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Fax in pensione per le comunicazioni tra PPAA7 min read

La  legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 [1], ha introdotto, all’art. 14 comma 1 bis, una disposizione che ha molto colpito l’immaginario collettivo riguardante

l’organizzazione del lavoro negli uffici pubblici, e che ha trovato, in tal senso, discreta eco e risonanza anche nella stampa non specializzata.

Si tratta delle norma che, intervenendo sull’art. 47 del Codice dell’amministrazione digitale [2], sancisce il divieto, addirittura assoluto (“..in ogni caso..”), dell’utilizzo del fax nelle comunicazioni fra amministrazioni pubbliche.

La disposizione, come intuibile, si inserisce nella ratio normativa, perseguita pervicacemente dal legislatore negli ultimi anni, di promozione spinta della digitalizzazione dei pubblici uffici, quale strumento di elezione per il perseguimento dell’efficacia e, soprattutto, dell’economicità dell’agire pubblico.

Peraltro, anche la disposizione originaria dell’art. 47 citato, risalente, si badi, al 2005, già prevedeva che “le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono di norma mediante l’utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa; esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza.”

L’ampia novella al codice del 2010, di cui al d.lgs. 235/2010 [3], ha poi eliminato, ulteriormente l’inciso “di norma”, a voler significare una decisa opzione esclusiva per il metodo telematico.

Di più, a rafforzare con la previsione di una specifica e pesante sanzione l’inosservanza del comportamento suggerito, il legislatore è ritornato sull’argomento con il decreto legge 179/2012 [4] (cosiddetto “decreto crescita” ), introducendo all’art. 47 il comma 1 bis che così recita “L’inosservanza della disposizione di cui al comma 1, ferma restando l’eventuale responsabilità per danno erariale, comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare” .

Infine, la disposizione oggetto di questo commento, che, evidentemente per aver ragione anche delle più inveterate abitudini o vieppiù residuali esigenze pratiche, scende nello specifico della strumentazione usata nelle comunicazioni per bandirvi, “in ogni caso” il telefax.

Il telefax e il suo utilizzo nell’amministrazione pubblica: una relazione contrastata

Come noto, il telefax, è un servizio telefonico per la trasmissione e ricezione di immagini fisse (tipicamente copie di documenti).

Per estensione, il termine “fax” è anche utilizzato per fare riferimento all’apparecchio telefonico che invia e riceve l’immagine, nonché alla stessa immagine inviata e ricevuta.

Lo strumento vanta una lunga storia: il primo test di invio di documenti tramite tecnologia fax fu effettuato nel 1842 dall’inventore franco-svizzero Puthomme che, il 27 maggio 1843, depositò il brevetto per la trasmissione di documenti scritti attraverso la rete telegrafica, utilizzando le sue conoscenze sui pendoli elettrici.

Nell’ambito dell’amministrazione pubblica, il telefax è stato, inizialmente, trattato con diffidenza, e soltanto quale sorta di “anticipazione” di documenti che, in ogni caso, ai fini della regolarità del procedimento amministrativo, dovevano pervenire, in ogni caso, in originale.

Si inseriva in questa ratio, infatti, la disposizione di cui all’art. 6 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 [5] (cd. Finanziaria per il 1992) che, per la prima volta, ammise l’uso del telefax tra amministrazioni pubbliche, a condizione di acquisire l’originale prima dell’atto finale del procedimento (1).

Il fax trovava quindi ingresso nei pubblici uffici ma soltanto a due condizioni: che le comunicazioni avvenissero fra amministrazioni pubbliche – per ironia della sorte quelle stesse che ora ne rimangono escluse – e che fosse acquisito agli atti il documento originale “qualora dalle comunicazioni nascessero diritti, doveri o legittime aspettative di terzi”.

La norma in esame, mai abrogata espressamente, è stata poi superata da successivi interventi normativi; in particolare, la disposizione di cui all’art. 43 del DPR 445/00 [6], in virtù della quale “I documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione tramite fax, o con altro mezzo telematico o informatico idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale.”

La disposizione, ribadita poi, con identica formulazione anche nell’art. 45 del CAD [2], elimina quindi integralmente le “barriere” che erano state poste all’utilizzo dello strumento, sia sotto il profilo soggettivo (“chiunque”), sia sotto quello della necessità dell’acquisizione del documento originale.

Controversa è stata, negli anni, anche la qualificazione del valore giuridico attribuito ai documenti inoltrati tramite fax, nell’ambito di una dottrina e una giurisprudenza oscillanti fra diverse posizioni e di una legislazione che non ha certo contribuito alla chiarezza sul valore probatorio da attribuire ai diversi vettori utilizzabili.

Se, da una lato, qualificatissima giurisprudenza ha ritenuto di parificare integralmente il fax all’e-mail semplice, riconducendolo quindi alle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 del codice civile (2), dall’altro, diverse pronunce hanno sottolineato al contrario che il fax, in carenza di espresse prescrizioni che prevedano una forma particolare di notificazione, può rappresentare uno strumento idoneo a determinare la piena conoscenza del provvedimento stesso, in quanto “sistema basato su linee di trasmissione di dati e su apparecchiature che consentono di documentare sia la partenza del messaggio dall’apparato trasmittente, sia la ricezione in quello ricevente attraverso il così detto rapporto di trasmissione”, e affermandosi che “tali modalità, garantite da protocolli universalmente accettati, ne fanno uno strumento idoneo a garantire l’effettività della comunicazione”(3).

La trasmissione dei documenti fra amministrazioni pubbliche e fra amministrazioni e imprese : gli artt. 5 bis e 47 CAD [2]

A seguito della disposizione del cd. “decreto del fare [1]” in commento, nessun dubbio può più residuare relativamente alle corrette modalità di comunicazione tra amministrazioni, che non possono  esulare dalle tassative previsioni di cui all’art. 47 CAD [2], di cui, per chiarezza riteniamo utile riportare integralmente il disposto.

“1. Le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono mediante l’utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa; esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza.

1-bis. L’inosservanza della disposizione di cui al comma 1, ferma restando l’eventuale responsabilità per danno erariale, comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare.

2. Ai fini della verifica della provenienza le comunicazioni sono valide se:

a) sono sottoscritte con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata;

b) ovvero sono dotate di segnatura di protocollo di cui all’articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 [6];

c) ovvero è comunque possibile accertarne altrimenti la provenienza, secondo quanto previsto dalla normativa vigente o dalle regole tecniche di cui all’articolo 71. È in ogni caso esclusa la trasmissione di documenti a mezzo fax;

d) ovvero trasmesse attraverso sistemi di posta elettronica certificata di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68 [7]“.

In buona sostanza quindi la trasmissione di documenti fra uffici pubblici è attualmente consentita:

  • attraverso un messaggio di posta elettronica semplice, a condizione che il documento sia firmato digitalmente, oppure sia dotato di segnatura di protocollo;
  • attraverso un messaggio di posta elettronica certificata;
  • mediante consultazione diretta degli archivi dell’altra amministrazione.

E’ evidente che, in questo raggio di possibilità, emerge come strumento di elezione, sia in chiave di certezza delle comunicazioni che di economicità dell’azione amministrativa, la posta elettronica certificata, in quanto vettore qualificato che garantisce, con adeguate ricevute informatiche opponibili a terzi, l’avvenuta trasmissione e ricezione, comprensive degli elementi temporali da data e ore cert(ificat)e. (4)

Ma la dematerializzazione delle comunicazioni fra gli uffici pubblici, nelle intenzioni del legislatore, si accompagna, come già ricordato, ad una quanto mai decisa volontà di eliminare la circolazione di documentazione cartacea, laddove questo sia possibile.

In tal senso, non è ininfluente rammentare, a completezza del quadro espositivo, la disposizione di cui all’art. 3, comma 1, DPCM del 22 luglio 2011 [8] in virtù della quale “a decorrere dal 1° luglio 2013, le pubbliche amministrazioni non possono accettare o effettuare in forma cartacea le comunicazioni di cui all’articolo 5 bis, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale [2]”, ossia le comunicazioni con le imprese.

Il decreto cennato stabilisce inoltre che, laddove non sia prevista una diversa modalità di comunicazione telematica, le comunicazioni potranno avvenire mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata, facendo ancora una volta mostra di considerare la PEC lo strumento principe e generale anche per il colloquio imprese-PA.

Sia le disposizioni dell’art. 47 che dell’art. 5 bis sono sorretti da un impianto sanzionatorio alquanto rigoroso: l’attuazione e l’osservanza di entrambe sono rilevanti, oltre sotto il profilo disciplinare, anche  ai fini della misurazione e valutazione della performance organizzativa e di quella individuale dei dirigenti, e quindi possono comportare, secondo quanto disposto dall’articolo 21 del d.lgs. n. 165 del 2001, finanche la revoca o l’impossibilità di rinnovo dell’incarico.

L’inosservanza delle disposizioni dell’art. 47 sono causa, inoltre, di danno erariale.

Sull’argomento, la nostra news [9] del 24 agosto 2013


(1) Cfr. Gianni Penzo Doria “Fine del telefax nell’era della PEC?” , in http://www.altalex.com/index.php?idnot=11734 [10]

(2) Cfr. Cassazione civile, sez. III, 24 novembre 2005, n. 24814; Cassazione civile, sez. I, 14 giugno 2007, n. 13916; Cassazione civile, sez. lav., 20 marzo 2009, n. 6911

(3) Cfr Tar Lazio sez II quater n. 8233/2008; CdS sez VI n. 2951/2007; Tar Lazio III quater 1254/2008;Tar Sicilia Palermo sez II n. 197/2008; Tar Lazio sez III bis n. 238/2008; Tar Lazio sez I bis n. 17353/2004;Tar Piemonte n. 1190/2002

(4) Cfr. Gianni Penzo Doria “Fine del telefax nell’era della PEC?”, cit.