La direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 sul lavoro a tempo determinato e l’allegato accordo quadro devono essere interpretati nel senso che non si applicano né al rapporto di lavoro a tempo determinato tra un lavoratore interinale e un’agenzia di lavoro né al rapporto di lavoro a tempo determinato tra tale lavoratore e un’impresa utilizzatrice.

Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Ottava Sezione, sentenza 11 aprile 2013  , C-290/12,  Presidente di sezione E. Jarašiūnas, Relatore  A. Ó Caoimh

CGUE Sentenza C 290-12

Commento – La Corte si esprime sull’applicabilità della direttiva sul lavoro a tempo determinato e dell’allegato accordo quadro, al rapporto di lavoro a tempo determinato tra un’agenzia interinale e un proprio dipendente e/o al rapporto di lavoro, sempre a tempo determinato, tra un lavoratore somministrato ed un’impresa utilizzatrice.

Il Tribunale di Napoli, giudice del rinvio, nella domanda di  pronuncia pregiudiziale investe la Corte dell’interpretazione delle clausole 2[1] e 5[2] dell’accordo quadro allegato alla direttiva, concluso il 18 marzo 1999.

Il caso (Della Rocca c. Poste Italiane s.p.a.) ha riguardato un lavoratore assunto con reiterati contratti a termine, per ragioni di carattere sostitutivo, dall’agenzia interinale Obiettivo Lavoro s.p.a ed utilizzato da Poste Italiane s.p.a. come portalettere.

Il lavoratore, ritenendo che i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato fossero «generici e insussistenti» e che la proroga della stessa non fosse motivata, ha adito il Tribunale di Napoli al fine di accertare l’irregolarità della somministrazione alla luce degli articoli 20, 21 e 27 del decreto legislativo n. 276/03 [3], chiedendo la conversione del suo rapporto di lavoro con la Poste Italiane a tempo indeterminato.

In particolare il lavoratore fa rilevare che soltanto il singolo contratto di somministrazione tra agenzia e impresa utilizzatrice, e non i contratti di lavoro a tempo determinato, risponde alle ragioni oggettive che giustificano la conclusione e il rinnovo di questi ultimi.

La Poste Italiane rileva che le ragioni che giustificano il ricorso al contratto di somministrazione di lavoro sono sufficientemente indicate ed esistenti mentre la reiterazione dei contratti di lavoro conclusi tra un’agenzia interinale e un lavoratore non è soggetta a limiti normativi, alla luce del disposto dell’articolo 22 del decreto legislativo n. 276/03.

Il giudice di rinvio spiega che l’articolo 22, in deroga alla disciplina ordinaria in materia di contratti di lavoro a tempo determinato (di cui al d. lgs. 368/01), non pone limitazioni alla proroga di contratti di lavoro a termine per le agenzie di lavoro interinali. Infatti, mentre il decreto legislativo n. 368/01 prevede che la causalità del contratto e della sua proroga attengano alle esigenze del datore di lavoro, il decreto legislativo n. 276/03 consente la conclusione di contratti di lavoro a termine, ove il contratto di somministrazione di lavoro sia stato anch’esso concluso a termine. Solo quest’ultimo contratto, in forza degli articoli 20, paragrafo 4, e 27, paragrafo 1, del decreto legislativo n. 276/03, dev’essere giustificato da esigenze tecniche, organizzative o produttive.

Il Tribunale di Napoli dubita della compatibilità di tale normativa con la clausola 5 dell’accordo quadro (Misure di prevenzione degli abusi) in quanto, sebbene il preambolo dello stesso suggerisca che esso non sia applicabile al lavoro interinale, dal punto 36 dell’ordinanza del 15 settembre 2010, Briot (C-386/09, Racc. pag. I-8471) emergerebbe che il rapporto di lavoro tra l’agenzia di lavoro e il lavoratore interinale resterebbe soggetto all’accordo quadro, poiché la direttiva 2008/104 riguarda soltanto il rapporto di lavoro tra quest’ultimo e l’impresa utilizzatrice.

Il Tribunale sospende quindi il giudizio e si rivolge alla Corte di giustizia europea ponendo tre questioni pre-giudiziali per chiarire:

  1. se il rapporto tra un’agenzia interinale e un proprio dipendente sia riconducibile all’ambito di applicazione della clausola 2 dell’ accordo quadro (e in generale della direttiva 1999/70) o se vi ricada il rapporto tra lavoratore ed impresa utilizzatrice;
  2. verificare (in caso di risposta positiva al primo quesito) se una disposizione che consente l’apposizione del termine al contratto di lavoro con l’agenzia, come pure la sua proroga – non in relazione ad esigenze tecniche, organizzative o produttive dell’agenzia stessa con riferimento alla specifica prestazione lavorativa, ma rispetto ad esigenze generali dell’impresa utilizzatrice – possa soddisfare i requisiti di cui alla clausola 5 dell’accordo quadro europeo allegato alla direttiva 1999/70 (misure anti-abuso) ovvero possa costituire un’elusione della direttiva stessa;
  3. infine se sia consentito, sulla scorta della citata clausola 5, che le conseguenze dell’eventuale abuso siano poste a carico di un soggetto terzo ovvero dell’impresa utilizzatrice.

La Corte si pronuncia negativamente fin dal primo quesito non ritenendo conseguentemente necessario rispondere ai successivi.

Essa afferma la correttezza della domanda posto che un lavoratore interinale come il sig. Della Rocca rientrerebbe nell’ambito di applicazione della direttiva 104 del 19 novembre 2008 sul lavoro tramite agenzia interinale, la quale è tuttavia temporalmente successiva alla stipula dei vari contratti di lavoro da parte del ricorrente e quindi non applicabile al caso di specie.

L’Accordo quadro trova un ambito d’applicazione ampio (ai sensi della 2 clausola, punto 1) poiché riguarda in generale i “lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro” senza distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del datore di lavoro.

Tuttavia, secondo la Corte, tale ambito non è illimitato.

Dal tenore letterale della clausola 2, punto 1, emerge infatti che la disciplina dei contratti e dei rapporti di lavoro ai quali si applica l’accordo non è rinvenibile nelle disposizioni in esso contenute né nel diritto dell’Unione ma nella legislazione e/o nelle prassi nazionali (art 20, c. 4 e art. 27, c. 1, d.lgs. n. 276/2003; CCNL per le imprese fornitrici di lavoro temporaneo) le quali prevedono un regime speciale e dettagliato rispetto alle regole generali sul lavoro a termine.

Inoltre, la medesima clausola, al punto 2, conferisce agli Stati membri un margine di discrezionalità per ciò che riguarda la sfera di operatività dell’accordo con riferimento a talune categorie di contratti o di rapporti di lavoro.

A supporto di tale tesi è richiamato il 4 comma del preambolo dell’accordo quadro che esclude espressamente da un’applicazione estensiva della direttiva 70/99 il lavoratore interinale in quanto tale, e non l’uno o l’altro dei suoi rapporti di lavoro, con la conseguenza che tanto il suo rapporto di lavoro con l’agenzia di lavoro interinale quanto quello sorto con l’azienda utilizzatrice esulano dal suo ambito di applicazione.

Soltanto un rapporto di lavoro concluso «direttamente» con un datore di lavoro rientra nell’ambito di tale accordo quadro ai sensi di quanto prescritto dalla clausola 3 che definisce il lavoratore a tempo determinato come “una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico”.

Il rapporto di somministrazione costituisce invece una costruzione complessa che implica un rapporto tra un somministratore (l’Agenzia interinale), un utilizzatore (un’impresa) ed il lavoratore che presta la sua opera sotto la direzione di quest’ultimo ma alle dipendenze del primo.

Dunque, secondo la Corte di Giustizia Europea, la tutela accordata ai lavoratori dalla direttiva 70/99, che prevede la trasformazione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato a fronte di ripetute assunzioni a tempo determinato (nelle ipotesi definite dal singolo Stato membro), non si applica ai lavoratori a termine messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale.

Pertanto, non può essere trasformato in contratto a tempo indeterminato né il rapporto di lavoro con l’agenzia né quello con il datore di lavoro finale[4].

I principi enunciati dalla Corte di Giustizia assumono fondamentale importanza in rapporto all’ordinamento italiano.

In particolate la pronuncia in esame enfatizza, anche a livello interpretativo, la distinzione tra la direttiva sul lavoro a tempo determinato volta a contenerne l’uso e la direttiva 104/2008 che invece stimola gli Stati membri a rimuovere ogni ostacolo all’utilizzo del lavoro somministrato di cui emerge l’individualità e l’utilità della forma contrattuale.

Si aggiunga, inoltre, che la giurisprudenza italiana ha molto spesso applicato le regole ed i principi previsti per il contratto a termine anche per la somministrazione di lavoro (come la temporaneità delle esigenze; la necessità di specificare le causali dei contratti interinali e/o di somministrazione).

In particolate, fino ad oggi, la causale del contratto di somministrazione è stata spesso interpretata con un’applicazione meccanica dei canoni formatisi rispetto al lavoro a tempo determinato così come l’inclusione del lavoro interinale nel termine massimo di durata di 36 mesi.

Ora, in tema di proroghe, la sentenza preclude la possibilità di contestare la differente disciplina esistente tra contratto a termine (dove si ammette una sola proroga) e il contratto di somministrazione dove se ne ammettono fino a sei (sia nel rapporto commerciale che in quello lavorativo).

In sostanza gli approcci residui che assimilano le due tipologie contrattuali dovrebbero venire meno definitivamente in quanto la Corte di Giustizia nega ogni ipotesi di applicabilità della direttiva 70/99 al contratto a termine in somministrazione.

 

di Simonetta Fabris*

* referente per la Regione del Veneto del Programma di cooperazione transfrontaliera IPA Adriatico 2007-2013

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[1] «Campo d’applicazione»:

«1. Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro.

2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi ai:

a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato;

b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici».

[2] «Misure di prevenzione degli abusi»:

«1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e delle prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;

c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.  (…)».

[3] “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”.

 In particolare l’articolo 27 del decreto legislativo in esame prevede che, quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21 del decreto, il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale notificato anche soltanto all’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.

[4] La normativa interna conferma questo scenario.

L’art. 22, d. lgs 276/03, ammette infatti la riconducibilità del contratto di somministrazione della disciplina di cui al d.lgs 368/01 (di attuazione della direttiva 1999/70/CE )“ in quanto compatibile”, con  esclusione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 3 e seguenti dello stesso decreto relative a proroghe e rinnovi.

In particolare l’art 5 c. 4 bis del d.lgs 368/01 stabilisce che, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo  svolgimento di mansioni equivalenti, il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei  mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai  periodi  di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato.


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