In presenza di una normativa assai complessa ed articolata, tale da non consentire d’individuare agevolmente all’interno dell’Ente quale sia il soggetto che debba ritenersi effettivamente responsabile della mancata tempestiva predisposizione delle misure richieste dal dettato normativo, tale figura non può comunque essere identificata “tout court” nel sindaco, in quanto Organo di vertice dell’Amministrazione comunale.

Corte dei conti, Sezione di Appello per la Sicilia, sent. 14.2.2017, n. 32. Presidente dott. Giovanni Coppola; Consigliere Relatore dott. Valter Del Rosario.


A margine

L’interessante sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, n. 32/2017 prende in esame una particolare ipotesi in cui, dopo una complessa vicenda, l’Ente comunale ha provveduto direttamente al pagamento di un’oblazione comminata al Sindaco.

I fatti di causa traggono origine dall’avvenuto accertamento, da parte dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, di gravi ritardi ed inadempienze da parte del Comune nell’applicazione della normativa vigente in tale peculiare materia, con conseguente emissione di due provvedimenti.

In particolare, il Garante comunicava d’aver ravvisato la sussistenza degli elementi costitutivi del reato previsto dall’art. 169, comma 1, del D.L.vo n.196/2003 (recante il “Codice delle norme in materia di protezione dei dati personali”) e la sua imputabilità al Sindaco e legale rappresentante del Comune, colpevole di aver omesso di approntare le misure minime indispensabili per la sicurezza dei dati personali.

Il Garante, pertanto, oltre ad impartire le prescrizioni occorrenti per porre rimedio alle criticità riscontrate, ammetteva, in base all’art. 169, comma 2, del Codice, il primo cittadino al pagamento a titolo di oblazione della somma di € 30.000,00, pari ad ¼ del massimo della sanzione in vigore ai sensi dell’art. 162, comma 2-bis.

Con successiva nota il Garante contestava inoltre al Comune, sempre in persona del sindaco, legale rappresentante pro tempore, l’illecito di natura amministrativa, di cui al combinato disposto degli artt. 33 e 162, comma 2-bis, del Codice e dell’art. 14 della L. n. 689/1981.

Veniva poi trasmessa al Garante la quietanza dell’avvenuto versamento, da parte del Comune, della somma di € 30.000,00, con la causale “pagamento della sanzione pecuniaria irrogata”.

La Procura contabile, ritenendo essere stato cagionato un danno erariale, agiva innanzi al Giudice contabile evidenziando che la somma di € 30.000,00 non avrebbe dovuto essere pagata con denaro dell’Ente locale bensì direttamente dal primo cittadino, trattandosi di oblazione finalizzata all’estinzione del reato previsto dall’art. 169 del D.L.vo n.196/2003, che era stato contestato personalmente al sindaco per aver egli omesso di approntare le misure minime indispensabili per la sicurezza dei dati personali nell’ambito dell’Amministrazione e, pertanto, lo ha citato in giudizio unitamente al dirigente che aveva emesso il mandato di pagamento.

Contrariamente, però, a quanto prospettato dalla Procura, la Sezione di primo grado ha assolto entrambi gli imputati non ravvisando nei loro comportamenti profili di colpa grave.

A tal proposito, il Giudice di primo grado ha sostenuto che la normativa contenuta nel D.L.vo n.196/2003 (recante il “Codice delle norme in materia di protezione dei dati personali”) è assai complessa ed articolata e, quindi, non consentirebbe d’individuare agevolmente il soggetto che debba ritenersi effettivamente responsabile della mancata tempestiva predisposizione delle misure minime occorrenti per garantire la sicurezza dei dati personali nell’ambito delle Amministrazioni Pubbliche ed, in particolare, degli Enti Locali.

Il Giudice di primo grado ha evidenziato, altresì, che entrambe le note del Garante erano state indirizzate al sindaco quale “legale rappresentante pro tempore del Comune” ed erano pervenute contestualmente nella sede dell’Ente Locale

D’altronde, al sindaco non era mai stata notificata, da parte della competente Procura della Repubblica, alcuna comunicazione concernente l’iscrizione del proprio nominativo nel registro di cui all’art. 335 del c.p.p..

In pratica, secondo il Giudice di primo grado, tali circostanze, unitamente alla notevole complessità della normativa in materia di protezione dei dati personali, sarebbero state idonee ad ingenerare equivoci sulla reale portata dei provvedimenti inviati dal Garante al Comune e, quindi, ad indurre in errore scusabile sia il sindaco che il dirigente del Servizio Finanziario nel ritenere che la somma di € 30.000,00, il cui pagamento era stato richiesto dal Garante a titolo di sanzione, dovesse essere versata direttamente dalla stessa Amministrazione comunale.

Così concluso il processo di primo grado, la Procura Regionale ha tuttavia ritenuto di proporre appello esclusivamente in ordine all’assoluzione del sindaco.

A detta del P.M., infatti, il comportamento tenuto dal sindaco sarebbe stato connotato quantomeno da colpa grave e comunque inescusabile in quanto egli, esercitando la professione di avvocato penalista, avrebbe potuto agevolmente avvedersi che il Garante aveva contestato a lui personalmente il reato di cui all’art. 169, comma 1, del D.L.vo n.196/2003 e che, conseguentemente, il versamento della somma a titolo di oblazione non poteva gravare sulle finanze comunali.

Al contrario, invece, l’errore compiuto dal dirigente nell’emettere, a carico del bilancio comunale, il mandato di pagamento di € 30.000,00 sarebbe scusabile, in quanto egli, non possedendo specifiche cognizioni in materia, avrebbe incontrato difficoltà nell’individuare la reale valenza dei provvedimenti sanzionatori, provenienti dall’Autorità Garante della Protezione dei Dati Personali.

Anche in sede di appello le tesi dell’accusa vengono integralmente rigettate.

La Sezione ha sostanzialmente condiviso le argomentazioni con cui il Giudice di primo grado ha ritenuto non ravvisabili profili di colpa grave nel comportamento tenuto dal sindaco, proprio per la complessità della normativa contenuta nel D.L.vo n.196/2003 e della difficoltà di individuare – nell’ambito delle Amministrazioni Pubbliche ed, in particolare, di quelle degli Enti Locali – il soggetto che debba ritenersi effettivamente responsabile della mancata tempestiva predisposizione delle misure indispensabili per garantire la sicurezza dei dati personali.

In questi casi – precisa opportunamente il Giudice – tale soggetto non potrebbe comunque essere identificato “tout court” nel sindaco, in quanto Organo di vertice dell’Amministrazione comunale.

Inoltre, il complesso delle circostanze del caso concreto fa ritenere si siano ingenerati equivoci nell’individuazione dell’effettiva valenza dei provvedimenti inviati dal Garante al Comune inducendo in errore scusabile sia il sindaco che il dirigente.

Infine – per quanto attiene anche alla decisione della Procura di impugnare la sentenza nei soli confronti del sindaco e non anche del dirigente – viene eccepito non essere stato documentalmente provato che il sindaco abbia influito in maniera preponderante sulla determinazione assunta dal dirigente, che, in qualità di dirigente del Servizio Finanziario, avendo istituzionalmente competenza esclusiva in materia gestionale, aveva indubbiamente anche il dovere di verificare in maniera approfondita (eventualmente avvalendosi della consulenza del segretario generale dell’Ente Locale o dell’Ufficio Legale) la legittimità del pagamento di € 30.000,00, che egli s’accingeva ad effettuare in nome del Comune. Pertanto, l’appello proposto dalla Procura viene respinto con conseguente conferma dell’assoluzione del sindaco.

A ben vedere il caso de quo stimola più d’una riflessione in ordine al complesso – quanto delicato – tema della responsabilità amministrativa del titolare di cariche pubbliche elettive all’interno degli enti locali.

In primo luogo occorre ricordare come il sistema della responsabilità amministrativa, in coerenza a quel principio di separazione tra politica ed amministrazione su cui è modellato l’attuale funzionamento degli enti locali, preveda l’esclusiva responsabilità dell’apparato burocratico per gli atti gestori adottati e la conseguente tendenziale irresponsabilità dei componenti degli organi politico-amministrativi.

Fermo restando ciò è noto come la concreta declinazione di tale principio sia, da sempre, particolarmente problematica ed abbia comunque condotto il giudice contabile a porre particolare attenzione – a prescindere dalla formale competenza in capo alla struttura amministrativa degli atti gestori – al concreto apporto fornito dall’amministratore alle attività causative del danno erariale.

Cionondimeno è evidente come, nel caso di specie, l’impostazione tenuta dalla Procura in sede di appello – esplicitamente censurata dal Collegio – pare eccessivamente protesa ad individuare un’eventuale responsabilità concreta dell’amministratore che, nel caso in cui il Giudice l’avesse fatta propria, avrebbe condotto ad un risultato opposto e contrario ai summenzionati principi: se, infatti, poteva essere condivisa la chiamata in causa del Sindaco unitamente al Dirigente che ha materialmente disposto il pagamento nell’ambito delle sue competenze, l’aver chiesto la riforma della sentenza per vedere condannato il solo Sindaco in quanto questi sarebbe stato “professionalmente competente” a differenza del Dirigente pare esorbitare da ogni possibile indagine concreta dell’apporto causativo dato dai singoli soggetti al danno erariale.

Degna di nota è, poi, la ricostruzione operata dal Giudice in merito al corretto rapporto che deve intercorrere tra gravità della colpa e complessità della normativa dalla cui violazione è disceso il presunto danno erariale.

La pronuncia – che, per la verità, viene a confermare sul punto quanto già espressamente statuito dal Giudice di prime cure – evidenzia la difficoltà di tradurre concretamente, nella realtà delle competenze e dei rapporti interni all’Ente, il complesso dato normativo la cui errata esegesi, pertanto, non può quindi dirsi frutto di una colpa grave.

Inoltre il Giudice, lungi dal tenere un approccio rigido e formalistico, critica apertamente quell’impostazione eccessivamente penalizzante per il vertice politico amministrativo ed incoerente rispetto al concreto funzionamento dell’Ente locale secondo cui, in assenza di un’espressa individuazione del responsabile della mancata predisposizione delle misure atte a garantire la sicurezza dei dati personali, tale soggetto dovrebbe essere individuato nel Sindaco per la sua sola funzione di “Organo di vertice” dell’Ente.

Infine, ma non per importanza, la Sezione d’appello tocca, seppur incidentalmente, il particolare tema dell’eventuale definizione del grado di colpevolezza del titolare di cariche pubbliche elettive in rapporto alle particolari competenze professionali possedute dallo stesso per ragioni estranee al suo incarico elettivo: sotto tale profilo l’impostazione tenuta dal Giudice sembra essere stata volta ad evitare che le particolari capacità del singolo potessero, in qualche modo, aggravare ulteriormente in termini di responsabilità la posizione assunta dallo stesso all’interno dell’Ente.

avv. Marco Comaschi *

*Studio Legale “Gastini” di Alessandria – comaschi33@yahoo.it


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