Il limite ai compensi da corrispondere agli amministratori societari deve essere prioritariamente individuato nell’80% del costo complessivamente sostenuto per il compenso degli amministratori di una società partecipata nel 2013 previsto dall’art. 4, comma 4, D.L. 95/2012, con il correttivo per cui, in assenza di emolumenti erogati nel 2013, si vada a considerare, a ritroso, l’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso a tale titolo con l’indeffettibile vincolo della “stretta necessarietà”.

Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, parere 16 gennaio 2018, n. 31-2018-PAR, Presidente Calaciura Traina, Estensore Usai

A margine

Il fatto – Un Comune chiede alla Corte dei conti in quale modo debba essere interpretata la previsione di cui al D.L. n. 95/2012, art. 4, c. 4, secondo cui “dal primo gennaio 2015 il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di tali società (controllate direttamente o indirettamente dalla amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 165/01 art. 1 c.2 n.d.r.), ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l’80% del costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013″ laddove il costo sostenuto nell’anno 2013 risulti essere pari ad € 0,00 in quanto l’Amministratore Unico incaricato nell’anno 2013 abbia volontariamente rinunciato a qualsivoglia, seppur previsto, emolumento. In tal senso si chiede se possa essere individuato un ulteriore parametro di riferimento per la corretta determinazione del compenso da corrispondersi all’Amministratore Unico successivamente nominato, qualora lo stesso non intendesse prestare la propria attività professionale a titolo gratuito.

Il parere – La Corte ricorda che la disposizione in parola è destinata, ai sensi dell’art. 11, comma 7, D.lgs. 175/2016, recante il “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”, a rimanere in vigore fino all’emanazione del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze avente a oggetto, per le società a controllo pubblico, la definizione di indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle suddette società e i conseguenti limiti dei compensi massimi per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori che non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario, tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni o da altre società a controllo pubblico.

Tuttavia, ad oggi, tale decreto non è ancora stato adottato.

Pertanto, secondo la Corte, nel caso in esame, il limite deve essere prioritariamente individuato applicando il tetto fatto esplicitamente salvo dal D.lgs. 175/2016, ovvero quello dell’80% del costo complessivamente sostenuto per il compenso degli amministratori di una società partecipata nel 2013 previsto dall’art. 4, comma 4, D.L. 95/2012, con il correttivo per cui, in assenza di emolumenti erogati nel 2013, si vada a considerare, a ritroso, l’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso a tale titolo con l’indeffettibile vincolo della “stretta necessarietà” enucleato dalla deliberazione n. 1-2017-QMIG, resa in sede nomofilattica dalla Sezione delle Autonomie.

Conclusioni – Ad avviso del collegio, nel recuperare un parametro di riferimento storicamente determinato e nell’agganciare ad esso il vincolo imposto all’ente locale, si può salvaguardare l’esigenza espressa dal legislatore di bloccare il trend di crescita dell’onere di cui trattasi.

Tale computo deve essere contemperato, inoltre, con la massima quantificazione normativa attualmente disponibile di tale spesa imposta dall’art. 11, comma 7, TUSP (euro 240.000) che, de iure condendo, dovrà limitare l’esercizio del potere regolamentare ministeriale.

Quantificazione che è coerente con quanto disposto dall’art. 13, comma 2, lett. a) D.L. 66/2014 (il quale, nel modificare l’art. 1, comma 471 della L. 147/2013 che, a sua volta, rinvia all’art. 23-ter del D.L. 201/2011, ha statuito che il trattamento economico del Primo Presidente della Corte di cassazione rappresenta il parametro massimo da applicare “a chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche retribuzioni o emolumenti comunque denominati in ragione di rapporti di lavoro subordinato o autonomo intercorrenti” con le pubbliche amministrazioni) e che dovrà essere effettuata “tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni o da altre società a controllo pubblico” (art. 11, comma 7, TUSP).

La necessità di considerare operante anche tale tetto massimo (espresso in termini assoluti) nel recuperare un parametro storico al quale ancorare la riduzione dell’80% (espressa in termini relativi) nasce dalla constatazione che prima del 2013 si era già prodotta una copiosa e stratificata produzione normativa diretta al contenimento dei compensi agli amministratori delle società in mano pubblica (v. il citato art. 1, comma 725 della L. 296/2006 per i compensi ai singoli componenti, l’art. 6, comma 6 del D.L. 78/2010 a cui è seguito l’art. 4, comma 4, D.L. 95/2012 come modificato, in particolare, dall’art. 16 del D.L. 90/2014, per i compensi dell’organo di amministrazione). Si evita, in tal modo, di andare a considerare una spesa sostenuta in epoca anteriore alle riforme di contenimento della spesa che conduca, in ipotesi, a una quantificazione esorbitante dal menzionato tetto dei 240.000 euro.

Rimane sullo sfondo, seppure non di minore rilevanza, il criterio fondamentale di utilità e ragionevolezza che deve guidare ogni spesa pubblica dal quale non può esimersi la determinazione del compenso degli amministratori di una società in mano pubblica.

di Simonetta Fabris

 


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