In sede di ricorso per Cassazione non sono ammissibili censure di merito, anche se presentate sotto l’apparente veste dell’error in iudicando. E non possono essere contestati documenti se non viene indicato in quale fascicolo processuale di parte si trovano e se non è  trascritto nel ricorso il loro contenuto, anche per riassunto.

Il ricorso per cassazione riguardava la sentenza di appello che aveva ritenuto  legittima la mancata corresponsione del compenso incentivante ad un pubblico dipendente per insufficiente produttività aggravata dalle ripetute assenze dal servizio.

Corte di cassazione, sez. lavoro, sentenza 18 dicembre 2017, n. 3341 Pres. G. Napolitano –  Rel. D. Blasutto

A margine 

Un dipendente impugna la sentenza pronunciata in grado di appello in una vertenza di lavoro che ha ad oggetto la legittimità o meno della mancata corresponsione del premio incentivate per insufficiente produttività, motivata dalle ripetute assenze dal servizio del dipendente e sulla valutazione della scarsa quantità di lavoro svolto. Il dipendente aveva ritenuto la motivazione di demerito assolutamente arbitraria in mancanza di parametri concordati con le associazioni sindacali, oltre che non debitamente contestata dal datore di lavoro pubblico.

La sentenza della Corte di appello –  Di diverso avviso prima il tribunale e poi la Corte di appello di Roma (sentenza n. 1408/2011). I Giudici di merito avevano ritenuto legittimo non “premiare” il dipendente scarsamente produttivo, in quanto  gli incentivi possono essere corrisposti solo se  l’attività lavorativa, in termini qualitativi ma anche quantitativi,  sia stata utile al conseguimento degli obiettivi prefissati. Per la Corte, inoltre, il diritto di difesa del lavoratore e  all’effettiva conoscenza delle ragioni dell’esclusione dal pagamento degli incentivi  erano stati  sufficientemente garantiti nella fattispecie dalle ripetute comunicazioni del datore di lavoro all’interessato delle ragioni che avrebbero impedito l’attribuzione delle prime trance del compenso incentivante.

Il sindacato di legittimità   Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate per cassazione, com’è noto, solo per errori di diritto, non essendo possibile dinanzi alla suprema Corte valutare nuovamente il merito dalla controversia. In altri termini, la Cassazione può svolgere solo un sindacato di legittimità  sull’esatta applicazione delle norme di diritto e non può riesaminare questioni di merito già valutate nel giudizio di appallo. Il ricorso del dipendente avverso la sentenza della Corte di appello di Roma è stato respinto proprio per inammissibilità del riesame di censure  di merito in sede di ricorso per cassazione, anche se rappresentate dal ricorrente sotto l’apparente veste dell’error in iudicando (orientamento consolidato).
La Cassazione non ha ritenuto fondate, inoltre,  le doglianze circa il contenuto dei documenti, per violazione del duplice onere di prova  posto a  carico dl ricorrente dall’art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c. Tale onere, infatti, può ritenersi assolto nel caso in cui il ricorrente, non solo,  provi  in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento, ma anche trascriva  o riassuma nel ricorso il contenuto del documento contestato (orientamento consolidato).
La sentenza condanna il dipendente anche al pagamento delle spese di giudizio, secondo le regole sulla soccombenza.
Conclusioni – Il dipendente che, a causa di ripetute assenze, istruisce poche pratiche non merita compensi incentivanti, in quanto la sua attività lavorativa non ha fornito un contributo utile alla performance dell’amministrazione. Il merito della controversia non può essere riproposto con il ricorso per cassazione.
avv. Giuseppe Panassidi

 

 


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