Non rileva la scelta dei cessati amministratori di rinunciare all’indennità,  ai fini del  calcolo del limite dell’invarianza della spesa  – introdotto dalla legge n. 56 del 2014 per bilanciare l’  incremento in termini numerici – previsto dalla stessa legge –  della rappresentanza politica nei comuni con popolazione inferiore ai 10.000 ab., in quanto il ricalcolo della spesa sostenibile per questa causale deve essere effettuato “in astratto” e non con riferimento a quella effettivamente sostenuta.

Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata, deliberazione 21/2015/PAR, del 14 aprile 2015, Pres. Rosario Scalia, Rel. Vanessa Pinto.


Il quesito

La norma oggetto del quesito è l’art. 1, comma 136, della recente legge 7 aprile 2014, n. 56, secondo cui i comuni fino a 10.000 ab., per i quali è previsto – ai sensi delle disposizioni di cui al  comma 135 della stessa legge – un aumento del numero dei consiglieri e del numero massimo degli assessori, devono comunque provvedere a “rideterminare con propri atti gli oneri connessi con le attività in materia di status degli amministratori locali … al fine di assicurare l’invarianza della spesa in rapporto alla legislazione vigente”.

Il quesito è stato formulato da un Comune, con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti, i cui precedenti amministratori  avevano rinunciato ai diritti economici loro garantiti dal TUEL.  Il Comune, con il rinnovo degli organi,  si è posto il problema di come calcolare il limite dell’invarianza della spesa ai fini della determinazione di quella sostenibile per i nuovi  amministratori locali. L’Ente, in particolare, ha chiesto ai Giudici contabili se in questi casi sia necessario prendere a riferimento la spesa effettivamnte sostenuta, pari nel loro caso a zero per effetto della scelta dei cessati amministratori, oppure quella calcolata  in astratto a prescindere da tale scelta.

Il parere

La Corte dei conti per la Basilicata, con il parere che si annota, risponde che il ricalcolo  della spesa deve essere effettuato avendo riguardo “ai parametri di calcolo “in astratto” propri di ciascuna voce di costo“, determinati ai sensi degli artt. 77-87 del TUEL, dai quali vanno esclusi – come previsto dallla novella introdotta dal  D.L. 66 del 2014 –  (solo) gli oneri per permessi  retribuiti,  e quelli previdenziali, assistenziali ed assicurativi.

Per i giudici contabili, ai fini del ricalcolo occorre considerare anche la decurtazione del 10%  prevista dall’art. 1, comma 54, della legge finanziaria 2006, che ha “assunto – per via pretoria – una  valenza strutturale, non limitata  ad un determinato periodo storico,  proprio in  ragione della perdurante immanenza – nel sistema di finanza pubblica allargata – della ratio di contenimento di costi alla  stessa sottesa” (sul punto, in funzione nomofilattica, Corte dei conti Sezione Riunite deliberazione n.1 del 12 gennaio 2012, confermata dalla deliberazione n. 24/SEZAUT/2014/QMIG).

Per la Sezione Basilicata non assume, quindi, alcun rilievo,  ai fini  del rispetto del vincolo di invarianza della spesa in esame,  la  rinuncia ai diritti economici connessi allo status operata dagli amministratori cessati.

Commento

Il parere della Corte dei conti Basilicata evidenzia ancora una volta la complessità e la disorganicità del quadro normativo relativo ai diritti economici collegati allo status di amministratore locale, oggetto di continue e disordinate modifiche finalizzate al contenimento dei c.d. costi della politica (sul punto, leggi in questa Rivista l’articolo “La riduzione del 10% dell’indennità degli amministratori ancora in attesa del decreto attuativo).

La normativa  pone diversi problemi  di coordinamento e di coerenza sistematica, come testimoniano i diversi interventi in materia del Giudice contabile su richiesta di chiarimenti da parte dei comuni.  Si ricorda, fra le molte, la deliberazione delle Sezioni Autonomie, n. 24, del 2014, che, nel confermare, la precedente deliberazione delle  Sezioni Riunite, n. 1, del 12 gennaio 2012 sull’effetto di sterilizzazione permanente delle indennità e dei gettoni di presenza,  ha dovuto precisare che tali conclusioni non ostano a meccanismi incrementali nell’ipotesi di variazione della classe demografica di riferimento per la determinazione tabellare dei compensi,  in quanto la quantificazione dell’indennità degli amministratori – su cui operare la riduzione del 10% – “si configura quale antecedente giuridico e logico rispetto ad eventuali “rideterminazioni” degli importi tabellari dei compensi che, di contro, devono considerarsi non consentite”.

E’ da ricordare anche l’abbastanza recente deliberazione n. 132/2015/PAR della Sezione del Veneto,  secondo cui:

– è ammissibile una rideterminazione in aumento delle indennità, in caso di precedenti riduzioni di importo maggiore di quello fissato dal legislatore, a condizione che gli importi restino fissati “nella misura conseguente alla riduzione prevista dalla legge 266/2005 – rispetto all’ammontare dell’indennità risultante alla data del 30/9/2005 -spettanti alla data di entrata in vigore del decreto legge 112/2008, secondo gli orientamenti ribaditi dalla costante giurisprudenza contabile in sede consultiva sopra richiamata”;

– “in base all’attuale sistema di determinazione dei compensi, l’indennità per gli assessori è calcolata con riferimento ad una serie di parametri tra i quali è compreso anche l’importo della indennità mensile di funzione del sindaco. Si dovrà pertanto considerare tale importo, anche nel caso di rinuncia da parte del sindaco all’indennità, in base al meccanismo di cui al citato d.m. 119/2000 e tenute presenti le riduzioni e limitazioni di cui all’art. 1, comma 54, della legge 266/2005 da operare sugli importi dovuti agli interessati, cristallizzati a quelli spettanti alla data di entrata in vigore del decreto legge 112/2008, come da consolidata giurisprudenza delle Sezioni Riunite in sede di controllo e della Sezione delle Autonomie di questa Corte”

Giuseppe Panassidi


Stampa articolo