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Appalti: vietate le clausole che indicano prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza

Il Consiglio di Stato ribadisce che in materia di gare d’appalto pubblico opera il principio della libera concorrenza, che trova applicazione in primo luogo nella fase della determinazione del contenuto del contratto oggetto di gara, con particolare riferimento alla individuazione delle prestazioni richieste.

I giudici amministrativi, con la sentenza n. 2976 del 30 maggio 2013 [1], affermano che in caso di gara per l’affidamento di un appalto di fornitura, sussiste il divieto di introdurre nelle clausole contrattuali specifiche tecniche che indicano prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza (art. 68, comma 3, lett. a), del d.lgs. n. 163/2006) ed esso può essere derogato inserendo nel bando la menzione “o equivalente”, che è però autorizzata solo quando le Amministrazioni non possano fornire una descrizione dell’oggetto dell’appalto mediante specifiche tecniche sufficientemente precise, o formulando la “lex specialis” in termini funzionali (art. 68, comma 3, lett. b e lett. c, del d.lgs. n. 163/2006).

In questo senso, il divieto di “menzione” o comunque di “riferimento” (o utilizzazione comparativa) a “un marchio, a un brevetto o a un tipo, a un’origine o a una produzione specifica che avrebbero come effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti”, si pone come attuativo del principio generale di cui al comma 2 dell’art. 68.

In tema di appalti, leggi l’apposita rubrica [2].