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Personale: i dipendenti impiegati nella riscossione di canoni concessori non hanno diritto ad un compenso straordinario

Nell’ambito del pubblico impiego l’erogazione del compenso per lavoro straordinario presuppone, in via generale, una concreta verifica della sussistenza di ragioni di pubblico interesse, così da giustificare tale forma di prestazione eccedente il normale orario di servizio, nel rispetto anche dei limiti di spesa, fissati dal bilancio di previsione. (Consiglio di Stato, sez. VI, 1° settembre 2009, n. 5112 [1]).

Il Consiglio di Stato viene chiamato a decidere se il servizio di riscossione dei canoni di concessione rientri o meno tra le mansion ordinarie del personale dipendente e, conseguentemente, se sia ad esso erogabile un compenso straordinario.

Il caso deciso con la sentenza n. 4268 del 26 agosto 2013 [2] è quello di un comune che, a seguito della revoca di una gara per la gestione di specchi d’acqua, sceglie di provvedervi in forma diretta, divenendo così simultaneamente gestore in proprio del servizio e datore di lavoro del personale incaricato della riscossione dei canoni.

I giudici affermano che con la gestione diretta del servizio di riscossione cessa qualsiasi giustificazione di un separato compenso al personale dipendente dell’ente, in quanto non vi è alcuna fondata ragione per ritenere che l’attività di riscossione esuli dalle mansioni ordinarie di ufficio, né il d.lgs. n. 29/1993 giustifica compensi extra ordinem per disimpegnare il proprio lavoro in orario di uffici.

Si deve ritenere che l’attività di esazione in questo, come in qualsiasi altro caso di riscossione di entrate, rientri nelle funzioni proprie del Comune e ciò comporta che questa attività debba essere svolta dagli impiegati in possesso di adeguata professionalità, di norma durante l’orario di servizio, salva la spettanza del compenso per lavoro straordinario e degli altri compensi accessori quando ne ricorrano, di volta in volta, i presupposti, nei termini e nei limiti quantitativi previsti.