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Sull’appartenenza dei militari ai partiti politici3 min read

Il militare può iscriversi ad un partito e, anche in tale qualità, esercitare il proprio diritto di elettorato passivo, ma non può mai assumere, nell’ambito di una formazione partitica, alcuna carica statutaria neppure di carattere onorario, a tutela indiretta ma necessaria del principio di neutralità “politica” delle Forze Armate.

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 12 dicembre 2017, n. 5845 [1], Presidente Patroni Griffi, Estensore Lamberti

A margine

Il fatto – Un maresciallo dell’Arma dei carabinieri impugna avanti il competente Tar il provvedimento con cui il comandante della Legione lo ha formalmente ammonito a recedere dalla carica, da lui in precedenza assunta, di segretario regionale di un partito.

Il Tar Piemonte, Sez. I, con sentenza n. 1127 del 5 settembre 2016 [2], all’esito di un’approfondita ricostruzione del vigente tessuto normativo relativo alla possibilità, per i militari, di svolgere attività politica, accoglie le censure del ricorrente, annullando tutti gli atti impugnati. Pertanto l’amministrazione ricorre in appello.

La sentenza – Il Consiglio di Stato ritiene che l’appello meriti parziale accoglimento ricordando che l’art. 49 della Costituzione [3] statuisce che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” mentre il successivo art. 98, terzo comma, aggiunge che “Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”.

Pertanto, secondo il collegio, il singolo militare può sì iscriversi ad un partito e, anche in tale qualità, esercitare il proprio diritto di elettorato passivo, ma non può mai assumere, nell’ambito di una formazione partitica, alcuna carica statutaria neppure di carattere onorario, a tutela indiretta ma necessaria del principio di neutralità “politica” delle Forze Armate: tale principio, infatti, sarebbe inevitabilmente leso ove un militare, lungi dal limitarsi ad aderire, mediante la propria iscrizione, alle coordinate valoriali di una formazione politica o dal rappresentare in prima persona i cittadini in assemblee elettive, contribuisse personalmente, direttamente e, per così dire, istituzionalmente, in forza di una formale qualifica statutaria, a plasmare ab interno la linea politica di formazioni di massa ed intrinsecamente di parte quali sono gli odierni partiti politici.

Conclusioni – Quanto sopra anche alla luce dell’art. 1484 del cod. ord. mil., secondo cui i militari candidati ad elezioni possono sì “svolgere liberamente attività politica e di propaganda”, purché “al di fuori dell’ambiente militare e in abito civile” e, comunque, sono ex lege collocati “in apposita licenza straordinaria per la durata della campagna elettorale”.

In caso, poi, di effettiva elezione a “cariche politiche”, i militari interessati sono posti d’ufficio in “aspettativa” sin “dall’atto della proclamazione degli eletti” (articoli 903 e 1488).

La legge, quindi, si cura di frapporre un diaframma strutturale fra esercizio del diritto di elettorato passivo relativo a “cariche politiche” ed attività di servizio, in tal modo evitando che il militare impegnato in campagna elettorale (e, a fortiori, eletto ad una “carica politica”) possa svolgere contestualmente attività istituzionale, al fine di elidere ogni possibile coinvolgimento, anche solo indiretto, della Forza Armata di appartenenza nella competizione politica cui si sia dedicato un proprio membro.

Pertanto l’ammonimento a recedere dalla carica di segretario regionale del partito recato dal provvedimento impugnato in primo grado è legittimo e pure il successivo provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare per mancata ottemperanza del ricorrente e non andava annullato in toto come ha disposto il Tar.

di Simonetta Fabris