Un’importante sentenza sull’ammissibilità di uffici legali comuni a più enti locali

Consiglio di Stato, sezione V – sentenza n. 2731 del 6 aprile 2017, Presidente Severini, estensore Perotti

A margine

Un comune richiede al Consiglio di Stato la riforma della sentenza del Tar Lombardia, n. 1608/2016.

Il nodo della vertenza riguarda la costituzione della cd “Avvocatura Unica”, mediante l’approvazione, a cura del Consiglio comunale, di una Convenzione intercomunale da proporre ad altri Comuni interessati.

Gli avvocati ricorrenti in primo grado deducono l’illegittimità del provvedimento evidenziando che:

a) l’art. 30 del d.lgs n. 267/2000 prevede un modello operativo diverso da quello oggetto di contestazione; il Tuel permetterebbe, infatti, la creazione di un “ufficio comune” operante con “personale distaccato”, a cui affidare le funzioni di ufficio legale dei vari enti costituenti; diversamente, nel caso di specie, sarebbe stato individuata l’avvocatura comunale di un solo comune quale ufficio di cui gli altri Comuni avrebbero potuto avvalersi senza prevedere il distacco di proprio personale;

b) tale modello contrasterebbe col il principio di incompatibilità della professione forense, non potendo essere ricondotto entro i parametri posti dalla deroga di cui all’art. 19 della L. n. 247/2012;

c) i provvedimenti impugnati realizzerebbero una violazione dei principi comunitari di libertà nella prestazione dei servizi e di libera concorrenza, integrando uno sviamento dalla causa tipica di legge.

Nel ricostruire il contesto di normativo di riferimento, il Consiglio di Stato rammenta che è eccezionalmente ammessa l’assunzione, quali lavoratori subordinati, di avvocati iscritti al relativo Albo professionale, a condizione che gli stessi vengano posti alle dirette ed esclusive dipendenze di una pubblica amministrazione, che attribuisca loro, in via esclusiva, la trattazione dei propri affari legali.

Tale rapporto di esclusività si giustifica in virtù del particolare vincolo fiduciario che caratterizza il rapporto di servizio con l’amministrazione, cui si ricollega altresì il principio dell’immedesimazione organica, non previsto invece negli ordinari rapporti tra soggetti privati.

Questa impostazione è stata confermata dalla legge di riforma dell’ordinamento forense con la precisazione che, solo in limitati ed eccezionali ipotesi, la legge permette agli esercenti la professione forense di porre in essere, a vantaggio di terzi soggetti, rapporti di lavoro di tipo subordinato, ovvero di stipulare contratti di prestazione di opera continuativa e coordinata che hanno ad oggetto la consulenza e l’assistenza legale stragiudiziale, nell’esclusivo interesse del datore di lavoro o del soggetto in favore del quale l’opera viene prestata.

Per quanto riguarda gli avvocati delle amministrazioni, pubbliche, l’art. 23 della legge n. 247/2012 prevede tra l’altro che “per iscrizione nell’elenco gli interessati presentano la deliberazione dell’ente dalla quale risulti la stabile costituzione di un ufficio legale con specifica attribuzione della trattazione degli affari legali dell’ente stesso e l’appartenenza a tale ufficio del professionista incaricato in forma esclusiva di tali funzioni …”.

Il rapporto di servizio in discussione deve dunque essere “stabile” ed avere ad oggetto esclusivo l’esercizio delle funzioni professionali.

Tuttavia,nel caso di un’avvocatura intercomunale, la valutazione e le scelte da intraprendere nelle singole vertenze a difesa di uno degli enti convenzionati potrebbe riguardare interessi non coincidenti tra i vari enti membri della convenzione.

Non a caso, l’articolo 2, comma 12, della L. n. 244/2007, ha previsto non già la possibilità che un ente locale si accordi con altre amministrazioni per mettere a comune disposizione il proprio ufficio legale, bensì la creazione di una struttura nuova e comune, sino allora insussistente: ovvero un “l’ufficio unitario” di avvocatura, da implementare«con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti».

Su queste premesse, i giudici di Palazzo Spada ritengono che la convenzione oggetto del ricorso configuri una mera messa a disposizione dei servizi dell’ufficio legale di un comune anche ad altri enti territoriali, secondo un dispositivo riconducibile a schemi negoziali di tipo privatistico.

Infatti, ai fini della costituzione di un reale ufficio comune, la convenzione in argomento avrebbe dovuto prevedere che:

a) solo i comuni che già disponevano del relativo personale provvedessero a “conferirlo” al costituendo “ufficio comune”, potendo gli altri apportare, in tutto o in parte, personale amministrativo e dotazioni materiali della struttura;

b) la creazione di un nuovo ufficio “unico” realmente “comune” ai vari enti territoriali consorziati comportante, per riflesso, la simultanea cessazione ad ogni effetto dell’ufficio dell’Ente conferente.

Da qui la conclusione per cui, per avvalersi di un’avvocatura unica, gli enti consorziati debbono creare un ufficio nuovo, posto nella pari contitolarità degli stessi tanto sotto il profilo organizzativo e logistico, quanto sotto quello del rapporto di servizio del relativo personale, non più dipendente da una singola amministrazione consorziata, bensì dalla totalità delle amministrazioni costituenti.

Stefania Fabris


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