La destinazione a “verde pubblico attrezzato” è radicalmente incompatibile con la permanenza del fondo in proprietà privata, poiché tale destinazione permette di realizzare opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica. Si tratta dunque di un vincolo preordinato all’espropriazione, di durata quinquennale ai sensi dell’art. 9 del d.P.R. n. 327/2001.

TAR Sicilia, Catania, 28 giugno 2013, n. 1893, Pres. Biagio Campanella, Est. Maria Stella Boscarino

Il caso

Il giudice si pronuncia sul ricorso per l’annullamento del silenzio rifiuto di un Comune sulla richiesta di provvedere all’attribuzione di una nuova destinazione urbanistica all’area di proprietà dei ricorrenti, destinata a “verde pubblico di arredo urbano” dallo strumento urbanistico approvato più di cinque anni prima.

La questione investe la natura, conformativa o espropriativa, di tale vincolo.

La sentenza

Il TAR Catania afferma che il vincolo di un’area a “verde pubblico di arredo urbano” non può essere espressione di potestà conformativa, avente validità a tempo indeterminato, ma ha sempre natura espropriativa.

Ciò, sulla base della considerazione che “sussiste un vincolo preordinato all’espropriazione tutte le volte in cui la destinazione dell’area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica”.

Per il giudice non rileva che la legge regionale consenta in tale area la realizzazione, da parte dei privati, di uno o più piani interrati di proprietà privata, destinati esclusivamente a parcheggio, a condizione che sia realizzato in superficie il verde pubblico da cedere gratuitamente al Comune.

Secondo il TAR Catania, infatti, la distinzione tra vincoli conformativi e vincoli espropriativi va fatta assumendo come parametro di riferimento il contenuto minimo essenziale del diritto di proprietà. E questo contenuto minimo per il giudice non può consistere nella sola possibilità di realizzare parcheggi sotterranei, “considerata l’onerosità connessa alla costruzione di un parcheggio sotterraneo, accompagnato dalla necessaria realizzazione del verde pubblico in superficie con contestuale cessione gratuita al Comune”.

Per tali motivi il giudice accoglie il ricorso dichiarando illegittimo il silenzio tenuto sulla richiesta dei ricorrenti di provvedere alla regolamentazione urbanistica del terreno di loro proprietà, rimasto non normato, e ordinando al Comune di attribuire una destinazione urbanistica all’area.

Conclusioni

Continua a impegnare la giurisprudenza la distinzione tra previsioni urbanistiche espropriative, di durata determinata e reiterabili previa adeguata motivazione e pagamento di un indennizzo, e previsioni urbanistiche espropriative.

Tale distinzione è stata oggetto di alcune pronunce della Corte costituzionale sulla compatibilità di previsioni legislative con l’art. 42 della Costituzione, il quale stabilisce che l’espropriazione per motivi interesse generale possa avvenire salvo indennizzo.

La Corte ha considerato a natura espropriativa gli “atti di imposizione che, indipendentemente dalla loro forma, conducano tanto ad una traslazione totale o parziale del diritto, quanto ad uno svuotamento di rilevante entità ed incisività del suo contenuto, pur rimanendo intatta l’appartenenza del diritto e la sottoposizione a tutti gli oneri, anche fiscali, riguardanti la proprietà fondiaria”, atti che comportino una restrizione delle facoltà di godimento e di disposizione tale superare il confine di ciò che è connaturale al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell’attuale momento storico (Corte cost., 29 maggio 1968, n. 55); ha riconosciuto che vi è espropriazione “in ogni caso in cui la menomazione del diritto sia l’effetto dell’esercizio della potestà amministrativa di ridurre l’uso di un bene originariamente a godimento integrale, così da restringerne il contenuto essenziale, oltre che nel caso di trasferimento in mano pubblica della disponibilità di un bene per la realizzazione di un pubblico interesse” (Corte cost., 9 maggio 1968, n. 56).

Riguardo alla destinazione di un’area a “verde pubblico di arredo urbano” (o “verde pubblico attrezzato”), la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una normativa regionale nella parte in cui prescriveva la protrazione dell’efficacia di vincoli a verde pubblico attrezzato e strade pubbliche dopo la loro scadenza, senza prevedere durata e indennizzo; li ha considerati, dunque, vincoli sostanzialmente espropriativi (Corte cost., 9 maggio 2003, n. 148).

L’orientamento prevalente nella giurisprudenza amministrativa, invece, qualifica il vincolo a “verde pubblico attrezzato” come conformativo.

Il Consiglio di Stato argomenta, in questo senso, che la destinazione in esame è inquadrabile nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso e incide su una generalità di beni, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui questi ricadono (Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 2013, n. 2432; Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2012, n. 6094; in questo senso anche Cass. civile, sez. I, 6 dicembre 2006, n. 26160).

Tale destinazione, inoltre, non comporta né l’ablazione dei suoli né il sostanziale svuotamento dei diritti dominicali su di essi, poiché consente interventi edificatori, sia pure limitati a particolari tipologie di opere e previa predisposizione di piani particolareggiati, allo scopo di assicurare la coerenza dell’edificazione privata con la generale zonizzazione intesa al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico (Cons. Stato, sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4321).

Infine, il Consiglio di Stato considera conformativo tale vincolo poiché esso non comporta necessariamente interventi a esclusiva iniziativa pubblica, ma è attuabile anche dal soggetto privato senza necessità di previa ablazione del bene, poiché le attrezzature previste all’interno della zona possono essere realizzate e gestite non solo dal Comune o da altri enti pubblici ma anche da privati (Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2010, n. 2843; Cons. Stato, sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4820).

Come affermato dalla Corte costituzionale, infatti, non hanno natura espropriativa i vincoli “che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene”, consistenti in “iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato”, come per esempio parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali (Corte Cost., 20 maggio 1999, n. 179).

Solo nel caso in cui la concreta disciplina urbanistica posta dallo strumento generale comporti la preclusione pressoché totale di ogni attività edilizia del privato e riservi gli interventi esclusivamente all’iniziativa pubblica, la destinazione in questione viene considerata a carattere espropriativo (Cons. Stato, sez. IV, 23 aprile 2013, n. 2254; Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2012, n. 6094; Cons. Stato, sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4815; Cons. Stato, sez. IV, 16 settembre 2011, n. 5216).

Si discosta da tale orientamento la sentenza in esame, che richiama alcune pronunce del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana.

Nella pronuncia si afferma che si debba seguire un’interpretazione evolutiva, coerente con i principi in più occasioni affermati dalla C.E.D.U., delle statuizioni recate nella sentenza della Corte costitituzionale n. 179 del 1999.

Poiché la distinzione tra norme conformative e norme ablatorie deve avere riguardo “al tasso di deviazione dalla finalità ordinaria dell’area in questione rispetto alla sua vocazione naturale, che è sicuramente quella di dare luogo ad un opus economicamente e commercialmente idoneo a procurare il massimo profitto al proprietario”, secondo il giudice siciliano “la realizzabilità dell’opera o del servizio esclusivamente per opera della mano pubblica o anche del privato (cui va assimilato l’intervento misto) deve essere giudicata non con riferimento all’oggetto specifico della realizzazione (in altre parole all’opus da realizzare), ma alla destinazione di esso e quindi alla sua idoneità a soddisfare anche il diritto soggettivo di proprietà, oltre che l’interesse pubblico”.

E, come affermato dal giudice siciliano, se l’opera non è destinata a essere posta sul mercato, a un prezzo determinato attraverso il meccanismo della domanda e offerta, si tratta di opera o servizio pubblico, destinata al soggetto pubblico (C.G.A., 19 dicembre 2008, n. 1113).

Pertanto, nell’ottica del giudice siciliano, se un terreno è destinato a “verde pubblico”, anche “attrezzato”, al suo interno il privato potrà essere autorizzato a gestire, per esempio, una giostra o un impianto sportivo; “ma – quand’anche si tratti accidentalmente del proprietario del suolo – è palese che ciò non è un’estrinsecazione, sia pur minima, del suo diritto dominicale; né, infine, la realizzazione (ossia l’attrezzatura dell’area di verde pubblico) potrà porsi a carico del proprietario, di norma privo di ogni interesse, sicché essa deriverà necessariamente da iniziative pubbliche (dirette o tramite concessionari), ovviamente previa espropriazione” (C.G.A., 27 febbraio 2012, n. 212).

Micol Roversi Monaco[1]


[1] Dottoressa di ricerca in diritto amministrativo, avvocato


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