Il decreto legge del 4 ottobre 2018 n.113, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.231 del 2018, reca “disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”.

d.l. n.113 del 4 ottobre 2018

Il 7 novembre scorso è stato approvato in Senato con emendamenti il disegno per la conversione in legge del d.l. n.113 del 2018 con il nuovo titolo “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n.113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Delega al Governo in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate”.

disegno di legge 840 approvato in Senato

Il testo, attualmente rimesso in seconda lettura alla Camera dei Deputati per la conversione in legge, si articola in quattro titoli.

Il titolo I reca disposizioni in materia di immigrazione; il Titolo II prevede norme in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo e alla criminalità mafiosa; il Titolo III interviene – anche attraverso modifiche al codice antimafia – sul funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati; il Titolo IV reca norme finanziarie.

Di particolare interesse sono le novità contenute nel capo I del titolo II, concernenti le disposizioni relative alla sicurezza pubblica e alla prevenzione del terrorismo, dettate dalla “straordinaria necessità e urgenza di introdurre norme per rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo e della criminalità organizzata di tipo mafioso, al miglioramento del circuito informativo tra le Forze di polizia e l’Autorità giudiziaria e alla prevenzione e al contrasto delle infiltrazioni criminali negli enti locali, nonché mirate ad assicurare la funzionalità del Ministero dell’interno”.

Al riguardo, sono previste disposizioni in materia di accesso al CED interforze da parte del personale della polizia locale. Si prevede, altresì, un’apposita disposizione finalizzata a consentire anche alla Polizia municipale di utilizzare in via sperimentale armi comuni ad impulso elettrico, in analogia a quanto disposto per l’Amministrazione della pubblica sicurezza.

Tali disposizioni concretizzano specifici interventi nell’ambito della prevenzione di reati connotati da profili di rilevante allarme sociale, in considerazione anche della frequenza degli stessi in questo momento storico. Si pensi, in tale contesto, all’estensione dei controlli attraverso dispositivi elettronici per particolari fattispecie di reato (maltrattamenti e stalking), alle prescrizioni in materia di contratti di noleggio per la prevenzione di atti di terrorismo, alla estensione dell’ambito di applicazione del c.d. daspo urbano, nonché per quello relativo alle manifestazioni sportive, per coloro che siano indiziati per reati di terrorismo.

Proprio in quest’ultimo ambito, la prevenzione nella lotta al terrorismo, esaminate le peculiari modalità di esecuzione di diversi attentati terroristici, si è ritenuto necessario intervenire con mirate disposizioni finalizzate ad  eliminare o quantomeno ridurre i rischi di possibili analoghe iniziative nel nostro Paese. Pertanto, gli interventi proposti sono relativi al potenziamento dei sistemi informativi per il contrasto al terrorismo internazionale, nonché all’introduzione di modalità operative che consentano una ancor più rapida ed efficace circolarità dei flussi informativi tra CED e Forze di polizia.

L’obiettivo di una più efficace circolarità delle informazioni tra i diversi interlocutori istituzionali coinvolti in materia è stato perseguito, nell’ambito del provvedimento in esame, anche attraverso alcune disposizioni in materia di prevenzione e contrasto alla criminalità mafiosa, con particolare riferimento all’ambito degli appalti e dell’attività di monitoraggio dei cantieri.

Sono state previste, al riguardo, disposizioni volte a consentire un monitoraggio aggiornato dei soggetti destinatari di indagini patrimoniali, con particolare attenzione alla trasmissione dei flussi informativi tra uffici giudiziari e le altre autorità che intervengono nelle diverse fasi procedimentali, connesse alle proposte di misure di prevenzione patrimoniali.

Nell’ottica di una più incisiva attività di prevenzione e controllo sull’attività degli enti locali, è stata introdotta una particolare ipotesi di controllo, da parte del prefetto, su uno o più settori amministrativi dell’ente locale, qualora emergano situazioni anomale tali da determinare un’alterazione delle procedure, così compromettendo il buon andamento e l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali.

Sono state predisposte, inoltre, misure finalizzate al contrasto del fenomeno delle occupazioni arbitrarie di immobili, attraverso l’inasprimento delle pene fissate nei confronti di promotori o organizzatori dell’invasione, nonché con la possibilità, nei confronti degli stessi, di disporre intercettazioni.

Passiamo all’analisi di dettaglio delle disposizioni contenute nel titolo II, capo I.

 

Uso dei dispositivi elettronici per il controllo dell’ottemperanza al provvedimento di allontanamento dalla casa familiare

L’art.16 del decreto, con una modifica dell’art.282-bis co.6 c.p.p., estende le ipotesi di reato che consentono al giudice di adottare il provvedimento di allontanamento dalla casa familiare anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art.280 c.p.p. ed amplia, parallelamente, le possibilità di eseguire il medesimo provvedimento con mezzi elettronici o altri strumenti tecnici di cui all’art.275-bis c.p.p.. Più in dettaglio, la disposizione in esame introduce la facoltà di utilizzare il braccialetto elettronico come strumento di controllo dell’esecuzione del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare nelle delicate ipotesi in cui si proceda per i delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e stalking, ossia in situazioni caratterizzate da peculiari profili di pericolosità per l’incolumità personale della persona offesa e destanti particolare allarme sociale.

 

Prescrizioni in materia di contratto di noleggio di autoveicoli per finalità di prevenzione del terrorismo

La disposizione di cui all’art.17 del decreto mira a perfezionare il sistema di prevenzione degli attacchi perpetrati da organizzazioni e soggetti legati ad ambienti terroristici. “Gli attentati verificatisi nello scorso anno in diverse città europee – si legge nella Relazione di accompagnamento al d.l. n.113 del 2018 – hanno evidenziato come una delle tattiche preferite dai predetti gruppi o anche da soggetti che operano in maniera autonoma sia quella di utilizzare veicoli per colpire indiscriminatamente pedoni in luoghi affollati. Le indagini svolte dai competenti Organi di polizia dei Paesi interessati hanno documentato come gli autori di questi efferati attacchi abbiano impiegato veicoli presi a noleggio, riuscendo a passare più facilmente inosservati. Al fine di completare il quadro delle misure volte a scongiurare che tale tipologia di minaccia si presenti anche nel nostro Paese, la disposizione prevede che gli esercenti l’attività di autonoleggio di veicoli senza conducente comunichino i dati identificativi dei clienti al CED Interforze di cui all’articolo 8 della legge n.121 del 1981, al fine di verificare se a loro carico risultino specifici precedenti o segnalazioni delle Forze di polizia relativi a fatti o situazioni rilevanti per la prevenzione del terrorismo”.

Tale comunicazione deve essere effettuata prima della stipula del contratto e comunque con un congruo anticipo  (nella precedente versione il testo prevedeva almeno un’ora di anticipo) rispetto al momento della consegna dei veicolo.

Con la modifica approvata durante l’esame in Senato, si è proposto di escludere da tale obbligo i contratti di noleggio di autoveicoli per servizi di mobilità condivisa, quali, in particolare il car sharing, al fine di non comprometterne la facilità di utilizzo.

La norma prevede che i dati della cennata segnalazione formino oggetto di un raffronto automatico con i pertinenti dati inseriti nel CED per finalità di terrorismo. Nel caso in cui dall’operazione di confronto emergano situazioni potenzialmente rilevanti ai fini della prevenzione del terrorismo, il centro elaborazione dati provvede ad inviare all’Ufficio o al Comando delle Forze di polizia territorialmente competente per il luogo in cui è ubicato l’autonoleggio, un segnale di “alert” per i conseguenti controlli anche a norma dell’art.4 co.1 TULPS.

Le attuali strutture hardware ed i softwares necessari a garantire l’attuazione della norma in commento, nella disponibilità del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, sono già in grado si sopportare la prevista mole di trasmissioni (circa 15.000 richieste al giorno di verifica dei dati) che, peraltro, sono analoghe all’attività oggi posta in essere ai sensi dell’art.109 TULPS, e pertanto – si legge nella Relazione tecnica di accompagnamento al testo di legge – non è necessario effettuare alcuna implementazione dei sistemi informativi.

 

Disposizioni in materia di accesso al CED interforze da parte del personale della polizia municipale

L’art.18 prevede un ampliamento dell’accesso da parte dei Corpi e servizi della polizia locale a specifici archivi presenti nella banca dati del CED interforze, nei Comuni capoluogo di provincia.

Con l’introduzione di un nuovo comma 1-bis operata in sede di conversione al Senato, le disposizioni in esame sono ulteriormente estese ad altri comuni diversi da quelli individuati dal comma 1, sulla base di parametri determinati con un decreto del Ministro dell’interno, previo accordo in Conferenza Stato-Città e autonomie locali.

Tali parametri sono connessi:

  • alla classe demografica,
  • al rapporto numerico tra il personale della polizia municipale assunto a tempo indeterminato e il numero di abitanti residenti,
  • al numero delle infrazioni alle norme sulla sicurezza stradale rilevate nello svolgimento dei servizi di polizia stradale (di cui all’articolo 12 del codice della strada).

Attualmente il collegamento telematico della polizia municipale al CED interforze di cui all’art.8 della legge 1 aprile 1981 n.121 è regolato dal decreto del Ministro dell’interno 29 maggio 2001, avente ad oggetto il «collegamento dei sistemi informativi a disposizione del personale della polizia municipale addetto ai servici di polizia stradale con lo schedario dei veicoli rubati del centro elaborazione dati del Dipartimento della pubblica sicurezza». Tale decreto ministeriale ha dato attuazione all’art.16-quater del d.l. 18 gennaio 1993, n.8 (convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n.68), il quale, nella formulazione originaria, prevedeva che il personale della polizia municipale addetto ai servizi di polizia stradale, in deroga all’art. 9 della legge n.121 del 1981, qualora in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, potesse accedere «… allo schedario dei veicoli rubati operante presso il Centro elaborazione dati di cui all’articolo 8 della predetta legge n. 121… ». Allo stato, quindi, il CED interforze mette già a disposizione della polizia municipale i dati relativi ai veicoli oggetto di furto, veicoli oggetto di appropriazione indebita, veicoli da sequestrare o da confiscare per ordine dell’autorità giudiziaria, veicoli da fermare per comunicazioni al conducente. L’art.16-quater del d.l. 18 gennaio 1993, n.8, è stato successivamente modificato dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 8, del d.l. 23 maggio 2008, n.92, come sostituita dalla legge di conversione 24 luglio 2008, n.125. Nella nuova formulazione, accanto allo «schedario dei veicoli rubati» sono stati aggiunti quello dei «documenti d’identità rubati o smarriti» e dei «permessi di soggiorno rilasciati e rinnovati», con l’ulteriore previsione della possibilità di abilitare la polizia municipale all’inserimento nel CED interforze dei «dati relativi ai veicoli rubati e ai documenti rubati o smarriti … acquisiti autonomamente». È in corso di adozione lo specifico decreto ministeriale destinato a definire le particolari modalità di realizzazione di tale collegamento.

Alla luce del quadro normativo vigente, l’art.18 del d.l. n.113 del 2018 mira ad allargare il bacino dei dati cui può aver accesso il personale della polizia locale specificamente abilitato, prevedendo che oltre alle ipotesi di cui all’art.16-quater del decreto legge 18 gennaio 1993 n.8, convertito con modificazioni dalla legge 19 marzo 1993 n.68, il personale della polizia locale addetto ai servizi di polizia stradale, in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, quando procede al controllo ed all’identificazione delle persone, possa accedere alle informazioni relative ai provvedimenti di ricerca o di rintraccio delle persone fisiche, contenuti nel CED, in deroga a quanto previsto dal successivo art.9 della legge 1 aprile 1981, n.121. La consultazione dei dati avviene per il tramite di un sistema/applicazione di risposta semaforica del tipo hit/no hit, che consente in caso positivo di evidenziare l’eventuale sussistenza, in capo ai soggetti controllati, di provvedimenti “attivi” nel citato sistema informativo i quali richiedono un seguito operativo quali i provvedimenti restrittivi della libertà personale, i rintracci per notifica gli scomparsi, i provvedimenti Schengen e provvedimenti inerenti la patente di guida.

L’accesso del personale della polizia locale è consentito solo in modalità di “consultazione” e non anche di “inserimento” o di “modifica” dei dati; inoltre, la consultazione è da ritenersi lecita solo se finalizzata al controllo e all’identificazione della persona “a seguito di controllo su strada”.

La norma rinvia, quindi, ad un Decreto del Ministro dell’interno, da emanarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, nonché il Garante per la protezione dei dati personali, la definizione delle modalità di collegamento al Centro elaborazione dati e i relativi standard di sicurezza, nonché il numero dei soggetti che ciascun comune può abilitare alla consultazione dei dati.

 

Sperimentazione di armi ad impulsi elettrici da parte delle Polizie locali

Con l’art.19 viene recepita la proposta finalizzata a consentire ai Corpi di polizia locale, previa adozione di un apposito regolamento comunale, emanato nel rispetto dei principi, concernenti anche la formazione del personale, stabiliti in conformità alle linee generali adottate in materia di formazione del personale e di tutela della salute, con accordo sancito in sede di Conferenza Unificata, di utilizzare in via sperimentale armi comuni ad impulso elettrico in analogia a quanto disposto per l’Amministrazione della pubblica sicurezza.

In particolare, la disposizione fissa alcuni criteri di applicabilità della sperimentazione, riservata ai Comuni:

1) capoluogo di provincia

2) o con popolazione superiore a 100.000 abitanti,

3) o che rientrino nei parametri “connessi alle caratteristiche socio-economiche, alla classe demografica, all’afflusso turistico e agli indici di delittuosità“, definiti con decreto del ministro dell’Interno previo accordo sancito in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

Al riguardo, la norma, nel demandare al decreto ministeriale la definizione dei parametri, non prevede alcuna procedura per l’attestazione del rispetto dei medesimi da parte dei comuni interessati all’avvio della sperimentazione.

L’estensione della platea dei comuni che potranno fare ricorso alla sperimentazione a quelli di cui ai punti 1) e 2) è stata introdotta nel corso dell’esame del provvedimento in Senato.

Con riguardo alle possibili implicazioni di natura sanitaria, derivanti dall’attività di sperimentazione dell’arma ad impulsi elettrici, è previsto che il predetto regolamento comunale, d’intesa per questo aspetto con le aziende sanitarie locali competenti per territorio, preveda forme di coordinamento tra queste ultime e i Corpi e Servizi di polizia locale.

La norma fissa ulteriori parametri per la durata della sperimentazione e l’individuazione del personale a ciò destinato (sperimentazione per sei mesi, dotando due unità di personale individuato fra gli appartenenti ai Corpi e ai Servizi di Polizia locale).

L’espressione “polizia locale” è stata introdotta in prima lettura in Senato in luogo del riferimento alla “polizia municipale”, contenuto nel testo originario del decreto-legge.

 

Interpretazione autentica dell’art.109 Tulps

L’art.109 TULPS prevede che i gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive (compresi i campeggi) nonché i proprietari o gestori di case e di appartamenti per vacanze e gli affittacamere, ivi compresi i gestori di strutture di accoglienza non convenzionali (ad eccezione dei rifugi alpini inclusi in apposito elenco istituito dalla Regione o dalla Provincia autonoma), possano dare alloggio esclusivamente a persone munite della carta d’identità o di altro documento idoneo ad attestarne l’identità secondo le norme vigenti (per gli stranieri extracomunitari è sufficiente l’esibizione del passaporto o di altro documento che sia considerato ad esso equivalente in forza di accordi internazionali, purché munito della fotografia del titolare).

L’art.19-bis, introdotto in fase di conversione, specifica che l’obbligo di far esibire il documento di identità vale anche per i locatori o sublocatori che lochino immobili o parti di essi con contratti di durata inferiore a trenta giorni.

 

Dotazioni della polizia municipale e casistica sulla portabilità dell’arma in dotazione fuori dal territorio dell’ente

L’art.19-ter, introdotto durante la lettura in Senato, reca una disposizione interpretativa che sancisce per il personale della polizia municipale la portabilità delle armi senza licenza fuori del territorio dell’ente di appartenenza, per il caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza.

Esso incide sull’art.5 co.5 primo periodo della legge n.65 del 1986 (legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale), che disciplina, per il personale che svolga servizio di polizia municipale, le funzioni di polizia giudiziaria, di polizia stradale, ausiliarie di pubblica sicurezza.

La disposizione vigente consente agli addetti al servizio di polizia municipale ai quali sia stata conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza di portare (previa deliberazione in tal senso del Consiglio comunale) senza licenza le armi di cui siano stati dotati in relazione al tipo di servizio (nei termini e modalità previsti dai rispettivi regolamenti), anche fuori dal servizio, purché nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei casi di cui all’articolo 4.

La portabilità dell’arma è, dunque, riferita alla qualifica di pubblica sicurezza in capo al singolo addetto della polizia municipale, non già da un porto d’armi come per il comune cittadino.

Il rinvio interno previsto nel citato articolo 5 è all’articolo 4 della medesima legge n.65, avente ad oggetto il regolamento comunale del servizio di polizia municipale.

Tale regolamento comunale è tenuto ad osservare alcuni criteri, tra i quali:

a) autorizzazione delle missioni esterne al territorio per soli fini di collegamento e di rappresentanza;

b) ammissione delle operazioni esterne di polizia, d’iniziativa dei singoli durante il servizio, esclusivamente in caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza;

c) ammissione delle missioni esterne per soccorso in caso di calamità e disastri, o per rinforzare altri Corpi e servizi in particolari occasioni stagionali o eccezionali, a condizione della previa esistenza di appositi piani o di accordi tra le amministrazioni interessate, e con comunicazione al prefetto.

“L’articolo ora proposto dalla Commissione referente va ad incidere, con disposizione che si definisce di interpretazione autentica, sul raccordo interno alle disposizioni or richiamate della legge n.65 del 1986. In particolare, va a scandire la portabilità delle armi senza licenza fuori del territorio dell’ente di appartenenza, per il caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza”.

 Le altre fattispecie previste dall’articolo 4 restano disciplinate dal decreto del Ministro dell’interno n.145 del 1987, recante “norme concernenti l’armamento degli appartenenti alla polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza.

Esso prevede:

  • all’art.8, che i servizi di collegamento e di rappresentanza esplicati fuori dal territorio del comune di appartenenza siano svolti di massima senza armi. Tuttavia agli addetti alla polizia municipale cui l’arma sia assegnata in via continuativa, è consentito il porto dell’arma nei Comuni in cui svolgano compiti di collegamento o comunque per raggiungere dal proprio domicilio il luogo di servizio e viceversa.
  • all’art.9, che i servizi esplicati fuori dell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza per soccorso in caso di calamità e disastri o per rinforzare altri Corpi e servizi in particolari occasioni stagionali o eccezionali, siano effettuati di massima senza armi. Tuttavia il sindaco del Comune nel cui territorio il servizio esterno deve essere svolto può richiedere (nell’ambito di accordi intercorsi) che un contingente del personale inviato per soccorso o in supporto sia composto da addetti in possesso delle qualità di agente di pubblica sicurezza, il quale effettui il servizio stesso in uniforme e munito di arma, quando ciò sia richiesto dalla natura del servizio, ai fini della sicurezza personale, ai sensi del regolamento comunale di polizia municipale.

In ambedue le fattispecie (collegamento e rappresentanza da un lato, soccorso dall’altro) il sindaco dà comunicazione al prefetto territorialmente competente ed a quello competente per il luogo in cui il servizio esterno sarà prestato, dei contingenti tenuti a prestare servizio con armi fuori dal territorio dell’ente di appartenenza, del tipo di servizio per il quale saranno impiegati e della presumibile durata della missione.

L’arma in dotazione – prevede il citato regolamento ministeriale – è la pistola semi-automatica o la pistola a rotazione, i cui modelli devono essere scelti fra quelli iscritti nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo.

 

Estensione dell’ambito di applicazione del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive

Viene ampliata la platea dei destinatari del cd. daspo per le manifestazioni sportive, di cui all’art.6 della legge 3 dicembre 1989 n.401 sulla base del ragionamento secondo cui le manifestazioni sportive, costituendo momento di aggregazione di persone, possono rappresentare un obiettivo sensibile per potenziali attacchi terroristici.

Com’è noto, la misura del Daspo è già prevista:

– nei confronti delle persone che risultano denunciate o condannate, anche con sentenza non definitiva, nel corso degli ultimi 5 anni, per uno dei seguenti reati: porto d’armi od oggetti atti ad offendere; uso di caschi protettivi od altro mezzo idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona; esposizione o introduzione di simboli o emblemi discriminatori o razzisti; lancio di oggetti idonei a recare offesa alla persona, indebito superamento di recinzioni o separazioni dell’impianto sportivo, invasione di terreno di gioco e possesso di artifizi pirotecnici;

– nei confronti di chi abbia preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive o che abbia, nelle medesime circostanze, incitato, inneggiato, o indotto alla violenza.

La disposizione in parola, per evidenti esigenze di prevenzione, consente l’adozione del divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive anche nei confronti di un quadruplice gruppo di soggetti:

a) coloro che siano indiziati di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-quaterp.p.;

b) coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei seguenti reati:

  1. delitti contro l’incolumità pubblica di cui al Libro II, Titolo VI, capo I del Codice Penale;
  2. insurrezione armata contro i poteri dello Stato (art. 284 c.p.);
  3. devastazione, saccheggio e strage (art. 285 c.p.);
  4. guerra civile (art. 286 c.p.);
  5. banda armata (art. 306 c.p.);
  6. epidemia (art. 438 c.p.);
  7. avvelenamento di acque o di sostanza alimentari (art. 439 c.p.):
  8. sequestro di persona semplice e a scopo di estorsione (artt.605 e 630 c.p.).

c) coloro che, operando in gruppo o isolatamente, pongono in essere atti preparatori o esecutivi con finalità di terrorismo anche internazionale;

d) coloro che, operando in gruppo o isolatamente, pongono in essere atti preparatori o esecutivi volti a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’artt.270-sexies c.p..

 

Contributo delle società sportive agli oneri per i servizi di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive

L’art.20-bis, introdotto durante la lettura in Senato, prevede un incremento della contribuzione delle società organizzatrici di eventi calcistici per il mantenimento dell’ordine pubblico, con aumento della soglia minima al 5% (dall’1%) e la soglia massima al 10% (dal 3%) della quota degli introiti complessivi derivanti dalla vendita dei biglietti e dei titoli di accesso validamente emessi in occasione degli eventi sportivi calcistici, quota destinata a finanziare i costi sostenuti per il mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico in occasione degli eventi e, in particolare, alla copertura dei costi delle ore di lavoro straordinario e dell’indennità di ordine pubblico delle Forze di polizia.

 

Estensione dell’ambito di applicazione del divieto di accesso in specifiche aree urbane

L’art.21 modifica l’art.9 co.3 del decreto-legge 20 febbraio 2017 n.14 ed inserisce i “presidi sanitari” e le “aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati e pubblici spettacoli” nell’elenco dei luoghi che possono essere individuati dai regolamenti di polizia urbana ai fini dell’applicazione delle misure a tutela del decoro di particolari luoghi.

Le modifiche apportate in sede di esame al Senato, prevedono il raddoppio della durata della misura nonché l’estensione dell’ambito applicativo del divieto di accesso (cd. Daspo) a locali pubblici e pubblici esercizi.

Nella relazione illustrativa della proposta di decreto si legge che “ciò determina, quindi, la possibilità di applicare, tra l’altro, la misura del provvedimento di allontanamento del Questore nei confronti dei soggetti che pongono in essere condotte che impediscono l’accessibilità e la fruizione dei suddetti presidi dei citati eventi”.

In effetti, l’obiettivo sembrerebbe quello di consentire l’applicazione non solo del daspo urbano – rimesso alla competenza del Sindaco – ma anche dell’allontanamento (divieto di accesso) del Questore nei confronti di soggetti che pongono in essere condotte che ne impediscono l’accessibilità e la fruizione.

Non viene ampliata, però, la possibilità di applicare il divieto di accesso questorile nelle aree individuate nei regolamenti comunali ai sensi dell’art.9 co.3 della legge n.48 del 2017: tale misura, stando al dettato letterale della norma, continua a ricorrere solo in caso di violazioni delle condotte di cui i primi due commi dell’art.9 della legge n.48 del 2017 e non anche per le violazioni del terzo comma.

In altri termini, il divieto di accesso è circoscritto a possibili condotte già sanzionate con gli ordini di allontanamento di cui ai primi due commi dell’art.9 (che devono comunque essere necessariamente connotate da una pericolosità concreta del soggetto) e non anche al terzo comma dello stesso art.9, che attiene, invece, ad ordini di allontanamento emessi con riferimento alle aree individuate dai regolamenti comunali.

Ne deriva che solo le condotte di impedimento di fruibilità e di divieto di stazionamento (art.9 co.1), ovvero di stato di ubriachezza, compimento di atti contrari alla pubblica decenza, commercio abusivo (art.9 co.2) e per estensione attività di posteggiatore abusivo nelle aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze (compresi, ora, i “presidi sanitari” e le “aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati e pubblici spettacoli”)  consentono la comminatoria questorile del daspo urbano.

Probabilmente si è trattato di una mera dimenticanza del legislatore del 2017 – qui tuttavia reiterata – che non ha incluso le violazioni ai regolamenti di polizia urbana tra quelle punibili con il divieto di accesso comminato dal Questore.

 

Sanzioni per inottemperanza al divieto di accesso in specifiche aree urbane

L’art.21-ter, aggiunto nel corso dell’esame in Senato, introduce sanzioni penali in caso di inottemperanza al provvedimento di divieto di accesso in specifiche aree urbane, c.d. DASPO urbano.

In particolare, la lettera a) del comma 1, modificando il comma 2 del citato articolo 10 del decreto-legge n.14 del 2017, introduce la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno per colui che abbia contravvenuto al provvedimento del questore che disponeva nei suoi confronti il divieto di accesso ad una o più delle aree espressamente indicate dall’art.9 del medesimo decreto-legge n.14 del 2017.

Come è noto, l’art.9 del d.l. n.14 del 2017 dispone una sanzione amministrativa pecuniaria e l’ordine di allontanamento per chiunque ponga in essere condotte che impediscono l’accessibilità e la fruizione delle aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze. Inoltre il comma 3 del medesimo art.9 prevede che i regolamenti di polizia urbana possono individuare aree urbane alle quali si applicano le suddette disposizioni sulla sanzione amministrativa e l’ordine di allontanamento. Si tratta di aree su cui insistono scuole, plessi scolastici e siti universitari, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura o comunque interessati da consistenti flussi turistici, ovvero adibite a verde pubblico, nonché aree su cui insistono presidi sanitari e aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli (ai sensi dell’articolo 21 del decreto legge in esame che ha modificato l’articolo 9 del d.l. n.14 del 2017).

Soggetto alla sanzione penale dell’arresto è quindi colui che, in quanto recidivo di una delle condotte illecite di cui al citato art.9 del d.l. n.14 del 2017 – limitazione della libera accessibilità delle infrastrutture di trasporto, ubriachezza, commercio abusivo ecc.- è stato destinatario di un provvedimento del questore contenente il divieto di accesso alle suddette specifiche aree, e a tale divieto abbia trasgredito.

Si ricorda, infatti, che ai sensi dell’art.10 (comma 2) del d.l. n.14 del 2017 la reiterazione dell’illecito amministrativo di cui all’art.9 co.1 e 2 (limitazione della libera accessibilità delle infrastrutture di trasporto, ubriachezza, commercio abusivo) – ove ne derivi un pericolo per la sicurezza – comporta la possibile adozione di un divieto di accesso ai luoghi in cui è stato commesso e reiterato il predetto illecito amministrativo, per un massimo di sei mesi (dodici mesi, nella versione approvata in Senato).

Il provvedimento, adeguatamente motivato, è adottato dal questore che ne individua le più opportune modalità esecutive compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del trasgressore.

Analogamente, la lettera b) del comma 1 modifica il comma 3 dell’art.10 del d.l. n.14 del 2017, introducendo la pena dell’arresto da uno a due anni per il trasgressore di un provvedimento di divieto di accesso alle predette aree individuate ai sensi dell’art.9, nel caso in cui si tratti di soggetto condannato, con sentenza definitiva o confermata in grado di appello, nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio.

Il co.3 dell’art.10 del d.l. n.14 del 2017 prevede che qualora le condotte illecite di cui all’art.9, co.1 e 2 (limitazione della libera accessibilità delle infrastrutture di trasporto, ubriachezza, commercio abusivo), risultino commesse da soggetto condannato, con sentenza definitiva o confermata in grado di appello, nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio, la durata del divieto di accesso non può comunque essere inferiore a sei mesi (dodici mesi, nella versione approvata in Senato), né superiore a due anni.

 

Disposizioni per la prevenzione di disordini negli esercizi pubblici e nei locali di pubblico trattenimento

Ulteriori misure volte a garantire l’ordine pubblico e la prevenzione di reati nei locali ed esercizi pubblici sono state introdotte al Senato, che ha aggiunto all’art.21 del d.l. n.113 del 2018 anche i commi 1-ter e 1-quater.

Anzitutto, il comma 1-ter inserisce nel decreto legge n.14 del 2017, convertito con modificazioni in legge n.48 del 2017, un articolo 13 bis con il quale è esteso l’ambito applicativo del divieto di accesso (cd. Daspo) a locali pubblici e pubblici esercizi, già contemplato dall’art.13 dello stesso decreto legge. Detto articolo prevede “ulteriori misure di contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti all’interno o in prossimità di locali pubblici, aperto al pubblico e di pubblici esercizi”.

Si tratta di misure inibitorie temporanee di competenza del questore, che può, infatti, disporre per motivi di sicurezza – nei confronti di soggetti condannati definitivamente o con sentenza confermata in appello nell’ultimo triennio per reati di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope (art.73 del DPR n.309 del 1990) – il divieto di accesso nei locali pubblici (o aperti al pubblico) o nei pubblici esercizi in cui sono stati commessi gli illeciti. Tale divieto – di durata tra uno e cinque anni – può riguardare anche lo stazionamento nelle immediate vicinanze degli stessi locali (commi 1 e 2).

Analogamente a quanto accade in materia di Daspo, la misura – correttamente inquadrabile tra quelle di prevenzione – può essere inflitta indipendentemente dalla commissione di un reato accertato definitivamente (C. Cost., sentenza n.512 del 2002)

Siamo in presenza di divieti di lunga durata, ovvero fino a cinque anni, che possono essere disposti “individuando modalità applicative compatibili con le esigenze di mobilità, salute, lavoro e studio del destinatario dell’atto”.

La misura può riguardare anche minori ultraquattordicenni. Il provvedimento in questo caso è notificato a coloro che esercitano la potestà genitoriale.

La violazione del divieto è sanzionata, dal prefetto, salva l’ipotesi che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 40.000 euro e con la sospensione della patente da sei mesi ad un anno.

In caso di condanna per i reati in materi di stupefacenti di cui sopra, la concessione della sospensione condizionale della pena potrà essere subordinata all’imposizione del divieto di accesso in specifici locali o esercizi pubblici.

Ulteriori misure incisive sulla libertà di movimento per il contrasto allo spaccio di sostanze stupefacenti (art.13 co.3) sono adottabili per la durata massima di 2 anni dal questore nei confronti delle persone condannate per il reato di cui all’art.73 D.P.R. n.309 del 1990.

Tali misure, applicabili disgiuntamente o congiuntamente anche ai minori ultraquattordicenni, con notifica del provvedimento agli esercenti la potestà genitoriale, sono:

    • obbligo di presentazione alla p.g. almeno due volte a settimana, presso il locale ufficio della Polizia di Stato o presso il comando dell’Arma dei Carabinieri territorialmente competente;
    • obbligo di rientrare nella propria abitazione (o il altro luogo di privata dimora) entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata;
    • divieto di allontanarsi dal comune di residenza (misura analoga all’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale, previsto dall’art.6 co.3 del Codice antimafia che, tuttavia, è di competenza dell’autorità giudiziaria);
    • obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici.

Anche in questo caso, come per il divieto di accesso a seguito di violazione dell’ordine di allontanamento dei sindaco, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di Daspo concernenti la notifica, la convalida del provvedimento e la ricorribilità in Cassazione senza effetti sospensivi sull’esecuzione dell’ordinanza.

La violazione dei divieti è punita dal Prefetto, salva l’ipotesi che il fatto costituisca reato, con sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 40.000 euro e con la sospensione della patente da sei mesi ad un anno (art.13 co.6).

Rispetto al ruolo svolto dalla sentenza di condanna, mentre nel divieto d’accesso regolato dall’art.10 questa giustifica solo una maggiore estensione temporale del divieto, essendo le condotte ex art.9 il presupposto di applicazione della misura, nel caso dell’art.13,  possiamo osservare come “il presupposto è costituito da un fatto costitutivo di reato (accertato con sentenza definitiva o confermata in grado di appello)” e pertanto “il divieto pare assumere i connotati di una “impropria” misura di sicurezza”.

L’ambito di applicazione del provvedimento si presta ad essere molto ampio poiché il Questore, di fatto, potrebbe includervi un numero imprecisato di luoghi analoghi a quello in cui sono state commesse le condotte; inoltre, al di là del divieto d’accesso, in questa fattispecie il Questore è legittimato ad imporre, in alternativa, un divieto di mero stazionamento.

Il nuovo articolo 13 bis – con la clausola di esclusione delle ipotesi indicate dall’art.13 – affida al questore, per motivi di sicurezza, la possibilità di disporre il divieto di accesso a locali e esercizi pubblici o locali di pubblico intrattenimento a persone condannate con sentenza definitiva o anche solo confermata in appello nell’ultimo triennio:

  • per reati commessi nel corso di gravi disordini in pubblici esercizi o in locali di pubblico intrattenimento;
  • per reati contro la persona e il patrimonio (esclusi quelli colposi);
  • per produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 73 del DPR n.309 del 1990).

Il divieto di accesso, che può riguardare anche lo stazionamento nelle immediate vicinanze di tali locali e pubblici esercizi, deve essere motivato e, comunque, risultare compatibile con le esigenze di mobilità, lavoro e salute del destinatario del provvedimento.

Dal punto di vista temporale il divieto di accesso e stazionamento:

  • può essere limitato a specifiche fasce orarie;
  • non può durare meno di sei mesi e più di due anni (ma la durata minima è stata portata a dodici mesi durante la conversione in legge approvata dal Senato in data 7 novembre 2018).

Oggetto del provvedimento inibitorio potranno essere anche minorenni purché maggiori di 14 anni, previa notifica a chi esercita la responsabilità genitoriale.

Ulteriore prescrizione da seguire nel corso della misura – anch’essa mutuata dalla disciplina del Daspo – potrà riguardare l’obbligo di presentazione presso gli uffici di polizia, anche più volte e in orari specifici. Diversamente da quanto previsto dall’art.13 (dove la misura dura fino a 2 anni), non è qui indicata la durata di tale obbligo che, presumibilmente, corrisponderà alla durata del Daspo. In tali casi, in virtù del rinvio all’applicazione dell’art.6, commi 3 e 4, della legge 401 del 1989, tale misura – sempre di competenza del questore – dovrà essere comunicata al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente (o al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni) che entro 48 ore, se ritiene che sussistano i presupposti, ne chiede la convalida al GIP. Le prescrizioni imposte cessano di avere efficacia se il PM. con decreto motivato, non avanza la richiesta di convalida entro il termine predetto e se il giudice non dispone la convalida nelle 48 ore successive, con ordinanza. Contro la convalida è proponibile il ricorso per Cassazione che, tuttavia, non sospende l’esecuzione dell’ordinanza.

Il comma 1-quater novella l’articolo 8 del Codice antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011). Si prevede che, tra le prescrizioni nei confronti della persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S., il tribunale debba adottare anche il divieto di accedere, anche in specifiche fasce orarie, a esercizi pubblici e a locali di pubblico intrattenimento.

 

Accordi per prevenire l’illegalità

L’articolo 21-bis, inserito durante la lettura in Senato, prevede che possano essere sottoscritti, tra prefetto ed organizzazioni maggiormente rappresentative dei pubblici esercenti, accordi per prevenire illegalità o pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica e che l’adempimento su base volontaria di tali misure di prevenzione da parte del pubblico esercizio sia valutabile dal questore ai fini della sospensione o revoca della licenza.

Tale prevenzione è rivolta a situazioni che possano prodursi all’interno e nelle immediate vicinanze degli esercizi pubblici.

Siffatti esercizi sono individuati a norma dell’articolo 86 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto n.773 del 1931.

Sono misure basate sulla cooperazione tra i gestori degli esercizi e le Forze di polizia, cui i gestori medesimi si assoggettano, con le modalità previste dagli stessi accordi.

Gli accordi sono adottati nel rispetto di linee guida nazionali approvate, su proposta del Ministro dell’interno, d’intesa con le organizzazioni maggiormente rappresentative degli esercenti, sentita la Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali.

L’adesione agli accordi sottoscritti territorialmente ed il loro “puntuale e integrale” rispetto da parte dei gestori degli esercizi pubblici deve essere valutato dal questore anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti di competenza in caso di eventi rilevanti ai fini dell’eventuale applicazione dell’art.100 TULPS (sospensione o revoca della licenza).

Si ricorda che l’art.86 TULPS dispone che non possano esercitarsi, senza licenza del questore, alberghi, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè o altri esercizi in cui si vendano al minuto o si consumino vino, birra, liquori od altre bevande anche non alcooliche, né sale pubbliche per bigliardi o per altri giuochi leciti o stabilimenti di bagni, ovvero locali di stallaggio e simili (comma 1). Per la somministrazione di bevande alcooliche presso enti collettivi o circoli privati di qualunque specie, anche se la vendita o il consumo siano limitati ai soli soci, è necessaria la comunicazione al questore e si applicano i medesimi poteri di controllo degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza previsti per le attività di cui al primo comma (comma 2).

L’art.100 TULPS prevede che oltre i casi indicati dalla legge, il questore possa sospendere la licenza di un esercizio, anche di vicinato, nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini. Qualora si ripetano i fatti che hanno determinata la sospensione, la licenza può essere revocata

 

Introduzione del delitto di esercizio molesto dell’accattonaggio

L’articolo 21-quater introduce nel codice penale, all’articolo 669-bis, il reato di esercizio molesto dell’accattonaggio.

La nuova disposizione sanziona con la pena dell’arresto da tre a sei mesi e con l’ammenda da euro 3.000 a euro 6.000 chiunque esercita l’accattonaggio con modalità vessatorie o simulando deformità o malattie o attraverso il ricorso a mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà.

La nuova fattispecie di reato, avente carattere sussidiario (ove il fatto non costituisca più grave reato), riprende quando previsto dal secondo comma dell’abrogato art.670 c.p., che sanzionava il reato di mendicità, punendo con la pena dell’arresto fino a tre mesi chiunque mendicava in luogo pubblico o aperto al pubblico e con la pena dell’arresto da uno a sei mesi nel caso in cui l’accattonaggio fosse stato commesso in modo ripugnante o vessatorio ovvero simulando deformità o malattie o adoperando altri mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà.

E’ disposto, inoltre, il sequestro delle cose che sono servite o sono state destinate a commettere l’illecito o che ne costituiscono il provento.

 

Modifiche alla disciplina sull’accattonaggio

Relativamente alla fattispecie di accattonaggio di cui all’art.600 octies c.p., l’art.21-quinquies del testo approvato in Senato sanziona anche la condotta dell’organizzazione dell’altrui accattonaggio, punendo con la pena della reclusione da uno a tre anni “chiunque organizzi l’altrui accattonaggio, se ne avvalga o lo favorisca a fini di profitto”.

La previsione in questione sembrerebbe volta a sanzionare tutte quelle forme di “gestione imprenditoriale”, sistematica e continuativa dell’attività di accattonaggio. In tal senso, la disposizione sembra riferirsi non soltanto all’organizzazione dell’accattonaggio minorile, ma più genericamente all’organizzazione dell’altrui accattonaggio.

 

Disposizioni in materia di parcheggiatori abusivi

L’art.21-sexies, introdotto nel corso dell’esame in Senato, modifica il co.15-bis dell’art.7 C.d.S. e punisce chi esercita (non più “abusivamente”, bensì) “senza autorizzazione” anche avvalendosi di altre persone, ovvero determinando altri ad esercitare senza autorizzazione l’attività di parcheggiatore o guardiamacchine con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro euro 771 ad euro 3.101 (in luogo dei limiti edittali da 1.000 a 3.500 euro, per come rideterminati dall’art.16-bis del decreto-legge n.14 del 2017, convertito in legge n.48 del 2017).

Se nell’attività sono impiegati minori, o se il soggetto è già stato sanzionato per la medesima violazione con provvedimento definitivo, si applica la pena dell’arresto da sei mesi a un anno e dell’ammenda da 2.000 a 7.000 euro. È sempre disposta la confisca delle somme percepite.

 

Potenziamento di apparati tecnico-logistici del Ministero dell’interno

La disposizione di cui all’art.22 è finalizzata a corrispondere alle contingenti e straordinarie esigenze della Polizia di Stato e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, ivi compreso il rafforzamento dei nuclei N.B.C.R. del predetto Corpo, per l’acquisto ed il potenziamento dei sistemi informativi per il contrasto del terrorismo internazionale nonché per il finanziamento di interventi diversi di manutenzione straordinaria e adattamento di strutture ed impianti.

A tal fine, con l’intervento di cui al comma 1, si provvede ad autorizzare, a favore del Ministero dell’interno, una spesa complessiva di 15.000.000 per l’anno 2018 e di euro 49.150.000 per ciascuno degli anni dal 2019 al 2025.

Con il comma 2 si prevede – tramite rinvio all’art.39 – la copertura finanziaria degli oneri derivanti dal comma 1.

 

Misure per il potenziamento e la sicurezza delle strutture penitenziarie

L’art.22-bis, inserito nel corso dell’esame in Senato, stanzia ulteriori risorse da destinare a interventi urgenti connessi al potenziamento, alla implementazione e all’aggiornamento dei beni strumentali, nonché alla ristrutturazione e alla manutenzione degli edifici e all’adeguamento dei sistemi di sicurezza delle strutture penitenziarie.

 

Disposizioni in materia di blocco stradale

L’art.23 inasprisce l’attuale impianto sanzionatorio in materia di “blocco” alla libera circolazione sulle strade, prevedendo che le condotte di ostruzione o ingombro della circolazione su strada ordinaria e ferrata e di deposizione o abbandono di congegni o altri oggetti su strada ordinaria – già depenalizzate – siano riconfigurate come delitto e punite con la pena della reclusione da uno a sei anni, in analogia a quanto attualmente previsto per l’impedimento della circolazione sulle linee ferrate attraverso la deposizione di congegni o altri oggetti.

Nel corso dell’esame in Senato è stata introdotta un’eccezione alla ripenalizzazione delle indicate fattispecie con la sostituzione dell’art.1-bis del d.lgs. n.66 del 1948del 1948 (oggetto di abrogazione, per coordinamento, nel testo iniziale), prevedendosi che l’impedimento alla libera circolazione su una strada ordinaria mediante ostruzione con il proprio corpo costituisce illecito amministrativo punito con la sanzione pecuniaria da 1.000 a 4.000 euro; analoga sanzione è irrogata ai promotori e organizzatori.

Sembra derivarne che, diversamente, costituisce illecito penale l’ostruzione di strada ferrata attuata con le citate modalità.

La norma – si legge nella relazione illustrativa – “si rende necessaria al fine di fronteggiare i sempre più frequenti episodi di blocco stradale, posti in essere anche nella forma di assembramento, suscettibili di colpire una pluralità di beni giuridici che comprendono non solo la sicurezza dei trasporti, ma anche la libertà di circolazione. Conseguentemente viene disposta l’abrogazione dell’articolo 1-bis del decreto legislativo 22 gennaio 1948 n.66, che configurava le predette condotte quali mere ipotesi di illecito amministrativo.

Il comma 2 interviene sul Testo Unico in materia di immigrazione, prevedendo che la condanna con sentenza definitiva per uno dei reati di cui all’art.1 del d.lgs. 22 gennaio 1948 n.66 (blocco stradale e ferroviario e altri illeciti contro la libertà di circolazione) costituisca causa ostativa all’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato e conseguentemente determini il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 5, comma 5, del citato Testo Unico.

E’ evidente, in questo caso, l’intento di sanzionare con maggior rigore talune condotte (connotate da significativo clamore mediatico) attuate anche recentemente da immigrati in segno di protesta per condizioni di accoglienza ritenute non adeguate.

La nuova fattispecie ostativa si aggiunge all’elenco di illeciti in violazione del diritto d’autore previsti dal d.lgs. n.633 del 1941, alla contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi o di brevetti, modelli e disegni (art.473 c.p.) e all’introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art.474 c.p.).

 

Le modifiche al codice della strada

L’art.23-bis, introdotto durante la lettura in Senato, reca modifiche alle disposizioni del codice della strada concernenti il sequestro, la confisca e il fermo amministrativo dei veicoli.

La disciplina del sequestro amministrativo del veicolo di cui all’articolo 213 del C.d.S. viene sostanzialmente rivista allo scopo di ridurre al minimo la protrazione della custodia onerosa presso terzi dei veicoli sottoposti a sequestro. In tale ottica, si prevede l’affidamento al custode-proprietario anche nel caso in cui oggetto del sequestro sia un motociclo o un ciclomotore In caso di rifiuto, l’organo di polizia dispone l’immediata rimozione del veicolo e il suo trasporto presso uno dei soggetti di cui all’articolo 214-bis.

Il fermo amministrativo di cui all’art.214 C.d.S. ed il correlato ricovero del veicolo in un apposito luogo di custodia viene direttamente curato dall’organo di polizia procedente, che all’atto dell’accertamento della violazione nomina custode il proprietario ovvero il conducente o altro soggetto obbligato in solido. Se il conducente è minorenne, il veicolo deve essere sempre affidato a ai genitori o a chi ne fa le veci o a persona maggiorenne appositamente delegata. Soltanto nel caso in cui i soggetti predetti rifiutino ovvero non abbiano i requisiti previsti per assumere la custodia, il veicolo fermato deve essere consegnato al custode-acquirente convenzionato e competente per territorio.

La circolazione con mezzi sottoposti a fermo da parte del soggetto che ha assunto la custodia è vietata e sanzionata col pagamento di una sanzione amministrativa che passa nel minimo da euro 777 a 1.988 euro e nel massimo euro 3.114 ad euro 7.953, nonché con la revoca della patente e la confisca del mezzo.

Al fine di ridurre i rilevanti oneri economici che gravano sull’Erario in conseguenza dei lunghi tempi di giacenza dei veicoli nelle depositerie (attive nelle province dove non è operativa la procedura del custode-acquirente) è prevista l’introduzione nel codice della strada dell’art.215-bis, che impone ai prefetti di provvedere al censimento, con cadenza semestrale, dei veicoli giacenti da oltre sei mesi presso le depositerie a seguito dell’applicazione di misure di sequestro e di fermo, nonché per effetto di provvedimenti amministrativi di confisca non ancora definitivi e di dissequestro.

Dei veicoli giacenti deve essere redatto un elenco da pubblicare sul sito della prefettura (comma 1). Entro 30 giorni dalla pubblicazione dell’elenco, il proprietario può assumere la custodia del veicolo, provvedendo nel contempo al pagamento delle somme dovute alla depositeria. Nel caso di mancata assunzione della custodia i veicoli devono ritenersi abbandonati o nel caso di veicoli sottoposti a confisca non ancora definitiva, confiscati (comma 2). Nel caso di vendita, la somma ricavata è depositata fino alla definizione del procedimento in relazione al quale è stato disposto il sequestro o il fermo, in un autonomo conto fruttifero presso la tesoreria dello Stato (comma 3).

Le modalità di comunicazione tra gli uffici interessati sono fissate con decreto dirigenziale, adottato di concerto tra il Ministero dell’Interno e l’Agenzia del demanio (comma 4).

 

Decreto sicurezza – relazione illustrativa

Decreto sicurezza – relazione tecnica

 

 

 

 

 

 

 

 


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