Uno dei rischi maggiormente presenti nel settore sanitario pubblico e privato è lo stress lavoro correlato. Uno studio che sarà presentato presso l’Università Unitelma Sapienza di Roma il prossimo febbraio dal Dott. Matteo Fadenti, dimostra che l’85%, di un campione di 1095 operatori sanitari italiani con più di 50 anni di età, dichiara di soffrire di stress lavoro correlato.

Lo stress è una condizione fisiologica che può portare alla comparsa di sintomi sia fisici che mentali. Per stress si può intendere una risposta non specifica dell’organismo ad uno stimolo negativo. Quando vi è uno stimolo negativo che disturba o interferisce con l’equilibrio fisiologico, il corpo cerca di adattarsi per sopperire e sopravvivere. Generalmente durante uno stress nell’organismo avvengono le seguenti reazioni:

􀀹 Aumento dell’attenzione e il cervello è focalizzato sulla percezione di fattori di “allerta”

􀀹 Aumenta l’output cardiaco

􀀹 Accelerazione della respirazione

􀀹 Incremento del catabolismo

􀀹 Re-indirizzamento del flusso sanguigno al fine di aumentare la perfusione e il “carburante” al cervello, cuore e muscoli.

Lo stressor può quindi determinare una risposta specifica verso un particolare stimolo e una risposta aspecifica, comune a tutti gli stimoli.

Lo stress in ambiente sanitario può avere diversa origine, essendo causato da forme differenti di stressors. In alcuni reparti (oncologia, ematologia, dialisi ecc) può essere semplicemente dipendente dal forte impatto emotivo del lavoro, in altri, come le chirurgie o i reparti di medicina interna, lo stress è soprattutto dovuto ai tempi ristretti dei processi lavorativi. Solitamente nel settore sanitario in senso ampio, si può dire che lo stress sia prodotto dalle forti responsabilità, dall’esposizione a situazioni difficili da gestire, da turni di lavoro importanti o dai torni notturni e dal contatto con i pazienti o con gli animali (nel caso dei veterinari o dei tecnici della prevenzione). Molto spesso le gerarchie e la competitività possono essere dei fattori di stress l.c. così come i rapporti tra colleghi o con i superiori.

Come appena citato, il lavoro a turni, in particolar modo nei turni notturni, lo stress può essere un fattore di rischio aggiuntivo importante. Infatti in questi casi, lo stress l.c., determina una alterazione dei normali ritmi di vita con la necessità di adattare il proprio ciclo attività/riposo sul sincronizzatore esterno rappresentato dall’attività lavorativa rispetto a quello naturale rappresentato dal ciclo luce/buio. È noto infatti che i livelli più alti delle funzioni del nostro organismo si manifestano nel corso della fase ergotropica, e cioè quella di luce-veglia-attività.

Pertanto, nel corso delle periodiche rotazioni da un turno all’altro l’organismo è sottoposto ad un continuo stress nel tentativo di adattare quanto più velocemente possibile i propri ritmi biologici al nuovo orario.

I principali modulatori dello stress sono rappresentati dall’ormone corticoliberina (CRH) e dalla noradrenalina rilasciata dal locus coeruleus (LC/NA), con i rispettivi effettori periferici: l’asse ipofisi-surrene ed il sistema nervoso autonomo. Uno stimolo o un evento (stressor) di tipo fisico, psicologico, sociale, cardiocircolatorio o metabolico, che attraverso un segnale sensoriale o enterocettivo avvia il sistema dello stress, causa la secrezione ipotalamica di CRH e lo stimolo della midollare del surrene con increzione di catecolamine. Interazioni reciproche sono presenti tra l’amigdala e l’ippocampo ed il sistema dello stress, che attiva questi centri ed a sua volta ne è regolato. Il livello di funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) controlla nel nostro organismo la capacità di adattamento ai mutamenti ambientali, ed in questo sistema i glucocorticoidi sono gli ormoni che permettono, stimolano, o sopprimono la risposta agli eventi, oppure preparano le risposte a stimoli successivi, in altre parole, consentono in misura variabile la stimolazione dell’intero sistema attraverso un meccanismo di tipo facilitatorio. Con le diverse fasi di confronto, adattamento e recupero, le azioni dei glucocorticoidi sono indirizzate a mantenere costante la complessa attività HPA di base, a coordinare gli eventi circadiani come il ritmo nictemerale e l’assunzione di cibo, a favorire la vigilanza, l’attenzione selettiva, l’integrazione sensoriale, la selezione della risposta e da ultimo a controllare la reattività allo stress ai vari livelli dell’intero sistema.

La regolazione della facilitazione allo stress è specifica per le diverse regioni cerebrali. Il livello di eccitabilità del nucleo mediale paraventricolare (NPV) ipotalamico è mediato dai nuclei amigdaloidei, di cui quello centrale che riceve stimoli enterocettivi è indirettamente collegato al sistema di integrazione nel tronco encefalico, mentre il nucleo mediale attivato da stressor emozionali stabilisce connessioni multisinaptiche con il NPV attraverso il letto della stria terminale (LST) mediale, l’area preottica e l’ipotalamo anteriore. Tra i neurotrasmettitori, oltre alle catecolamine, la serotonina (5-HT) e l’acetilcolina stimolano l’asse HPA, mentre il GABA e l’ossido nitrico (NO) inibiscono il rilascio di CRH e vasopressina (AVP) attraverso il sistema limbico e diversi neurocircuiti locali. Il cortisolo, in particolare, regola la secrezione di catecolamine dal NPV e incrementa il rilascio di 5-HT determinando il controllo abituativo dell’asse HPA a stress ripetuti o nuovi. Il sistema dello stress coordina la risposta adattativa agli stimoli ambientali e la sua attivazione migliora l’omeostasi aumentando le possibilità di sopravvivenza. Condizioni di stress cronico, carico psicosociale ed eventi possono facilitare lo squilibrio dei sistemi: nervoso, immunitario, cardiovascolare e del metabolismo in generale, rendendo l’organismo più suscettibile allo sviluppo delle malattie.

Si può capire che lo stress quindi va ad incidere spesso con fattori legati all’alimentazione. Come detto questo può andare a creare degli scompensi nell’alimentazione (stimolo della fame), attivando l’asse GH/IGF- I può andare a predisporre il soggetto a: obesità viscerale, ipertensione, osteoporosi, dislipidemie, insulino-resistena e malattie cardiovascolari. Tutti questi aspetti sono correlati o comunque si possono correlare al tema dell’alimentazione. Peraltro la risposta allo stress varia anche in funzione del lavoro. Chi effettua un lavoro di tipo mentale tende ad avere la risposta di cortisolo più elevata e persistente anche al termine delle ore lavorative mentre la risposta di catecolamine è attenuata, chi invece svolge un lavoro di tipo fisico tende ad avere la risposta di catecolamine più elevata mentre la risposta di cortisolo si adatta rapidamente alla tipologia di lavoro e non aumenta durante le ore lavorative.

Quando la risposta è maggiore nei confronti delle catecolamine le patologie correlate sono: ipertensione, infarto miocardico ed aritmie. Quando la risposta è polarizzata verso il cortisolo, le patologie correlate sono: insulino-resistenza e diabete, depressione, deficit del metabolismo, alterazioni mestruali e malattie autoimmuni.

Lo stress è poi fortemente correlato con un altro rischio, quello del lavoro notturno. Infatti esiste una correlazione tra lavoro notturno, deprivazione del sonno, stress e metabolismo. Causa di stress possono esser proprio i turni notturni oppure semplicemente livelli alti di stress protratto nel tempo possono provocare insonnia e quindi difficoltà nel sonno.

Uno studio americano di R. Wolk e V. K. Somers dimostra come lavoro notturno e la deprivazione di sonno comportino un aumento della probabilità di incorrere in: resistenza insulinica, obesità, ipertensione e dislipidemie, tutte condizioni trattabili con l’alimentazione o comunque correlabili all’alimentazione.

Altri studi correlano lo stress al sonno e al metabolismo e all’invecchiamento. Infatti le persone di età compresa tra 32 e 49 anni che dormono meno di 7 ore per notte hanno in media un peso corporeo maggiore e sono maggiormente a rischio di diventare obesi rispetto a chi dorme più di 7 ore per notte. Inoltre è stato dimostrato che dormire 5 ore per notte è associato ad un rischio raddoppiato di sviluppare ipertensione in persone di età compresa tra 32 e 59 anni mentre gli uomini che dormono 5-6 ore per notte hanno un rischio doppio di sviluppare diabete.

La carenza di sonno, insieme allo stress l.c. protratto, possono quindi provocare un aumento della fame, con conseguente aumento di peso, provocano inoltre un’alterazione del metabolismo glicidico che può provocare insulino-resistenza che insieme all’aumento di peso predispone il soggetto al diabete.

Prevenire ed affrontare il rischio stress l.c. non è per nulla facile. Prima di tutto è necessario capire la fonte del problema e questo lo si fa attraverso il documento di valutazione del rischio stress lavoro correlato. Successivamente si devono attuare delle misure preventivo che però spesso non bastano. Diventa quindi necessario che il lavoratore attui delle misure personali che lo aiutino a sfogare lo stress e a ridurre il danno fisiologico che questo può provocare. In questo caso gioca un ruolo fondamentale la prevenzione del rischio attuata dal servizio di prevenzione e protezione aziendale e anche da fattori “privati” del lavoratore come l’attività fisica e l’alimentazione, che non è da considerarsi solamente come fattore personale del lavoratore ma anche un tema su cui l’azienda, soprattutto negli ospedali con mense, deve agire per ridurre il livello di stress lavoro correlato.


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