Il servizio pubblico locale a rilevanza economica, concretantesi nella raccolta e nell’avvio a riciclo e/o discarica dei rifiuti urbani, non può ammettere soluzioni di continuità.

Qualora il comune, titolare del servizio, non abbia approntato gli strumenti (ordinari) configurati dall’Ordinamento per l’immediato passaggio di consegne da vecchio gestore scaduto a nuovo gestore subentrante, soccorre lo strumento straordinario dell’ordinanza del sindaco, contingibile e urgente ai sensi dell’art. 50, comma 5, TUOEL, con la quale il “primo” cittadino può imporre al gestore scaduto (o in scadenza) di proseguire nella conduzione delle attività e delle prestazioni, nelle more dell’individuazione del nuovo operatore.

Il “retroterra” motivazionale dell’ordinanza sindacale “extra ordinem”, è dato dall’esigenza di fronteggiare, adeguatamente e tempestivamente, una situazione di pericolo ambientale (quella del rischio di compromissione dell’igiene dei luoghi) e per la salute pubblica “in re ipsa”, provocata dal mancato prelievo e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, rispetto alla quale gli ordinari strumenti approntati dall’ordinamento (ad esempio, le procedure di evidenza pubblica preordinate all’individuazione di un operatore esterno o la stipulazione di contratto di servizio con società partecipata) non sopperiscono, a fronte del fattore “tempo già scaduto”.

Il potere di ordinanza in questione, si sviluppa in deroga alle disposizioni che regolano in via ordinaria l’azione amministrativa, seppur nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento. Conseguentemente, risulta praticabile la deviazione dalle regole di scelta del contraente proprie degli appalti pubblici di servizi, oltre che da quelle che presidiano le modalità di finanziamento del servizio in esame.

Inoltre, la natura di provvedimento d’urgenza della decisione sindacale “sdogana” l’esonero dall’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, nei riguardi del gestore prorogato, ai sensi dell’articolo 7, comma 1 della L. n. 142/1990 e successive modificazioni.

L’ “obiettività” della situazione di emergenza non viene attenuata nemmeno dal comportamento colpevolmente omissivo del comune, che non si sia attivato per tempo nella individuazione di un successivo gestore: sussiste ugualmente l’obbligo del gestore scaduto di “chinare” il capo, proseguendo nella prestazione del servizio.

Per completezza d’esposizione, va evidenziato come:

–  il comune non sia tenuto a “sondaggi di mercato”, contatti informali con differenti operatori, gare ufficiose, al fine della individuazione del soggetto onerato delle prestazioni d’urgenza e d’emergenza;

–  non possa escludersi che la violazione dell’ordinanza d’imposizione della proroga, consenta la rubricazione del reato di violazione dell’ordine legalmente dato dall’Autorità Amministrativa per ragioni d’igiene, di cui all’art. 650 del codice penale, in capo al gestore scaduto ed inottemperante;

– il gestore scaduto e “battezzato” dalla proroga, non subisca alcun pregiudizio dall’affidamento, si diretto, ma allo stesso tempo “coatto”, del servizio, in vista della regolare partecipazione a successive procedure di evidenza pubblica, in quanto la proroga imposta costituisce istituto ben diverso dalla proroga negoziata e consensuale (rectius, clientelare): non si è assolutamente in presenza di una “rendita di posizione” sanzionabile dall’ordinamento.

Ovviamente, il potere di ordinanza sindacale non può modellare “ad libitum” i contenuti sostanziali del rapporto prorogato, sia con riferimento ai tempi di durata dell’imposizione sia in relazione ai valori economici di corrispettivo.

Per la quantificazione della durata massima della proroga, ci si può avvalere ed ancorare alla “migliore” giurisprudenza nella materia dei contratti pubblici, che ha preso a riferimento, per il computo accettabile delle proroghe contrattuali, i tempi medi d’espletazione delle procedure di evidenza pubblica preordinate alla determinazione dei partner privati di appalti di servizi: pertanto, si considera, quale soglia massima ragionevolmente tollerabile, il semestre, utile, altresì, a garantire da eventuali imprevisti nell’espletamento delle selezioni, anche se non va dimenticato come, talora, si sia bonariamente “validata” la duplice proroga di sei mesi più tre!

Quanto al corrispettivo di proroga, sicuramente vanno presidiati gli interessi di cassa del comune all’acquisizione del servizio al minor prezzo di mercato, al risparmio  e alla convenienza economica, ma non sino al punto di cristallizzare e rendere immodificabili nel tempo gli originari valori di canone.

Gli interessi pubblici di cui sopra vanno, ad ogni modo, contemperati con l’esigenza di arrecare il minor sacrificio possibile al privato; a fronte di ciò, non possono essere configurati “prezzi imposti”, non possono essere applicati unilateralmente/autoritativamente corrispettivi raccordati a valori risalenti nel tempo, senza la verifica della loro idoneità a remunerare con carattere di effettività il servizio da rendere: non può prescindersi dall’esigenza di giusto compenso per il destinatario del provvedimento coercitivo. Il congelamento dei prezzi sugli importi del contratto originario, in assenza di approfondimenti analitici circa possibili adeguamenti, si porrebbe, infatti, in diretto contrasto con i principi desumibili dalla Costituzione, agli artt. 23 (“Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” – e l’ordinanza del sindaco, sia pure contingibile e urgente, non è legge, nel senso ivi inteso dalla Costituzione) e 41 (che ostacola gli ingiustificati sacrifici dell’iniziativa economica privata, a vantaggio della pubblica amministrazione), nel momento in cui si arretrasse rispetto ai valori attualizzati di mercato, violando elementari criteri di sinallagmaticità; cotanto provvedimento sarebbe (parzialmente) viziato, “in parte qua”, da “eccesso di potere”, per manifesta ingiustizia.

Si evita la violazione degli “assunti” costituzionali, approntando almeno la seguente soglia (minimale): rivalutazione – secondo gli indici ISTAT – degli originari compensi pattuiti, sul periodo “originaria attivazione del rapporto gestorio / data di adozione dell’ordinanza contingibile e urgente”, fatta salva la possibilità della dimostrazione di valori ulteriori. Siffatta dimostrazione, tuttavia, non può limitarsi alla mera enunciazione di cifre: occorre suffragare con riscontri tecnici, anche a carattere documentale, il surplus agognato, ed in tal senso il richiamo ai valori desumibili da recenti gare sul medesimo ambito territoriale è in grado di assumere significatività, soltanto in presenza di omogeneità tra le prestazioni (del vecchio e del nuovo appalto) da porre a confronto.

Ovviamente, il ritardato pagamento degli emolumenti (rivalutati), da parte del comune, è sanzionato con l’applicazione degli interessi corrispettivi sulla somma rivalutata, che maturano dalla data di definitiva cessazione del servizio (in regime di proroga) sino alla materiale dazione.

In conclusione, torna utile ricordare come il regime di proroga comporti l’ultra/attività dell’originario capitolato speciale d’appalto, in tutta la dimensione tecnicamente compatibile e quindi sicuramente anche per la disciplina delle “penali”, che continuano a poter/dover essere applicate in caso d’inottemperanze del gestore. In altri termini, non va ravvisata nell’ordinanza del sindaco l’unica fonte di disciplina del “nuovo” rapporto che accede a quello scaduto; il pregresso rimane in vigore, nei limiti della “coerenza” riguardo alla situazione da fronteggiare sul presente; la dimensione di coazione, non esonera l’operatore dal rendere prestazioni a “regola d’arte”[1].

Roberto Maria Carbonara*

* Segretario generale del comune di Segrate


[1] Il presente contributo trova i suoi riscontri giurisprudenziali in: TAR Lombardia Brescia, sez. II^, sentenza n. 214 del 5 marzo 2013; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 3668 del 21 giugno 2012; TAR Lazio Roma, sez. 2^, sentenza n. 8173 del 6 ottobre 2011; TAR Sardegna, sez. I, sentenza n. 556 del 11 giugno 2011; TAR Sicilia Catania,  sez. III, sentenza n. 859 del 7 aprile 2011;  Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza n. 21 del 27 gennaio 2005; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 6624 del 2 dicembre 2002;  TAR Lazio Roma, sez. II^, sentenza n. 8173 del 6 ottobre 2001.


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