Nelle strutture ricettive all’aperto  le case mobili allacciate alle reti di servizio costituiscono nuova costruzione bisognevole di titolo abilitativo se ancorate al suolo in modo definitivo.Mentre se l’ancoraggio è temporaneo, così come se è temporaneo l’allacciamento, la loro collocazione in assenza di autorizzazioni è lecita.

Corte di Cassazione, Sez. Terza Penale, sentenza 24 gennaio 2014, n° 3572, Pres. Squassoni, Est. Andronio

Il caso

La questione riguarda la necessità o meno di munirsi del titolo abilitativo edilizio per realizzare una “casa mobile” all’interno di un esercizio ricettivo.

La Cassazione Penale torna sul tema delle “case mobili” collocate all’interno di un esercizio ricettivo e, quindi, con finalità turistiche, mediante la pronuncia qui in commento che presenta un significativo e rilevante profilo di novità rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale della stessa Corte. La questione, invero, è stata oggetto di numerosi interventi giurisprudenziali e di una serie di norme legislative tanto nazionali quanto regionali, su talune delle quali si è abbattuta la scure della Corte Costituzionale.

L’evoluzione del quadro normativo e giurisprudenziale

Il testo originario dell’art. 3 del Testo Unico dell’edilizia n° 380/2001, “definizioni degli interventi edilizi”, alla lettera e) definisce gli “interventi di nuova costruzione” per i quali è normalmente richiesto il permesso di costruire. L’originaria formulazione comprendeva tra tali interventi “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.

Rispetto a questa definizione veniva a porsi in conflitto l’installazione di varie tipologie di “case mobili”, soprattutto all’interno delle strutture ricettive turistiche all’aperto, senza i preventivi assensi amministrativi e senza una valutazione di sostenibilità urbanistica -tanto per capacità edificatoria disponibile, quanto per urbanizzazioni eccedenti, che per altri standards-. I Gestori, infatti, per dare risposta alla sempre differenziata domanda di ricettività a costi relativamente contenuti, tendevano a collocare entro il perimetro ricettivo variegate tipologie di “case mobili”, senza richiesta di permesso di costruire, né pianificazione attuativa. Era chiaro, però, che tali strutture non potevano farsi rientrare in quelle finalità di soddisfacimento di “esigenze meramente temporanee”che, per la legge, non richiedono titoli abilitativi.

Di fronte a ciò il Legislatore nazionale e regionale ha cercato di intervenire con disposizioni specifiche che consentissero, appunto, l’installazione di “case mobili” senza il preventivo titolo abilitativo. È così stata emanata la legge 23 luglio 2009, n° 99 che, all’art. 3, comma 9, ha stabilito “al fine di garantire migliori condizioni di competitività sul mercato internazionale e dell’offerta di servizi turistici, nelle strutture turistico-ricettive all’aperto, le installazioni e i rimessaggi dei mezzi mobili di pernottamento, anche se collocati permanentemente, per l’esercizio dell’attività, entro il perimetro delle strutture turistico-ricettive regolarmente autorizzate, purché ottemperino alla specifiche condizioni strutturali e di mobilità stabilite dagli ordinamenti regionali, non costituiscono in alcun caso attività rilevanti ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici”. La Corte Costituzionale, però, con sentenza, n° 278, del 22 luglio 2010 ha dichiarato l’incostituzionalità della disposizione, per “invasione” della competenza legislativa di dettaglio regionale.

Al contempo alcune regioni hanno introdotto la possibilità di installare, senza titoli abilitativi, “case mobili” nelle strutture ricettive all’aperto, alla condizione che presentino alcune caratteristiche esteriori di temporaneità (es. “i predetti allestimenti devono: a) conservare i meccanismi di rotazione in funzione; b) non possedere alcun collegamento di natura permanente al terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche, gli accessori e le pertinenze devono essere rimovibili in ogni momento”). Altre norme regionali, però, si sono spinte più avanti esentando le installazioni mobili anche da pareri o autorizzazioni degli organi preposti alla tutela ambientale. Questo ha fatto, ad esempio, la Regione Lazio con la  legge 6 agosto 2007, n° 13 che, all’art. 25 bis, commi 1 e 8, ha consentito la collocazione di quelle strutture all’interno di aree perimetrate a parco senza il preventivo parere degli enti gestori e disponendo che tali case mobili “non costituiscono mutamento dello stato dei luoghi”. Dette disposizioni sono state, però, dichiarate incostituzionali dal Giudice delle leggi, con sentenza 2 luglio 2012, n° 171, per  contrasto con la normativa statale in materia di salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati (Legge n° 394/1981) e, quindi, con l’art. 117, comma secondo, lettera s) della Costituzione.

Il Legislatore nazionale è, perciò, intervenuto nuovamente sul tema dettando una norma all’interno del Testo Unico dell’Edilizia, punto 5) dell’art. 3, nel quale, dopo la frase “… e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”, è stata introdotta la specificazione “… ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno turistico”. Questa integrazione è stata apportata con l’art. 41, comma 4, della legge 9 agosto 2013, n° 98.

In tal maniera il legislatore ha stabilito che non sono “nuove costruzioni” le “case mobili”collocate nelle strutture ricettive purché il loro ancoraggio al suolo sia “temporaneo”. È chiaro, dunque, che la questione della necessità o meno di autorizzazioni è stata spostata sull’elemento oggettivo costituito dalle caratteristiche dell’ancoraggio al suolo.

La sentenza

Ed anche in ragione di questa nuova formulazione del punto e.5) dell’art. 3 del T.U. n. 380, la Corte di Cassazione penale ha dettato il principio che qui si commenta, annullando il rigetto della richiesta di riesame pronunciato dal Tribunale avverso un decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. per la realizzazione di “case mobili allacciate alle reti idriche, elettriche e fognarie” che, ad avviso del primo Giudice, sostanziava i reati di cui agli artt. 44, comma 1, lettera c), D.P.R. n° 380/2001 e 182 del D.L.gs n° 82/2004.

La Cassazione ha accolto il profilo concernente “le modalità di ancoraggio delle case mobili al suolo”. Il provvedimento di sequestro, infatti, aveva omesso di specificare se tale ancoraggio avesse carattere temporaneo. Questa precisazione è stata ritenuta dalla Corte “un’omissione decisiva ai fini della sussistenza del fumus del reato, perché la temporaneità dell’ancoraggio è espressamente ritenuta determinante dalla normativa regionale toscana, che trova applicazione nel caso di specie”. Né il fatto che le “case mobili” siano allacciate alle reti dei servizi è di per sé sufficiente a ritenere configurabile il fumus dei reati contestati “perché tale allacciamento ben potrebbe avere anch’esso carattere temporaneo, in mancanza di univoche specificazioni del provvedimento impugnato sul punto”.

Sono i requisiti oggettivi della struttura, pertanto, a determinarne in concreto la sottoponibilità,o meno, ad autorizzazioni amministrative e questi requisiti devono essere valutati, caso per caso, dal Giudice del merito ed enunciati puntualmente nel provvedimento, soprattutto se questo è di tipo cautelare. In caso contrario, invece, prevale il principio di libertà e, quindi, la struttura non può ritenersi illecita, né può affermarsi che richiedesse l’assenso preventivo dell’Amministrazione.

Conclusioni

Certamente questo nuovo indirizzo che differenzia i casi in base al concreto stato di fatto degli ancoraggi si diversifica da precedenti pronunce, anche successive all’entrata in vigore della modifica all’art. 3, punto e.5) T.U.E,  le quali valutavano la temporaneità sotto l’unico profilo dello “scopo” perseguito dall’agente e non delle concrete modalità esecutive dell’opera. Lo scopo dell’utilizzazione veniva ritenuto sempre connesso ad attività di carattere permanente (turistico-ricettive) sicchè la temporaneità non veniva ritenuta sussistente e l’illecito risultava immanente all’opera (Cass. III^Sez. penale, 13 settembre 2013 n°37752).

La pronuncia di questi giorni, dunque, rappresenta un significativo passo avanti verso la valutazione in concreto delle caratteristiche delle strutture mobili, in consonanza con le normative vigenti, superando così la visione più astratta seconda la quale, sempre e comunque, si doveva ravvisare la permanenza.

avv. Massimo Carlin


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