisore. Rileva poi la circostanza che l’estrazione di per sé non garantisce un’“effettiva” rotazione tra i revisori iscritti all’elenco con situazioni – tra l’altro – fortemente differenziate da regione a regione, che rendono diversamente probabile l’assunzione della funzione di revisore da parte del singolo professionista. Ancora, si presenta del tutto irragionevole l’esigenza di procedere comunque all’elezione consigliare dell’organo di revisione economico-finanziaria nella persona dei nominativi indicati dalla Prefettura competente per territorio: si tratta, infatti, di un iter privo di contenuto sostanziale e che, mantenendo l’attuale assetto, potrebbe essere più efficacemente essere sostituito da una semplice “presa” d’atto nel primo consiglio utile. A tale scopo sarebbe anche utile definire adeguate tempistiche, attualmente non previste, per l’accettazione della carica da parte dei revisori, tenendo conto che sono estratti 3 soggetti per ogni incarico, al fine di completare tempestivamente la procedura di formazione dell’organo di controllo.

L’insieme delle considerazioni che precedono, di carattere sistematico, operativo e procedurale, non possono non indurre ad una riflessione in ordine al criterio definito per la scelta degli organi di revisione degli enti locali, alla luce anche delle applicazioni intervenute della nuova disciplina. Ciò, ovviamente, senza dimenticare le giuste esigenze di indipendenza e trasparenza che, però, dipendono fortemente dalla competenza professionale e dall’autorevolezza del revisore individuato, a prescindere dal metodo di selezione. Del resto, la prassi dimostra che, soprattutto negli ultimi anni, anche per effetto delle crescenti restrizioni normative, i revisori sono sempre di più stati scelti dalle amministrazioni locali sulla base di criteri rigorosamente professionali e meritocratici, allo scopo di fruire di un apporto collaborativo e non solo di controllo. Né si può pensare, a maggior ragione se si considerano le responsabilità che gravano sui revisori, che questi ultimi limitassero le forme e l’intensità dei controlli in funzione della riconferma, che tra l’altro poteva  avvenire una sola volta.

 Marco Rossi – Giuseppe Panassidi


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