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La rete ecologica “Natura 2000”7 min read

La continua perdita di biodiversità a cui si è dovuto assistere nel corso degli anni ha reso necessari diversi interventi. In questo contesto va inserita la rete ecologica Natura 2000 introdotta dalla direttiva 92/43/CEE, che incorpora anche le previsioni della direttiva 79/409/CEE, nota anche come direttiva Uccelli, e poi sostituita dalla direttiva 2009/147/CE [1].


I primi interventi. In tema di difesa della biodiversità si segnala la “Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale soprattutto come habitat degli uccelli acquatici” del 2 febbraio 1971, (Convenzione di Ramsar), e la “Convenzione sul patrimonio mondiale culturale e naturale” del 23 novembre 1972, o Convenzione UNESCO, caratterizzate da un approccio integrato al problema. E, ancora, nel 1992, la “Convenzione sulla diversità biologica” [2] , che recepisce alcuni principi e strumenti propri del diritto ambientale, utilizzati in altri settori come il principio di precauzione o la procedura di valutazione di impatto ambientale e molti altri ancora. La conservazione della diversità biologica, è garantita sia da misure in situ (art. 8) c h e ex situ (art.9). Le prime si fondano principalmente sull’istituzione di aree protette al fine di proteggere habitat ed ecosistemi che in caso di degrado devono essere ripristinati, oltre che sulla gestione delle risorse biologiche al di fuori di queste aree per assicurarne la conservazione. Le misure ex situ, invece, dovrebbero avere il compito di completare le misure in situ. Purtroppo, nonostante premesse molto incoraggianti, le criticità di questa Convenzione si sono rivelate diverse: la vaghezza di contenuti ed un apparato di controllo sulla corretta applicazione della stessa molto debole e poco incisivo hanno reso la Convenzione poco efficace.


Direttiva Habitat. Alla luce anche delle problematiche esposte, la Comunità europea ha deciso di predisporre ulteriori interventi. Con la direttiva 92/43/CEE [3] o direttiva Habitat, infatti, nasce la rete ecologica Natura 2000, con il compito di proteggere habitat oppure specie animali o vegetali la cui salvaguardia è da considerarsi fondamentale. In questa stessa rete confluiscono anche le zone di protezione speciali (ZPS) previste dalla direttiva Uccelli (oggi 2009/147/CE) che individua anch’essa una rete di territori considerati idonei alla conservazione di particolari specie di uccelli selvatici. Quanto detto va interpretato, come suggerito dal giudice comunitario, in maniera estensiva, ovvero gli Stati membri devono adottare tutte le misure più idonee per garantire la conservazione degli habitat naturali in quanto tali, dato il loro valore ecologico ed ambientale, essendo contestualmente obbligati al raggiungimento dell’obiettivo di conservazione dell’ambiente in cui le specie animali vivono, indipendentemente dal verificarsi o meno di fenomeni di depauperazione1.

Per la creazione di Natura 2000, nelle originarie intenzioni del legislatore europeo, e a norma dell’art. 4 della direttiva Habitat, entro tre anni dalla notifica della direttiva, lo Stato membro doveva identificare i siti, in accordo con i criteri inderogabili, secondo quanto disposto dalla sentenza 14 gennaio 2010 causa C-226/082, di cui all’allegato III, formando così degli elenchi di proposti siti di importanza comunitaria (pSIC), ai quali sono estendibili le tutele previste dall’art.6 della direttiva3. Nei successivi sei anni, la Commissione, insieme allo Stato membro e sulla base degli elenchi da quest’ultimo proposti, per ogni regione biogeografica indicata, forma un elenco dei siti di importanza comunitaria (SIC). Alla luce dei siti individuati dalla Commissione lo Stato membro a questo punto designa “ il più rapidamente possibile ed entro il termine massimo di sei anni” le zone speciali di conservazione (ZSC).

Una volta istituiti i siti, la loro conservazione e protezione, viene demandata, secondo la lettera dell’art. 6 della direttiva, alla valutazione di incidenza ed, eventualmente, alle misure compensative. L’articolo in esame dispone che la valutazione di incidenza, espressione del principio di precauzione e prevenzione, sia prevista per ogni piano o progetto che interessa le aree comprese nella rete Natura 2000, non direttamente connesso e necessario alla gestione dell’area interessata che possa pregiudicare l’integrità di tale sito, e più precisamente ogni volta che si impedisca il mantenimento delle caratteristiche costitutive dello stesso legate alla presenza di un habitat prioritario.4

Come si evince da quanto detto, in accordo con la normativa comunitaria, in caso di esito negativo della valutazione di incidenza, i piani o i progetti interessati non dovrebbero essere realizzati. A tale regola generale però è prevista una deroga al paragrafo 4 dell’art. 6. Quest’ultimo infatti prescrive che, anche in caso di conclusione negativa della valutazione di incidenza, e in assenza di misure alternative, alla luce di imperanti interessi pubblici, il piano o il progetto verrà ugualmente realizzato con il preciso obbligo di adottare delle misure compensative, di cui deve essere data comunicazione alla Commissione, al fine di garantire la coerenza globale di Natura 2000. Per cercare di limitare interventi invasivi in aree particolarmente significative, quelle in cui vi sono specie considerate prioritarie a norma dell’allegato I, ossia contrassegnate con un asterisco, questi possono essere autorizzati solo in relazione ad interessi connessi alla salute e alla sicurezza pubblica oppure in caso di conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente, oppure per altri interessi imperanti ma in questo caso è necessario il parere della Commissione.

Da quanto esposto, si desume che le attività antropiche all’interno di dette aree non sono vietate, ma devono essere subordinate ad una valutazione di incidenza sottostando, per questo, a specifiche regole. Tutto ciò ha portato, la Corte di Giustizia ad intervenire diverse volte a causa della scarsa tendenza degli Stati membri ad applicare correttamente le prescrizioni europee 5. Si deve peraltro registrare, a questo proposito, che di recente la Corte, con la sentenza 3 aprile 2014, causa C- 301/12, è arrivata ad affermare la legittimità, sempre nel rispetto del principio di proporzionalità, di limitazioni al diritto di proprietà a fronte degli imperativi di conservazione e costituzione derivanti da Natura 2000.


Decisione 1386/2013/UE – La tutela della biodiversità e il sostegno a Natura 2000 sono stati supportati da ulteriori provvedimenti delle istituzioni comunitarie. In questo senso va ricordato il settimo Programma di Azione Ambientale (PAA), adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea con decisione n. 1386/2013/U [4] ed entrato in vigore il 17 gennaio 2014. L’ Unione europea ha preso impegni piuttosto ambiziosi come ad esempio la strategia per la biodiversità fino al 2020 con l’obiettivo di ripristinare almeno il 15% degli ecosistemi degradati. Tuttavia non è stato possibile assumere oneri più vincolanti a causa, purtroppo, dell’opposizione di alcuni Stati membri, a cui si aggiunge la natura non direttamente vincolante del Programma che, in concreto, affida il pieno raggiungimento degli obiettivi all’impegno delle istituzioni europee ad adottare gli strumenti legislativi necessari.


Regolamento UE n. 1293/2013 – Si segnala ancora il regolamento UE n. 1293/2013 [5] sull’istituzione di un programma per l’ambiente e l’azione per il clima (LIFE) che abroga il precedente. Nel regolamento al considerando 14 ci si pone come obiettivo quello di interrompere e invertire il processo di perdita di biodiversità anche e soprattutto con il sostegno alla rete Natura 2000.


LIFE 2014 – 2017 – Nel marzo 2014 è stata adottata la decisione di esecuzione della Commissione sull’adozione del programma di lavoro pluriennale LIFE per il periodo 2014-2017, nel quale si fa specifico riferimento ad azioni da adottare per la salvaguardia della biodiversità per il periodo in oggetto.

Il tentativo da parte della rete ecologica Natura 2000 di arginare la perdita di biodiversità è sicuramente un punto di partenza. Lo strumento della valutazione di incidenza, in via teorica, potrebbe apparire soddisfacente perché̀ bilancia sia l’interesse ambientale, sia altri interessi potenzialmente contrastanti in quanto offre, a determinate condizioni, la possibilità̀ di intervenire all’interno delle aree protette. La copiosa giurisprudenza comunitaria in materia testimonia tuttavia una difficoltà degli stati membri ad applicare correttamente le disposizioni mostrando la tendenza a preferire, per svariate ragioni, altri tipi di interessi a quelli ambientali.

dottoressa Chiara Tosi


1 Corte di Giustizia, sentenza 13 giugno 2002, in causa C-117/00, in http://eur-lex.europa.eu.

2 Corte di Giustizia, sentenza 14 gennaio 2010, in causa C- 226/08, in http://eur-lex.europa.eu.

3 Corte di Giustizia, sentenza 13 gennaio 2005, in causa C-117/03, in http://eur-lex.europa.eu .

4 Corte di Giustizia sentenza 11 aprile 2013, in causa C-258/11, in http://eur-lex.europa.eu [6].

5 A titolo esemplificativo Corte di Giustizia 2 agosto 1993, causa C-355/90; Corte di Giustizia, sentenza 4 marzo 2010, causa C-241/08 e Corte di Giustizia, sentenza 15 maggio 2014, causa C-512/12.