A distanza di un  decennio dall’approvazione del cosiddetto Codice della privacy ad opera del D.Lgs n.196/2003, appaiono sufficientemente consolidati gli orientamenti in merito ai presupposti e ai limiti del diritto di accesso alla documentazione amministrativa, e ai rapporti tra quest’ultimo e  la tutela dei dati personali.

E’ sufficiente preliminarmente considerare che a lungo si è dibattuto dei rapporti tra requisiti per l’accesso previsti dall’ordinamento degli enti locali e quelli più stringenti stabiliti dall’art. 22 della L. n. 241/1990. L’interpretazione dominante è oggi quella che fa leva sulla prevalenza dei requisiti di cui all’art. 22 della legge sul procedimento amministrativo, costituiti dell’interesse diretto, concreto e attuale, quale titolo legittimante alla visione o rilascio di documenti amministrativi (cfr tra le varie,CdS, sez V, 29 novembre 2004 n. 7773).

Nel quadro generale riveste, peraltro, una posizione del tutto atipica e non sufficientemente delineata la problematica che investe i rapporti tra diritto di cronaca, diritto di accesso e riservatezza.

Giova evidenziare, a tal proposito, che la giurisprudenza e la dottrina prevalenti  riconducono il diritto di accesso ai documenti amministrativi direttamente all’esercizio del diritto di cronaca e alla libera informazione, garantiti dall’art. 21 della Costituzione.

Secondo il medesimo orientamento non è necessaria un’indagine specifica sulla sussistenza in capo al richiedente dell’interesse concreto, diretto e attuale connesso alla documentazione richiesta, quale titolo per l’accesso agli atti previsto dall’art. 22 della L. n. 241/1990.

Di conseguenza è stato affermato che sarebbe contrario ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, oltre che al comune buon senso, la pretesa di equiparare la posizione della testata giornalistica, per quanto attiene al diritto di accesso, al “quisque de populo” e negarle la titolarità di una posizione differenziata e qualificata alla conoscenza di atti che possano interessare i propri lettori (Cons. Stato, sez IV, 6 maggio 1996, n. 570; TAR Emilia Romagna, sez. Parma, 7 ottobre 1996, n. 315; TAR Toscana, Firenze, 18 novembre 2005, in Comuni Italia, 2006, 93; Tar Sicilia, Palermo, sez. III, 3 maggio 2011, n. 827; Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, parere del 27 febbraio 2003).

 La casistica affrontata concerne il riconoscimento del diritto di  testate giornalistiche all’accesso ad atti aventi ad oggetto:

  • le indennità, gli emolumenti o le differenze retributive  percepite dai dipendenti comunali;
  • l’elenco in forma anonima di indennità, diarie, assegni, contributi, rimborsi percepite da amministratori locali;
  • la copia di un atto di licenziamento disciplinare di un dipendente comunale a seguito della condanna del medesimo a un reato contro la pubblica amministrazione.

La stessa giurisprudenza e dottrina si sono, però, preoccupate di delineare i rapporti tra il diritto di cronaca, il diritto di accesso e il diritto alla riservatezza.

In merito ai rapporti tra diritto di accesso e tutela della riservatezza dei dati personali comuni è ormai assodato che il primo prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo quando esso è strumentale alla difesa di interessi giuridici del richiedente, ossia nell’ambito dell’accesso cosiddetto “difensivo”.

Per quanto concerne il rapporto tra diritto di accesso e dati personali sensibili, prima la giurisprudenza, poi il legislatore con l’introduzione dell’art. 60 del D.lgs n. 196/2003, hanno sancito il principio secondo il quale il rilascio e la visione di documenti idonei a rivelare dati sensibili sono consentiti solo in presenza di interessi di rango almeno pari a quelli tutelati dalla legge sulla “privacy”.

Muovendo dalla considerazione che il diritto di cronaca è di rango costituzionale almeno pari a quello del diritto alla riservatezza è stata accolta la tesi della ponderazione in concreto tra il diritto alla cui cura o difesa è strumentale il diritto di accesso e il diritto connesso ai dati sensibili. In altri termini è necessario valutare, caso per caso, se il diritto di cronaca meriti una tutela superiore o meno al diritto alla riservatezza.

Soccorrono, a tal fine, i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di esercizio del diritto di cronaca. Il riferimento, in particolare, è al principio dell’utilità sociale dell’informazione, talché a fronte di una elevata utilità sociale della conoscenza di documenti potrebbe essere giustificata una compressione della tutela della riservatezza.

La predetta compressione è, peraltro, contemperata dall’osservanza dei principi previsti dall’art. 11 del D.lgs n. 196/2003, ossia liceità e correttezza; pertinenza, completezza e non eccedenza rispetto alle finalità dell’informazione, diritto all’oblio.

In ossequio ai predetti principi generali l’Amministrazione che detiene i documenti ha il potere-dovere di sottrarre all’accesso o oscurare parti della documentazione medesima che contengano circostanze o valutazioni particolarmente lesive della dignità o della sfera della riservatezza dell’interessato, ove non sia strettamente indispensabile la conoscenza  delle stesse.

E’ necessario del pari ricordare i limiti e le condizioni entro i quali l’esercizio del diritto di cronaca è considerato lecito quando esso confligge con l’onore o la reputazione dei soggetti interessati dalla divulgazione di documenti o notizie.

 Vengono in rilievo, oltre all’utilità sociale dell’informazione:

  • la verità della notizia, oggettiva o anche solo supposta, ove essa scaturisca da ricerche e analisi condotte in modo corretto e professionale;
  • l’osservanza del codice deontologico;
  • l’essenzialità e pertinenza dell’informazione concernente fatti di interesse pubblico;
  • la chiarezza e correttezza nella descrizione e valutazione dei fatti, curando una forma rispettosa della dignità personale ed evitando offese anche in modo indiretto.

L’interesse alla problematica dei rapporti tra diritto all’oblio e diritto di cronaca è stato molto recentemente rinverdito dalla Corte di Cassazione, sez. III, 26 giugno 2013, n. 16111. La suprema Corte ha affermato che il bilanciamento in concreto tra il diritto dell’interessato all’oblio dei dati che lo riguardano e il diritto di cronaca deve avere quale principio regolatore la correttezza, nonché l’effettività e attualità dell’interesse pubblico alla diffusione della notizia.

Nel caso concreto deciso è stato ritenuto prevalente il diritto all’oblio, con riferimento a una vicenda di diffamazione a mezzo stampa, in virtù della circostanza che fatti accaduti molto tempo fa non sono stati ritenuti di interesse attuale, nonostante che all’epoca avessero suscitato un indubbia valenza pubblica.

In altri termini, ove il permanere della diffusione di un fatto risalente nel tempo non sia idoneo a rinnovarne l’attualità dell’interesse alla divulgazione, tale circostanza concretizzerebbe una lesione del diritto alla riservatezza.

 Antonello Accadia


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