Il Consiglio di Stato, con la recentissima sentenza n. 2291 del 7 maggio 2015, a sorpresa, muta radicalmente il proprio orientamento in materia di affidamenti di servizi strumentali alle “società in house”. I giudici di palazzo Spada, infatti, diversamente dal passato, ritengono che l’acquisizione di beni e servizi strumentali, da parte della pubbliche amministrazioni, debba avvenire necessariamente con procedure concorrenziali, in quanto l’art. 4, comma 7, del decreto legge 95/2012, convertito nella legge 135/2012, prevedendo che “a decorrere dal 1° gennaio 2014 le pubbliche amministrazioni … nel rispetto dell’articolo 2 , comma 1 del citato decreto acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali”, ha stabilito una deroga alla normativa comunitaria che consente alle pubbliche amministrazioni di acquisire servizi strumentali da società in house a cui partecipa.

Secondo i giudici amministrativi, l’in house providing, così come costruito dalla giurisprudenza comunitaria, rappresenta, prima che un modello di organizzazione dell’amministrazione, “un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le quali richiedono che l’affidamento degli appalti pubblici avvenga mediante la gara“.

L’affidamento diretto del servizio sottrae al libero mercato quote di contratti pubblici, nei confronti dei quali le imprese ordinarie vengono escluse da ogni possibile accesso (cfr. Cons. Stato, A.P. n. 1/2008).

Se dunque l’affidamento diretto ha carattere spiccatamente derogatorio, l’esistenza di una sua disciplina normativa a livello comunitario (oggi contenuta nell’art. 12 della direttiva 24/2014/UE, da recepire entro il 18 aprile 2016, anche se nelle disposizioni in questione è stata ravvisata una compiutezza tale da farle ritenere “self-executing”, avendo indubbiamente “contenuto incondizionato e preciso” – cfr. Cons. Stato, II, n. 298/2015; Cass. civ. SS.UU., n. 13676/2014) consente tale forma di affidamento, ma non obbliga i legislatori nazionali a disciplinarla, né impedisce loro di limitarla o escluderla in determinati ambiti.

La circostanza che un affidamento in house non contrasti con le direttive comunitarie non vuol dire che sia contraria all’ordinamento UE una norma nazionale che limiti ulteriormente il ricorso all’affidamento diretto.

In conclusione, il legislatore italiano, con l’art. 4, comma 7, in questione, ha optato per una scelta dichiaratamente pro-concorrenziale, precludendo la possibilità per le amministrazioni pubbliche di avvalersi degli affidamenti in house per l’acquisizione di beni e servizi strumentali.

Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza n. 2291 del 7 maggio 2015, Pres. G. Lignani, Est. P. Ungari


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