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Sull’applicabilità o meno del whistleblowing alle denuncie nell’ambito delle controversie di lavoro4 min read

L’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori, i quali sono disciplinati da altre normative e da altre procedure.

Tar Campania, sez. VI, [1]sentenza 8 giugno 2018, n. 3880 [2], Presidente Passoni, Estensore Soricelli

Il fatto

Il Ministero dell’Istruzione avvia un’ispezione presso un istituto scolastico a seguito della presentazione di un esposto da parte di un dipendente verso il proprio dirigente per presunti atti di mobbing e bossing.

Il dirigente chiede quindi al Ministero di accedere all’esposto e alla relazione ispettiva ottenendo un’ostensione parziale della documentazione senza l’indicazione dell’identità dei controinteressati, cioè dei soggetti auditi in sede ispettiva, e del contenuto delle loro dichiarazioni.

Pertanto il dirigente ricorre al Tar onde ottenere l’accesso completo alla documentazione richiesta al fine di tutelare i propri interessi giuridici mentre il Ministero e il denunciante si oppongono affermando che l’esclusione dell’accesso si ricollega alla circostanza che la fattispecie sarebbe regolata non dagli articoli 22 e segg. della legge n. 241/1990 [3] ma dalla disposizione dell’articolo 54-bis del d.lgs. n. 165/2001 [4] che, al fine di tutelare il dipendente pubblico che segnali illeciti, garantisce l’anonimato del denunciante e sottrae ad accesso la segnalazione dell’illecito.

La sentenza

Secondo il Collegio il caso non è riconducibile alla normativa dell’articolo 54-bis citata la quale si riferisce ad una fattispecie diversa che è quella del dipendente pubblico che, essendo venuto a conoscenza per ragioni di ufficio della commissione di illeciti da parte di altri dipendenti, pur essendo esposto al rischio di possibili ritorsioni, si risolva a segnalare tali illeciti “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione” denunciandoli al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza ovvero all’ANAC o all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile.

In tale caso il dipendente (cd. whistleblower) è tutelato da ritorsioni, in primo luogo garantendo il suo anonimato e (tra l’altro) sottraendo ad accesso la segnalazione dell’illecito.

Nel caso all’esame, il denunciate, con il suo esposto, oltretutto non inviato ad alcuna delle autorità indicate, non ha agito a tutela dell’interesse all’integrità della pubblica amministrazione ma a tutela dei diritti nascenti dal proprio rapporto di lavoro asseritamente lesi dal ricorrente nel contesto di una annosa situazione di contrasto che lo vede opposto a quest’ultimo.

In sostanza l’esposto in questione si inserisce in una “ordinaria” controversia di lavoro: se ogni denuncia di violazione dei diritti di lavoratori fosse ascritta alla fattispecie del whistleblowing e i relativi atti fossero sottratti ad accesso ne deriverebbe una irragionevole compressione del diritto di accesso ai documenti che costituisce “principio generale dell’attività amministrativa”.

Nella fattispecie è anche evidente che non esiste alcuna esigenza di garantire l’anonimato del denunciante (dato che la sua denuncia è ben nota a tutte le parti).

In definitiva l’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori (Circ. 28 luglio 2015, n. 64 dell’I.N.A.I.L. [5] o Circ. 26 marzo 2018 n. 54 dell’I.N.P.S. [6]). Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre normative e da altre procedure.

Pertanto il Tar accoglie il ricorso ordinando l’ostensione integrale della documentazione richiesta.

Conclusioni

Il collegio evidenzia l’inconsistenza della difesa dell’amministrazione confermata dalla circostanza che il diniego parziale di accesso è stato fondato sulla necessità di tutelare l’identità e la riservatezza dei soggetti auditi in sede ispettiva.

In particolare non si vede in che modo le dichiarazioni in questione possano attenere alla sfera privata e personale degli auditi (di cui è contestabile la stessa qualificazione come “controinteressati” ex articolo 22, lettera c) della legge n. 241 [3]), dato che l’ispezione si riferisce a un contrasto sorto per ragioni di ufficio e relativo a relazioni lavorative che, per quanto è dato sapere, non attengono in alcun modo a relazioni di carattere privato e personale.

In sostanza gli auditi in sede ispettiva certo non sono stati interrogati su fatti attinenti alla loro sfera personale e privata ma su fatti ed episodi inserentisi nel conflitto sorto in sede lavorativa.

Oltretutto, l’esigenza di tutela della riservatezza è tendenzialmente recessiva a fronte delle esigenze di tutela del diritto alla difesa (salvo il caso di dati cd. sensibili e giudiziari per i quali si applica il comma 7 dell’articolo 24 della legge n. 241 [3]).

di Simonetta Fabris