La legittimità del provvedimento di diniego all’aspettativa per motivi di studio è subordinata ad una specifica valutazione e ad una conseguente rigorosa motivazione non già rispetto alle generiche esigenze organizzative complessive dell’amministrazione di provenienza, ma con riferimento alla professionalità, al ruolo e alle peculiarità di impiego dell’interessato, onde valutare se ricorrano effettivamente ragioni ostative all’accoglimento della sua domanda.

Tar Liguria, Genova, sez. I, 12 luglio 2018, n. 626, Presidente Garbari, Estensore Daniele

Il fatto

Un vice-comandante di reparto della polizia penitenziaria in servizio presso una casa circondariale vincitore di un dottorato di ricerca si vede negata la richiesta di aspettativa per motivi di studio con mantenimento di trattamento economico, previdenziale e di quiescenza ai sensi dell’articolo 2 della legge 13 agosto 1984, n. 476 (Norma in materia di borse di studio e dottorato di ricerca nelle Università).

A fondamento del diniego l’amministrazione adduce l’incompatibilità della richiesta con le esigenze organizzative dell’Istituto penitenziario di assegnazione del ricorrente in considerazione della sua complessità operativa, data da una popolazione detenuta superiore alla capienza regolamentare e dalla presenza di un numero di funzionari appena necessario a coprire la pianta organica.

Pertanto il dipendente ricorre al Tar.

La sentenza

Il collegio ricorda che l’art. 2 della legge 13 agosto 1984, n. 476 prevede che “Il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda, compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione, in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l’interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. (…).”.

La formulazione originaria dell’articolo 2 della legge 476 del 1984 prevedeva il diritto pieno e incondizionato del dipendente ad essere collocato in aspettativa ai fini della frequenza di un dottorato di ricerca. L’articolo 19, comma 3, della L. 30 dicembre 2010, n. 240 ha modificato tale disposizione, subordinando la concessione del congedo alla compatibilità dello stesso con le esigenze dell’amministrazione.

Il collegio aderisce all’orientamento secondo cui “le rammentate modifiche legislative non stravolgono la natura dell’istituto in questione, nel senso che il collocamento in aspettativa, così come un suo eventuale diniego, è subordinato ad un’attenta valutazione da parte dell’Amministrazione di appartenenza alle sue esigenze organizzative, delle quali la stessa deve rendere conto fornendo una motivazione rigorosa che, a maggior ragione nel caso di diniego, esprima le oggettive ragioni di incompatibilità del collocamento in aspettativa richiesto dal dipendente con gli interessi e la funzionalità della P.A.”. (TAR Campania, Napoli, sez. VII, 7 marzo 2017, n. 1307; id. TAR Lazio, sez. Ibis, 25 giugno 2014, n. 6708).

Il beneficio previsto dalla richiamata normativa è infatti espressione del diritto allo studio, costituzionalmente garantito.

Conclusioni

Nel caso in esame, l’amministrazione ha negato l’aspettativa sulla base della generica asserzione relativa alla popolazione detenuta presso l’Istituto e alla presenza di un organico appena sufficiente a farvi fronte, in maniera generica e priva di fondamento, oltre che disancorata dallo specifico impiego e alle funzioni svolte dal ricorrente.

Ad avviso del collegio, la legittimità del provvedimento di diniego è subordinata ad una specifica valutazione e ad una conseguente rigorosa motivazione non già rispetto alle generiche esigenze organizzative complessive dell’amministrazione di provenienza, ma con riferimento alla professionalità, al ruolo e alle peculiarità di impiego dell’interessato, onde valutare se ricorrano effettivamente ragioni ostative all’accoglimento della sua domanda.

Le motivazioni addotte non rispondono a detti stringenti requisiti, considerato da un lato che il riferimento alla popolazione detenuta non risulta correlata in modo evidente alla necessità della presenza del vicecommissario, in quanto allo stesso non sono assegnate funzioni operative di gestione dei detenuti; d’altro canto inconferente pare altresì il riferimento al numero di funzionari appena sufficiente a far fronte alle esigenze dell’amministrazione, atteso che l’organico di 5 commissari previsto per l’Istituto risulta interamente coperto alla data della domanda di aspettativa.

Infine, il riferimento alle funzioni di referente della polizia giudiziaria del ricorrente evidenziate nella memoria dell’amministrazione resistente, oltre che insufficienti a fondare l’incompatibilità dell’istanza rispetto alle esigenze dell’amministrazione, in quanto anch’esse frutto di disposizioni organizzative suscettibili di diverso successivo assetto, paiono costituire un’inammissibile integrazione postuma in sede giudiziaria del provvedimento amministrativo impugnato.

Pertanto il Tar annulla il provvedimento di diniego dell’amministrazione condannando la stessa a pronunciarsi nuovamente sull’istanza del ricorrente.

 


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