Gli accordi di cooperazione sottoscritti ai sensi dell’art. 15 della L. n. 241/1990 e dell’art. 5, comma 6, del D. Lgs. n. 50/2016, sia da soggetti pubblici che da società in house per la gestione di un SIEG, sono legittimi quando la società vi partecipa non come operatore economico ma quale organismo servente gli enti pubblici controllanti e il fine è quello di attivare un’efficace collaborazione fra territori vicini per l’effettivo scambio di competenze, l’apporto  know how e l’ottimizzazione di risorse umane e materiali.

Tar Veneto, sez. I, sentenza 17 maggio 2017, n. 493, Pres. Nicolosi, Est. Fenicia

A margine

Nella vicenda, una società mista attiva nel campo della gestione integrata del servizio rifiuti chiede al Tar l’annullamento della delibera con cui un’Unione Montana stabilisce di provvedere alla gestione del medesimo servizio mediante affidamento in house ad altra impresa ritenendo che tale modalità celi una palese elusione delle vigenti disposizioni in materia di contratti pubblici, nonché delle norme che tutelano la libera circolazione dei servizi e la concorrenza.

A suo avviso, infatti, solo apparentemente il servizio in questione sarebbe svolto dalla predetta società in quanto la parte preponderante sarebbe concretamente affidata (senza gara) ad una socia di quest’ultima a sua volta società in house appartenente ad altro Consiglio di Bacino veneto.

In tal senso, anche l’accordo di cooperazione ai sensi dell’art. 15 della L. n. 241/1990 e dell’art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 50/2016 sottoscritto da tutti i soggetti a vario titolo interessati (Unione Montana, un Comune, Consiglio di Bacino, oltre alle due società in house), che prevede il coinvolgimento operativo della società socia sarebbe da ritenersi illegittimo in quanto diretto a concretizzare non già una “autoproduzione” del servizio, bensì una esternalizzazione dello stesso mediante un non consentito affidamento diretto.

Ciò premesso, la ricorrente adduce:

  • la violazione della L.R. Veneto che attribuisce ai consigli di bacino le funzioni di “affidamento e controllo del servizio pubblico di gestione integrata dei rifiuti urbani”. In particolare, pur ammettendo che l’Unione Montana, nelle more dell’attivazione del proprio Consiglio di Bacino, potesse effettivamente provvedere ad un nuovo affidamento al fine di garantire la continuità di un servizio essenziale, si afferma che la stessa ha agito “in totale ed assoluta autonomia, e senza alcun previo coordinamento con l’Ente di governo dell’ambito essendosi limitata ad interessare il Consiglio di Bacino per chiedere solo una sorta di “ratifica” finale del proprio operato;
  • l’illegittimità dell’accordo di cooperazione intervenuto tra gli enti pubblici coinvolti e le due società per violazione degli artt. 5, comma 6, D.Lgs. n. 50/2016 e 15, L. n. 241/1990, avendovi preso parte anche soggetti formalmente privati e perseguendo, il medesimo accordo, l’unica vera finalità di affidare in via diretta un servizio pubblico ad un operatore economico terzo, socio dell’in house incaricata, eludendo le dovute procedure competitive e ponendolo in posizione privilegiata rispetto ai suoi potenziali concorrenti;
  • la violazione dell’art. 192, comma 2, del vigente Codice dei Contratti, per mancanza di motivazione e di istruttoria in ordine alla scelta del modello in house, per inadeguatezza della valutazione sulla congruità economica delle condizioni offerte, sicuramente meno vantaggiose di quelle che avrebbe potuto offrire la ricorrente.

L’Unione Montana, costituita in giudizio, eccepisce il difetto di legittimazione della società mista, non potendo la stessa partecipare a gare “extra moenia” in quanto affidataria diretta di un servizio pubblico locale.

Il Tar ritiene il presunto mancato coinvolgimento del Consiglio di Bacino nella decisione dell’Unione Montana infondato in quanto smentito dalla documentazione depositata agli atti dalla quale si evince che, al momento della delibera, il Consiglio di Bacino risultava ancora sostanzialmente inattivo e che l’Unione Montana e il medesimo Consiglio di Bacino hanno comunque interloquito con contestuale inserimento nel contratto di servizio di una clausola risolutiva espressa volta a subordinare l’efficacia dell’affidamento alle future determinazioni di competenza del Consiglio stesso; infine, con apposita nota, il Consiglio di Bacino ha preso formalmente atto dell’affidamento del servizio, senza avanzare obiezioni circa la legittimità dell’azione.

In ordine alla sussistenza delle condizioni previste dall’art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 50/2016 per la conclusione di un accordo cooperativo tra Amministrazioni pubbliche il collegio osserva che, quanto al profilo soggettivo dei partecipanti all’accordo, vi hanno preso parte gli enti pubblici coinvolti, e solo “per quanto di competenza”, le società due in house richiamate, le quali sono intervenute non in qualità di operatori economici, bensì quali soggetti serventi gli enti pubblici controllanti. In ogni caso, la partecipazione all’accordo di cooperazione della società socia dell’affidataria non potrebbe comportare una elusione delle norme del codice dei contratti, in quanto la prestazione a quest’ultima richiesta ha un valore di 28.500 euro, e pertanto suscettibile di affidamento diretto ai sensi dell’art. 36, comma 2, lett. a) del D.Lgs. n. 50/2016.

Quanto alla sussistenza delle ragioni d’interesse pubblico necessarie alla stipula dell’accordo, il Tar evidenzia che con tale accordo, l’Unione Montana ha inteso avvalersi dell’esperienza acquisita dalla società socia dell’in house incaricata (e sua volta società in house di altro Consiglio di bacino veneto), sia dal Comune tramite l’affidataria designata quale società compartecipata dal Comune stesso, al 51%, e dall’altra società in house socia, al 49%), al fine di riorganizzare il servizio di raccolta rifiuti nel proprio territorio secondo un modello caratterizzato dalla raccolta domiciliare di tutte le principali frazioni di rifiuto, avendone riscontrato l’efficienza quanto a percentuale di raccolta differenziata e a metodo di tariffazione.

Di qui la decisione dell’Unione Montana di acquisire una partecipazione pari al 40 % del capitale sociale nella società in house designata e di avvalersi del temporaneo affiancamento della sua socia nella fase di avvio e messa a regime del nuovo servizio.

D’altro canto, nelle premesse dell’Accordo si dà atto che, la società socia “ha l’interesse ad accrescere le proprie conoscenze organizzative del servizio soprattutto in territori diversi da quelli tradizionalmente serviti anche al fine di consentire ad un modello virtuoso di gestione dei rifiuti di replicarsi ed espandersi, con gli opportuni adattamenti, in realtà differenti, oltre a ottimizzare la attuale propria organizzazione operativa, le attrezzature in uso e l’impiantistica di servizio”, ed ivi si osserva anche che: “una efficace collaborazione fra territori vicini consente un effettivo scambio di competenze, l’apporto di soluzioni e know how specifici a favore di un territorio diverso, nonché l’ottimizzazione di risorse umane e materiali, con conseguenti positive ricadute sulla popolazione dei rispettivi territori”.

Le “considerazioni inerenti all’interesse pubblico” di cui al comma 6 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 50/2016, sono pertanto evidenti e possono essere compendiate nell’intenzione delle amministrazioni partecipanti di sviluppare ed esportare in diversi territori della Regione Veneto, un virtuoso servizio di raccolta differenziata “spinta” con tariffazione puntuale.

Resta pertanto indimostrata la tesi della ricorrente.

Infine il Tar afferma che il ruolo della società in house socia, in base all’accordo di cooperazione, rimane circoscritto alle attività di carattere prettamente amministrativo afferenti allo start up del nuovo servizio come confermato dal “contratto di service” attuativo dell’accordo di cooperazione, tra le due società.

Ne consegue che le attività assegnate alla socia sono limitate nel tempo e del tutto marginali rispetto alla vera e propria gestione del servizio pubblico da condurre e attualmente condotta dalla società designata.

Pertanto gli assunti circa l’effettiva conduzione del servizio in questione da parte della società socia risultano del tutto sforniti di fondamento.

Da ultimo, anche la doglianza circa la valutazione dell’Amministrazione sull’economicità dell’affidamento del servizio disposto dalla Unione Montana è infondata in quanto la motivazione tecnico-economica-finanziaria della scelta è compiutamente argomentata nella relazione illustrativa approvata dall’Unione, ai sensi dell’art. 34, comma 20, del D.Lgs. n. 179/2012.

Pertanto il Tar rigetta il ricorso.

di Simonetta Fabris

 


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