Con ordinanza del 14 gennaio 2019, la Sezione V del Consiglio di Stato ha reiterato la rimessione alla Corte di Giustizia Europea delle questioni già oggetto dell’ordinanza della stessa Sezione del 7 gennaio scorso (di cui abbiamo dato notizia in questa Rivista del 9 gennaio 2019), sulla conformità al diritto europeo della scelta del Codice dei contratti pubblici di subordinare gli affidamenti in house a condizioni aggravate e a motivazioni rafforzate rispetto alle altre modalità di affidamento degli appalti, e di quella effettuata dal testo unico sulle società partecipate che non sembra consentire alle amministrazioni di detenere quote minoritarie di partecipazione in un organismo a controllo congiunto, neppure laddove tali amministrazioni intendano acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore dell’organismo pluripartecipato.

In maggior dettaglio,  le due questioni rimesse al vaglio di conformità al diritto europeo sul tema degli affidamenti in house, riguardano:

  1.  “… se il diritto dell’Unione europea (e segnatamente il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche e i principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche) osti a una normativa nazionale (come quella dell’art. 192, comma 2, del ‘Codice dei contratti pubblici, approvato con d.lgs. n. 50 del 2016) il quale colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto: i) consentendo tali affidamenti soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché ii) imponendo comunque all’amministrazione che intenda operare un affidamento in regìme di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefìci per la collettività connessi a tale forma di affidamento
  2. L  “… se il diritto dell’Unione europea (e in particolare l’art. 12, paragrafo 3 della Direttiva 2014/24/UE in tema di affidamenti in house in regìme di controllo analogo congiunto fra più amministrazioni) osti a una disciplina nazionale (come quella dell’art. 4, comma 1, del Testo Unico delle società partecipate, approvato con d.lgs. n. 175 del 2016) che impedisce a un’amministrazione pubblica di acquisire in un organismo pluriparecipato da altre amministrazioni una quota di partecipazione (comunque inidonea a garantire controllo o potere di veto) laddove tale amministrazione intende comunque acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore dell’Organismo pluripartecipato”.

Con l’occasione, si ricorda che il TAR Liguria, con ordinanza del 15 novembre 2018,   ha investito la Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo. 192, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti motivino le ragioni del mancato ricorso al mercato, per contrasto con l’art. 76 della Costituzione, in relazione all’art. 1, lettere a) ed eee), della legge delega n. 11/2016 sul divieto di “gold plating”.

In sintesi, il dubbio dei  giudici amministrativi è che il rigore del diritto nazionale sugli affidamenti in house non sia compatibile con il diritto dell’UE.


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