Sussiste un rapporto di continuità normativa tra la precedente concussione (c.d. propria) per induzione e la nuova figura delittuosa di cui all’art. 319 quater c.p. introdotto dalla legge 6 novembre 2012 n.190.

Sentenza n.3251 del 5 dicembre 2012 – dep 22 gennaio 2013

Fino all’entrata in vigore della legge 6 novembre 2012 n.190 recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13 novembre 2012, i termini ‘costringe’ e ‘induce’ risultavano spesso impiegati in modo alternativo o anche congiunto, senza particolari diversificazioni semantiche.

In alcuni casi ricorreva l’endiadi “costringendo induce”, mentre in altri si argomentava la possibilità di intendere l’induzione come una sorta di formulazione più blanda di costrizione.

Ora, invece, la scissione delle due ipotesi criminose e il loro diverso trattamento rendono opportuno soffermarsi sui differenti profili giuridici che ne derivano.

A parere della Suprema Corte, va considerato che sotto il profilo linguistico i verbi ‘costringere’ e ‘indurre’ non indicano gli stessi momenti di un evento: “più specificamente, costringere è verbo descrittivo di un’azione e del suo effetto, mentre indurre connota soltanto l’effetto e non connota minimamente il modo in cui questo effetto venga raggiunto”.

Il termine costringe dell’art. 317 c.p. modificato dalla legge n. 190/12 – osservano i giudici di legittimità – “significa qualunque violenza morale attuata con abuso di qualità o di poteri, che si risolva in una minaccia, esplicita o implicita, di un male ingiusto recante lesione non patrimoniale o patrimoniale, costituita da danno emergente o da lucro cessante. Rientra invece nell’induzione ai sensi del successivo art. 319 quater la condotta del pubblico ufficiale che prospetti conseguenze sfavorevoli derivanti dalla applicazione della legge per ottenere il pagamento o la promessa indebita di denaro o altra utilità. In questo caso è punibile anche il soggetto indotto che mira ad un risultato illegittimo a lui favorevole”. Invece, “si ha istigazione alla corruzione ai sensi dell’art. 322 c.p. e non induzione ai sensi dell’art. 319 quater c.p. ove tra le parti si instauri un rapporto paritario diretto al mercimonio dei poteri” (Cass. pen., sez.VI, sentenza n. 3251 del 5 dicembre 2012).

Pertanto, atteso che “l’art. 317 c.p. oggi modificato già puniva entrambe le condotte del pubblico ufficiale, l’interprete, valendosi dei criteri appena tracciati, ricondurrà le imputazioni precedentemente elevate alla prima o alla seconda norma, trascurando la terminologia impiegata nel capo di imputazione che necessariamente riflette la generica endiadi costringe o induce utilizzata nella disposizione che precede”.

Questo assunto è confermato nella pronuncia della Corte di Cassazione del 4 dicembre 2012 (Sez.VI, ric. Nardi), ove ancora più accurata è la disamina sui rapporti tra l’induzione indebita di cui al ‘nuovo’ art. 319 quater c.p. e la ‘vecchia’ concussione mediante induzione.

La prima, in particolare, “si realizza nel caso in cui il comportamento del pubblico ufficiale sia caratterizzato da un abuso di poteri o di qualità che valga a esercitare una pressione o persuasione psicologica nei confronti della persona cui sia rivolta la richiesta indebita di dare o promettere denaro o altra utilità sempre che colui che da o promette abbia la consapevolezza che tali ‘utilità’ non siano dovute (fattispecie in cui il pubblico ufficiale, Comandante di una stazione dei Carabinieri, ha richiesto e ottenuto il versamento da parte del titolare di un’agenzia di assicurazione, dopo avere ricevuto il risarcimento del danno e rilasciato una quietanza liberatoria, di un’ulteriore somma di denaro, prospettando all’assicuratore con ‘insistenza’ che il danaro ricevuto non era stato sufficiente a risarcire il danno subito nonché facendo valere il proprio potere di effettuare controlli su persone clienti della medesima assicurazione)”.

La ‘induzione’ richiesta per la realizzazione del delitto previsto dall’art. 319, comma 1 quater c.p. non è diversa, sotto il profilo strutturale, da quella del previgente art.317 c.p. e, pertanto, quanto all’induzione, vi è ‘continuità normativa’ tra le due disposizioni, essendo formulate in termini del tutto identici”.

Riferimenti giurisprudenziali
– Cass. pen., sez. VI, 3 dicembre 2012, ric. Roscia (n. 46207/11) e Gori (n. 49718/11);
– Cass. pen., sez. VI, 4 dicembre 2012, ric. Nardi (n. 3366/11);
– Cass. pen., sez.VI, sentenza n.3251 del 5 dicembre 2012 – depositata il 22 gennaio 2013 – (Presidente A. Agrò, Relatore B. Paternò Raddusa).


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