La Corte Costituzionale con la sentenza n. 46 del 13 marzo 2013, avente per oggetto la legittimità costituzionale dell’articolo 25, comma 1, lettera a), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per me concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, interviene sul tema dell’applicabilità del patto di stabilità alle società in house.

La Corte afferma che:

… l’intervento normativo statale, con il d.l. n. 1 del 2012, si prefigge la finalità di operare, attraverso la tutela della concorrenza (liberalizzazione), un contenimento della spesa pubblica.

Per quello che qui interessa, con la norma impugnata, il legislatore statale ritiene che tale scopo si realizzi attraverso l’affidamento dei servizi pubblici locali al meccanismo delle gare ad evidenza pubblica, individuato come quello che dovrebbe comportare un risparmio dei costi ed una migliore efficienza nella gestione.

Da qui l’opzione – in coerenza con la normativa comunitaria – di promuovere l’affidamento dei servizi pubblici locali a terzi e/o a società miste pubblico/private e di contenere il fenomeno delle società in house.

… «Secondo la normativa comunitaria, le condizioni integranti tale tipo di gestione ed alle quali è subordinata la possibilità del suo affidamento diretto (capitale totalmente pubblico; controllo esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario di “contenuto analogo” a quello esercitato dall’aggiudicante stesso sui propri uffici; svolgimento della parte più importante dell’attività dell’affidatario in favore dell’aggiudicante) debbono essere interpretate restrittivamente, costituendo l’in house providing un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tale eccezione viene giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza delle suddette condizioni esclude che l’in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo».

Quindi, una diversa disciplina che favorisca le società in house rispetto all’aggiudicante Amministrazione pubblica si potrebbe porre in contrasto con la stessa disciplina comunitaria, in quanto verrebbe a scindere le due entità e a determinare un ingiustificato favor nei confronti di questo tipo di gestione dei servizi pubblici dato che il bilancio delle società in house non sarebbe soggetto alle regole del patto di stabilità interno. Le suddette regole, invece, debbono intendersi estese a tutto l’insieme di spese ed entrate dell’ente locale sia perché non sarebbe funzionale alle finalità di controllo della finanza pubblica e di contenimento delle spese permettere possibili forme di elusione dei criteri su cui detto “Patto” si fonda, sia perché la maggiore ampiezza degli strumenti a disposizione dell’ente locale per svolgere le sue funzioni gli consente di espletarle nel modo migliore, assicurando, nell’ambito complessivo delle proprie spese, il rispetto dei vincoli fissati dallo stesso Patto di stabilità.

Su questo argomento, leggi l’approfondimento pubblicato nella Rivista.


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