Ogni epoca è caratterizzata da cambiamenti, più o meno profondi, che possono mutare il modo di pensare e di agire degli esseri umani, andando spesso ad alterare quelle che sono le strutture economico-sociali e introducendo tecnologie e meccanismi fino ad allora sconosciuti.  Ma è proprio l’essere umano che, per sua natura, brama il cambiamento ed è costantemente alla ricerca di innovazioni.

Uno dei più grandi cambiamenti avvenuti nella storia dell’uomo è l’avvento dell’era industriale. Si tratta in realtà di un lungo processo, durato secoli, nel corso dei quali si sono affermate nuove tecnologie, nuovi strumenti e nuovi stili di vita. Il primo grande cambiamento si ebbe alla fine del XVIII secolo, in Inghilterra, con l’avvento di quella che tutti noi oggi conosciamo con il nome di “Rivoluzione Industriale”. La rivoluzione industriale fu un cambiamento radicale che portò con sé la nascita delle fabbriche, di macchinari e di una nuova classe sociale: la classe operaia.

La prima rivoluzione industriale si caratterizza per la scoperta della “macchina a vapore” ovvero del utilizzo del vapore come carburante degli stabilimenti produttivi, che rese più efficiente le lavorazioni tessili, migliorò le tecniche di estrazione dell’acqua dalle miniere permettendo di scavare più in profondità e portò alla nascita della prima locomotiva. Bisognerà aspettare gli inizi del XX secolo per vedere gli effetti della “seconda” rivoluzione industriale, quando l’industrializzazione ed il miglioramento in generale dello stile di vita, portarono alla luce la necessità di produrre sempre di più, per soddisfare la popolazione sempre in crescita.

Nacque così la produzione di massa e la catena di montaggio, facilitata dall’introduzione dell’elettricità e dall’impiego di prodotti chimici e del petrolio. Ma il desiderio di innovazione proprio dell’essere umano non si arresta ed è così che, nel corso degli anni 70, si affermano i primi robot industriali ed il primo “computer”, utilizzando l’elettronica e l’informatica per automatizzare e migliorare ulteriormente la produzione. Ma anche questo non basta, aver automatizzato ed implementato con i più disparati sistemi le attività industriali non basta più, e così arriviamo ai giorni nostri, alla seconda decade degli anni 2000 e alla nascita dell’Industria 4.0.

Il termine “Industria 4.0” venne utilizzato per la prima in Germania nel 2011, durante la Fiera di Hannover. Un termine nuovo, che rappresenta un’innovazione che ad oggi non sappiamo ancora di preciso a cosa porterà visto che siamo nel pieno di questa “quarta rivoluzione industriale”, che sarà sicuramente destinata a cambiare per sempre il rapporto uomo-macchina-produzione.

Per quanto riguarda l’Italia, il Ministero per lo Sviluppo economico ha pubblicato un documento intitolato “Industry 4.0, la via italiana per la competitività del manifatturiero – Come fare della trasformazione digitale dell’industria una opportunità per la crescita e l’occupazione”. Inoltre, è stato presentato il 21 settembre 2016 il “Piano Nazionale Industria 4.0 – Investimenti, produttività e innovazione”, scaricabile al link di seguito riportato (http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/documenti/Industria_40%20_conferenza_21_9).

Sono 8 le aree di intervento che sono state identificate per promuovere lo sviluppo della “quarta rivoluzione industriale”. Innanzitutto, si parte da un rilancio degli investimenti industriali nell’ambito della ricerca e dello sviluppo, favorendo l’imprenditorialità innovativa e definendo criteri e standard comuni a livello europeo.

Tale piano, per il 2017, punta a mobilitare investimenti privati aggiuntivi per 10 miliardi, una spesa privata in ricerca, sviluppo e innovazione pari a 11.3 miliardi, ai quali si aggiungono 2.6 miliardi di investimenti privati early stage, ovvero il periodo iniziale d’investimento, mobilitati tra il 2017 e il 2020. Tale provvedimento prevede una serie di incentivi fiscali e interventi formativi in scuole ed università per incentivare le imprese ad adeguarsi alla nuova rivoluzione industriale e, perché no, a favorire la nascita di idee e innovazioni nei giovani.

Sicuramente, la ventata di novità introdotta dall’Industria 4.0 ha dato una svolta al mercato mondiale, nel quale si sono affermate nuove professioni, mentre altre saranno destinate a scomparire. Un risvolto importante si ha e si avrà nel futuro, anche nell’ambito della sicurezza sul lavoro, dove assume un valore sempre più importante l’interazione che l’uomo ha con i macchinari, con le attrezzature di lavoro e con il contesto nel quale queste sono inserite. Da mansioni pratico – operative si passerà a mansioni tecnico – intellettive caratterizzate dal digitale, da intelligenze artificiali e attrezzature in grado di pensare come la mente umana ed agire come se a compiere tali azioni fosse il lavoratore stesso.

Dalla produzione di massa, dove era fondamentale il ruolo svolto dal lavoratore a “bordo macchina” si passa ad una cybernetizzazione dei processi, ad una interconnessine tra sistemi che sfruttano l’intelligenza artificiale e il cosiddetto “internet of things”. L’acronico inglese IoT, tradotto “Internet delle Cose” mira proprio a creare una connessione tra gli oggetti della vita quotidiana e la rete, dando una sorta di identità elettronica (o virtuale) ad oggetti concreti ed apparentemente inanimati, applicandosi perfettamente a qualsiasi campo, dal industria all’agricoltura, dalla robotica al mondo biomedico. Ed è in questo contesto che ci si domanda fino a che punto l’uomo potrà spingersi in questa direzione, senza correre il rischio di essere alienato e  “de-umanizzato”.

Quale ruolo assumerà la sicurezza sul lavoro nell’Industria 4.0? A quali nuovi rischi saranno esposti i lavoratori del futuro? Il sovraccarico biomeccanico e le affezioni al sistemo osteo-muscolare, che nel corso del 2016 hanno rappresentato il 63% delle malattie professionali denunciate all’INAIL, saranno destinate a scomparire.

Gli automatismi, le intelligente artificiali ed i robot andranno a diminuire il carico fisico di lavoro dell’operatore, il quale potrà gestire in maniera sempre più autonoma la propria attività lavorativa.

Tuttavia, al carico fisico potrebbe sostituirsi il carico emotivo, dato da un livello sempre maggiore di stress o più precisamente di tecno-stress, causato dalla difficoltà di gestione del flusso di informazioni che, grazie ad una sentenza del procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, dal 2007 è riconosciuto come malattia professionale.

Il lavoratore dovrà quindi imparare a collaborare con questi “robot” e con queste intelligenze che lo affiancheranno nello svolgimento della propria attività ed un aiuto in questo senso ci viene dalla norma ISO/TS 15066 “Robots and robotic devices – Safety requirements for industrial robots – Collaborative operation” la quale precisa che, laddove robot e uomo condividano l’area di lavoro, vanno adottate misure di protezione volte a impedire il contatto tra di essi.

La chiave di volta nel mondo della sicurezza sul lavoro è proprio l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo, che non devono arrestarsi, bensì progredire verso il continuo miglioramento delle condizioni lavorative dell’uomo, facilitando lo svolgimento di compiti e attività, alleggerendo i carichi di lavoro, eliminando le attività più insalubri e maggiormente cariche di rischi per gli operatori.

Perché ciò avvenga è quindi fondamentale un approccio integrato, che non guardi solo alla sfera digitale e dell’informazione e che non contempli unicamente aspetti ingegneristici e di costruzione.

E’ necessario che discipline come la Medicina del Lavoro e la Psicologia si integrino e crescano pari passo con l’Ingegneria e l’Informatica senza mai prescindere dalla concezione umana di lavoratore. Così facendo non si parlerà più solo di Industria 4.0 ma anche di “Sicurezza sul Lavoro 4.0”.

Per qualsiasi approfondimento sulla materia si rimanda al sito del MISE – Ministero dello Sviluppo Economico. (http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/)

Dott.sa Giulia Mattanza


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