La condanna penale per concussione del politico compromette l’immagine della PA incrinando il necessario rapporto di fiducia che deve sussistere tra la cittadinanza e i pubblici poteri.

Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Veneto, sentenza n. 85 del 17 giugno 2016, Presidente Carlini, Estensore Di Cecilia


A margine

Un ex assessore comunale è condannato in via definitiva per concussione aggravata e continuata per aver percepito, da un operatore ecologico del comune, a seguito di varie minacce di licenziamento, l’ammontare complessivo di lire 20.000.000.

La procura regionale della Corte dei conti contesta ora all’ex-assessore:

  • un danno non patrimoniale all’immagine del comune per € 25.000,00 per aver determinato il venir meno, da parte dei cittadini, del senso di affidamento e di fiducia nel corretto funzionamento dell’apparato della PA, nonché del senso di appartenenza all’istituzione stessa determinando così una notevole perdita di prestigio dell’ente locale presso l’opinione pubblica;
  • un danno da disservizio per € 9.698,78, quale pregiudizio recato dalla condotta illecita al corretto funzionamento dell’apparato pubblico, concretandosi nel mancato conseguimento della legalità, dell’efficienza, dell’efficacia, dell’economicità e della produttività dell’azione, ma anche nel dispendio di energie dell’amministrazione per accertare e contrastare gli effetti negativi sull’organizzazione degli uffici in conseguenza dei comportamenti dolosi dell’assessore e per il ripristino della funzionalità.

Il convenuto, costituito in giudizio, eccepisce:

  • il difetto di giurisdizione della Corte dei conti affermando, ai sensi del D.L. n. 78/2009, la competenza della stessa solo nell’ipotesi di fatti illeciti posti in essere da dipendenti pubblici titolari di rapporto di lavoro subordinato e non nel caso di amministratori pubblici per i quali sussisterebbe la giurisdizione esclusiva del giudice ordinario;
  • l’intervenuta prescrizione dell’azione risarcitoria ex art. 1, c. 2, della legge n. 20/1994 e smi, essendo trascorsi cinque anni dalla data della scoperta del fatto decorrenti dal provvedimento di richiesta di rinvio a giudizio in sede penale risalente al 2008;
  • l’insussistenza, in ogni caso, del danno all’immagine dell’amministrazione per non aver la procura provato la diffusione del “clamor fori” né l’entità del discredito nell’opinione pubblica così come mancherebbe adeguata prova del danno da disservizio non sussistendo dimostrazione del nocumento recato alla produttività dell’ente a seguito delle dazioni di denaro a favore dell’assessore.

Circa l’ambito applicativo della propria giurisdizione, la Corte dei conti ricorda che la disposizione di cui all’art. 17, c. 30-ter, del D.L. n. 78/2009 ha sicuramente portata generale, dovendo essere applicata sia verso i dipendenti che verso gli amministratori dell’ente, anche alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata.

Nel merito, il collegio accoglie l’eccezione di prescrizione relativamente alla voce di danno da disservizio rilevando che il termine iniziale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da disservizio non può che collocarsi nel momento in cui la fattispecie dannosa è stata conosciuta o era legalmente o meramente conoscibile dal comune danneggiato, osservando che dalle risultanze documentali emerge in modo perspicuo che il momento storico del deposito della richiesta di rinvio a giudizio in sede penale risale al 2008. Pertanto, limitatamente a tale posta di danno, l’azione di responsabilità deve ritenersi prescritta essendo trascorso un lasso di tempo superiore al quinquennio senza che siano intervenuti atti interruttivi idonei ad impedirne il decorso.

La Corte accoglie invece la domanda di risarcimento del danno all’immagine poiché fondata su molteplici indizi e argomenti di prova prevalentemente provenienti dal processo penale e dall’ente locale ricordando inoltre che, nei casi, come quello in esame, l’art. 651 c.p.p. prevede che “la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato”.

Ciò posto, ad avviso della Corte, la diffusione della notizia nell’opinione pubblica dei fatti criminosi del convenuto, anche a mezzo stampa, ha comportato innegabilmente un’oggettiva perdita di considerazione e di prestigio per la PA, incrinando quel necessario rapporto e clima di fiducia della cittadinanza nei confronti dei pubblici poteri e dei suoi dipendenti ed amministratori. Pertanto la misura risarcitoria proposta dalla procura regionale, pari ad € 25.000,00, appare congrua.

Simonetta Fabris

 

 


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