La questione sottoposta all’esame del Consiglio di Stato riguarda una fattispecie di applicazione dell’art. 1, comma 13, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che attribuisce alle amministrazioni pubbliche, “che abbiano validamente stipulato un autonomo contratto di fornitura o di servizi […] il diritto di recedere in qualsiasi tempo dal contratto, previa formale comunicazione all’appaltatore, con preavviso non inferiore a quindici giorni e previo pagamento delle prestazioni già eseguite, oltre al decimo delle prestazioni non ancora eseguite”; quanto sopra, quando “i parametri delle convenzioni stipulate da Consip s.p.a., ai sensi dell’art. 26, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, successivamente alla stipula del predetto contratto, siano migliorativi rispetto a quelli del contratto stipulato e l’appaltatore non acconsenta ad una modifica delle condizioni economiche, tale da rispettare il limite, di cui all’art. 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488”. Nella medesima disposizione è anche precisato che il diritto di recesso di cui trattasi “si inserisce automaticamente nei contratti in corso, ai sensi dell’art. 1339 del codice civile”.

I giudici amministrativi non ritengono che il citato art. 1, comma 13, del d.l. n. 135 del 2012 attribuisca all’Amministrazione – già parte di un rapporto contrattuale a regolazione civilistica – il potere d’intervenire ab extra sul rapporto stesso in forma e modalità autoritativa, in modo tale da svincolarsi dagli obblighi contrattuali assunti.

La tutela dell’interesse pubblico, in questo caso, viene assicurata dall’ordinamento giuridico riconoscendo all’Amministrazione il diritto di recedere dai contratti stipulati.

Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1312 del 17 marzo 2014; Pers. Severini, Est. De Michele


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