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Novità in materia di scioglimento dei consigli comunali per mafia3 min read

Il decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 [1], convertito, con modificazioni, dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132, ha apportato importanti modifiche all’art. 143 del Tuel [2], introducendo un nuovo comma 7-bis ed innovando il comma 11.

Con Circolare n. 15900-TU-00-141-143-AA.LL. del 24 gennaio 2019 [3], il Ministero dell’Interno ha fornito le prime linee interpretative sullapplicazione delle nuove disposizioni relative allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali a causa di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso e alla responsabilità dei dirigenti e dei dipendenti

In particolare, il Ministero ha precisato che, con riguardo all’introduzione del nuovo co. 7 bis:

  • la nuova disciplina interviene a circa dieci anni di distanza dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 [4], che ha introdotto la possibilità di adottare, nei confronti degli esponenti dell’apparato burocratico dell’ente, ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto (anche in caso mancato scioglimento dell’organo consiliare), nonché disposto l’incandidabilità degli amministratori che con le loro condotte hanno dato causato la dissoluzione dell’ente;

  • il nuovo comma 7-bis delinea infatti un mirato intervento dello Stato, nel caso in cui non siano stati riscontrati i presupposti per lo scioglimento del Consiglio o per l’adozione degli altri provvedimenti previsti dall’art. 143, co. 5, ma sia emersa l’esistenza di «situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate»;

  • la ratio della novella è quella di evitare che le illiceità rilevate in sede ispettiva continuino ad inficiare la vita dell’ente nel caso in cui si debba procedere alla chiusura del procedimento (mancando gli elementi sintomatici del condizionamento mafioso) seppur in presenza di una diffusa mala gestio connotata da illegittimità, ritardi o mancata adozione di atti in relazione alle diverse procedure amministrative di competenza degli enti locali (come ad es. quelle in materia di prevenzione e contrasto dei fenomeni di abusivismo edilizio, affidamento di lavori, servizi e forniture, riscossione dei tributi, assunzioni di personale, assegnazioni di contributi, rilascio di concessioni ed altri titoli abilitativi).

Con la riforma del 2018 il legislatore ha pertanto previsto che, su iniziativa del prefetto, in presenza di situazioni indicative di illiceità gravi e reiterate, dovrà essere avviato un un procedimento che potrà anche sfociare nella nomina di un commissario ad acta, in sostituzione dell’amministrazione locale inadempiente.

In particolare, per far cessare le illiceità rilevate, i prefetti dovranno individuare i necessari interventi di risanamento e contestualmente indicare gli atti da adottare, fissando un termine per le amministrazioni interessate, da calcolarsi caso per caso, tenendo conto della natura e della complessità degli atti da adottare, dell’eventuale coinvolgimento nella procedura di altri soggetti istituzionali, delle risorse umane e strumentali a disposizione nonché di ogni altro elemento che assuma rilevanza in relazione alla specifica situazione.

Decorsa inutilmente tale scadenza, il prefetto dovrà assegnare all’ente un ulteriore termine, non superiore a 20 giorni, per l’adozione degli interventi richiesti, scaduto il quale si dovrà sostituire, mediante commissario ad acta, all’amministrazione inadempiente, esclusivamente per l’adozione degli atti previamente individuati, posto che gli organi dell’Ente resteranno pienamente in funzione.

Per quanto attiene alle modifiche apportate al co. 11 dell’art. 143 del Tuel [2], occorre ricordare che, nella previgente formulazione, questo comma prevedeva, quale misura interdittiva, l’incandidabilità degli amministratori che, con le loro condotte, avevano causato lo scioglimento dell’ente locale.

Agli amministratori, dichiarati incandidabili con provvedimento definitivo, veniva quindi fatto divieto di candidarsi alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, nella regione nel cui territorio si trovava l’ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso.

Con la novella, la sfera di operatività della misura viene ampliata disponendo che il soggetto dichiarato incandidabile non sia candidabile con riferimento a tutte le tipologie di elezioni che si svolgono sul territorio nazionale (elezioni circoscrizionali, comunali, provinciali e regionali, Camera dei Deputati, Senato della Repubblica, Parlamento Europeo) per due turni elettorali successivi all’adozione del provvedimento dissolutorio.

In proposito il Ministero ha rammentato l’orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, secondo cui l’art. 143, comma 11, ha l’effetto di precludere la candidabilità alle elezioni ivi indicate successive al provvedimento giurisdizionale definitivo, anche nel caso in cui – nelle more della definizione del procedimento giurisdizionale – si siano svolti uno o più turni elettorali successivi all’emanazione del decreto presidenziale di scioglimento.

Stefania Fabris