Con la propria determinazione n. 8/2015, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha definitivamente approvato (all’esito della necessaria fase di consultazione pubblica) le «Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici», elaborate in seno all’apposito tavolo congiunto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Le linee guida sono innanzitutto rivolte alle società ed agli enti di diritto privato in controllo pubblico o a partecipazione pubblica non di controllo nonché agli enti pubblici economici, al fine di fornire loro utili indicazioni per la corretta applicazione della normativa in materia di trasparenza e prevenzione della corruzione (ai sensi, in particolare, della l. 190/2012 e del d.lgs. 33/2013). Il principale obiettivo dichiarato consiste nel favorire un’applicazione autentica e sostanziale di tale normativa, da adattare alla realtà organizzativa delle singole società o dei singoli enti di riferimento, affinché vengano introdotti strumenti di prevenzione mirati e incisivi, evitando, al contrario, l’adozione di soluzioni meramente adempimentali, che si rivelerebbero di scarsa utilità e di corto respiro.

Le linee guida, tuttavia, si rivolgono anche alle amministrazioni controllanti, partecipanti e vigilanti cui compete un ruolo attivo per assicurare o promuovere, in relazione al tipo di controllo o partecipazione, l’adozione delle misure di trasparenza e di prevenzione della corruzione da parte delle società e degli enti di riferimento.

Stante la rilevanza, ma anche l’eterogeneità del fenomeno delle società e degli altri enti di diritto privato partecipati e controllati da amministrazioni pubbliche, le linee guida elaborate dall’ANAC paiono oltremodo essenziali, innanzitutto per definire il perimetro di applicazione della normativa in materia di trasparenza e anticorruzione e per graduarne le modalità attuative, a seconda della natura dei soggetti di volta in volta considerati.

In proposito, emergono alcune indicazioni sicuramente importanti, a partire dall’esclusione delle società quotate e di quelle emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati, per le quali l’Autorità si riserva di adottare successive specifiche linee guida.

Più significativa risulta la definizione e distinzione delle società in controllo pubblico e di quelle a partecipazione pubblica, anche in relazione al diverso grado di intensità degli obblighi in tema di trasparenza e anticorruzione cui soggiacciono.

Nel novero delle società controllate (direttamente e indirettamente) da amministrazioni pubbliche rientrano quelle individuate ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, punti 1) e 2), ossia in funzione della disponibilità della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria o, quantomeno, di voti sufficienti per esercitarvi un’influenza dominante.

Viene invece esclusa l’ulteriore fattispecie del “controllo contrattuale” (punto 3), qualora non si accompagni ad una partecipazione al capitale o all’esercizio di poteri di nomina degli amministratori, al fine di evitare (coerentemente alle indicazioni del legislatore in materia) l’estensione della disciplina a soggetti di per sé estranei al settore pubblico.

Per contro, e del tutto coerentemente, viene esplicitato l’inserimento nell’ambito delle società controllate di quelle affidatarie “in house” di attività strumentali o di servizi pubblici (in relazione al pregnante “controllo analogo” cui sono, per definizione, soggette).

Tuttavia, le linee guida precisano, altresì, che le esigenze di più intenso assoggettamento agli obblighi in tema di trasparenza e anticorruzione “si ravvisano anche quando il controllo sulla società sia esercitato congiuntamente da una pluralità di amministrazioni, cioè in caso di partecipazione frazionata fra più amministrazioni in grado di determinare una situazione in cui la società sia in mano pubblica”.

Questa formulazione, nella sua sinteticità, non risolve del tutto un dubbio interpretativo piuttosto diffuso, riguardante sia “società market” (non beneficiarie di affidamenti diretti) a capitale interamente pubblico, sia società miste a maggioranza pubblica, cui partecipino, per quote relativamente modeste, una pluralità di amministrazioni pubbliche.

Infatti, l’espressione “controllo esercitato congiuntamente” si presta almeno a due diverse interpretazioni: l’una più tecnica ed effettiva, riferibile a quelle situazioni in cui, sulla base di specifiche norme statutarie o appositi patti parasociali, è concretamente rinvenibile, ancorché esercitata congiuntamente da più soci, la nozione di controllo definita dal richiamato art. 2359 c.c.; l’altra più colloquiale (derivata dal linguaggio comune più che dal diritto societario) e potenziale, che porterebbe ad estendere la nozione di controllo a situazioni in cui questo, ai sensi del richiamato art. 2359 c.c., è di fatto mancante, pur essendo, nel contempo, la società “in mano pubblica”.

Essendo numericamente molte le società a partecipazione pubblica che si trovano in questa situazione, una migliore formulazione delle linee guida in proposito e, più in generale, della normativa in materia sarebbe auspicabile, sia per fugare qualsiasi dubbio sugli obblighi cui tali società sono soggette, sia per consentire alle amministrazioni pubbliche interessate di (individuare ed) esercitare efficacemente il proprio ruolo.


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