Come noto, l’istituto dell’in house providing, a fronte del quale la pubblica amministrazione può affidare la gestione di propri servizi a suoi organismi derivati (tipo le società partecipate), direttamente e senza gara, è di creazione esclusivamente giurisprudenziale: è stato forgiato dalla giurisprudenza comunitaria, per stratificazioni progressive, e tutt’al più recepito dall’ordinamento positivo interno “chiavi in mano”.

In effetti, non sarebbe potuta andare diversamente: le intricate esigenze di tutela della concorrenza nel mercato comune europeo, non avrebbero consentito al legislatore nazionale autonome divagazioni sul tema, salve le piccole registrazioni d’uso.

La mutazione genetica – Soltanto le oscillazioni del diritto comunitario in senso stretto, anche normative, sono abilitate a dire qualcosa di nuovo sull’argomento … Ed in realtà, così è avvenuto!

L’art. 12 della direttiva n. 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici, che abroga la precedente direttiva 2004/18/CE, ha finito collo scardinare granitiche certezze, apportando “profonde” innovazioni.

A questo punto, la sincronizzazione della bussola degli enti dovrà tenere conto delle seguenti inaspettate coordinate:

1) quanto al requisito dello svolgimento della parte più importante delle attività esercitate dall’organismo derivato a vantaggio dell’ente generatore: si arriva alla quantificazione numerica dell’80%, sia pure spalmabile anche sulle ulteriori persone giuridiche controllate dall’amministrazione proprietaria; cotanta cifra deve essere calcolata prendendo a riferimento il fatturato totale medio o un’idonea misura alternativa basata sulle funzionalità effettive e, più precisamente, sui corrispondenti costi sostenuti nel triennio precedente (nei campi dei lavori, delle forniture o dei servizi); in mancanza (in ragione della – troppo – recente data di costituzione o di inizio dell’attività dell’organismo derivato) o in caso di inappropriatezza (a mente dell’intrapresa di sostanziali riorganizzazioni – rivisitazioni), possono essere elaborati indici e proiezioni succedanei “comunque credibili”;

2) ma soprattutto, si incrina il “sacro dogma” del divieto di partecipazione di capitali privati nella persona giuridica controllata: purchè si tratti di forme di partecipazione che non comportino controllo o potere di veto (blocco), o, in altri termini, non esercitino un’influenza determinante. Nel tentativo di darsi, anche in questo caso, una quantificazione, la condizione sarebbe sicuramente assolta, allo stato dell’arte, nelle fattispecie di partecipazione privata inferiore al 2%;

3) senza poi dimenticare la migliore definizione della nozione di “controllo analogo” a quello esercitato sui servizi e gli uffici (dipartimenti) direttamente posseduti dall’ente proprietario, agganciata espressamente all’influenza determinante  sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della persona giuridica controllata; inoltre, la funzione di controllo potrebbe addirittura essere mediata da un’entità frapposta, a sua volta “analogamente controllata” dal referente originario.

Le prospettive attuali e future – Tale direttiva non è ancora stata recepita nell’Ordinamento Italiano, essendo tuttora in corso il relativo termine d’accoglimento.

Tuttavia, secondo il Consiglio di Stato, sezione seconda, in sede consultiva, parere n. 298 del 30 gennaio 2015 (1) essa appare riferibile, nella parte qui rilevante, al tipo “self executing”, ossia riveste carattere sufficientemente dettagliato da non presentare concreti dubbi circa la sua concreta e immediata attuabilità.

In definitiva, l’intervenuta (parziale) mutazione genetica dell’in house consente di ampliare le sinergie funzionali delle pubbliche amministrazioni, senza alterare la connotazione pubblicistica delle loro attività.

Anche perché il nuovo impianto non verrebbe ribaltato nemmeno dalla dimensione dello svolgimento, da parte del soggetto in house, di talune attività con carattere d’impresa, purchè l’operatività di mercato risulti coerente con gli obiettivi istituzionali e comunitari e, quindi, non avvantaggiata dal beneficio di finanziamenti pubblici, che consentirebbe di prospettare offerte prestazionali anormalmente basse (in tal senso, Corte di Giustizia U.E., quinta sezione, sentenza del 18 dicembre 2014, assunta nella causa C-568/13).

Per evidenti ragioni di simmetria aritmetica, siffatta vocazione “commerciale” non può in ogni caso superare il 20% delle attività, secondo i soliti parametri.

Roberto Maria Carbonara, segretario comunale

(1) “Com’è noto, la direttiva 2014/24 non è stata ancora recepita, essendo ancora in corso il termine relativo per l’incombente, e tuttavia essa appare di carattere sufficientemente dettagliato tale da presentare pochi dubbi per la sua concreta attuazione. Non vi è dubbio quindi che nel caso in esame, se non vi è addirittura un’applicazione immediata del tipo “self-executing”, non può in ogni caso non tenersi conto di quanto disposto dal legislatore europeo, secondo una dettagliata disciplina in materia, introdotta per la prima volta con diritto scritto e destinata a regolare a brevissimo la concorrenza nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nell’U.E”.


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