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La breve (e felice?) vita del documento digitale4 min read

Il tema è tut’altro che nuovo;  chi si occupa di documenti digitali ne parla da almeno un decennio (forse di più).

I documenti digitali, diversamente da quelli tradizionali, hanno vita breve.

E’ interessante che se ne sia accorto e lo segnali come problema prioritario  Vint Cerf, vicepresidente di Google. Se un colosso come Google, infatti, decide di muoversi è assai probabile possa succedere qualcosa di interessante. In ogni caso il tema della conservazione del documento digitale è (o meglio dovrebbe essere) una parte della cultura di base condivisa da parte di chi si occupa di questi temi. Il fatto che Google se ne interessi è senz’altro un passo importante in questa direzione.

Vint Cerf è intervenuto all’incontro annuale dell’American Association for the Advancement of Science [1] parlando del rischio di “generazione dimenticata”. La nostra memoria conservata su supporti digitali, in altre parole,  potrebbe essere estremamente volatile e lasciare poche tracce ai posteri. In tempi relativamente brevi (qualche lustro al massimo) i nostri documenti, libri, immagini, video, etc. potrebbero essere inutilizzabili.

I motivi di questo fenomeno sono molti:  i software cambiano, i supporti si deteriorano, i formati mutano, gli hardware hanno tempi di obsolescenza assai veloci. Tanto per fare un esempio: a prescindere dall’integrità del contenuto, del supporto, dalla disponibilità  di software idonei a leggere i formati di qualche anno, chi sarebbe oggi in grado di utilizzare un floppy disk? Stiamo parlando di una tecnologia che era standard fino ad una quindicina di anni fa. Ogi è completamente inutilizzabile salvo affrontare costi e sforzi organizzativi assai onerosi (mantenere emulatori dei vecchi sistemi operativi e di vecchi sw, gli hardware giusti, etc.).

In estrema sintesi i supporti e i software per i dati invecchiano precocemente.

Il problema è ancora più insidioso se dai dati passiamo ai documenti archivistici e da questi ai documenti amministrativi o, comunque, giuridicamente rilevanti. In questo caso, infatti, oltre a mantenere l’integrità e la fruibilità dell’informazione è necessario conservare anche i metadati del contesto archivistico documentale (dal soggetto produttore, alle relazioni tra documenti appartenenti alla stessa pratica, alle informazioni di classificazione, etc) e garantire il mantenimento degli elementi che permettono al documento di esprimere il suo contenuto giuridico (autenticità, integrità, identità, etc).

Senza scendere troppo in dettagli tecnici oltre al problema delle tecnologie è necessario affrontare il tema forndamentale dell’organizzazione documentale e della conservazione. La gestione e conservazione del documento digitale, voglio dire, richiede un’apparato organizzativo specifico che presidi tutto il ciclo di vita (dalla produzione all’eventuale scarto) sia del singolo documento che dell’archivio in cui si colloca comprese tutte le relazioni significative (come è classificato, a quale pratica appartiene, ettc).

Semplificando un pò i concetti per rendere l’idea si parla di conservazione attiva e passiva. Un archicio tradizionale ben organizzato si conserva quasi da solo: se utilizzo supporti relativamente resistenti (non carte chimiche o le “veline” dei vecchi fax) e lo metto in un luogo relativamente al riparo da eventi catastrofici, posso scordarmene per decenni con la relativa certezza di ritrovarlo tale e quale, perfettamente leggibile, organizato esattamente come l’ho lascitao, con i vincoli di contesto archivistico e documentale intatti (trattandosi di vincoli fisici: il posto in cui ho messo i documenti, i faldoni in cui li ho collocati, etc), con il  loro valore giuridico probatorio inalterato (dato che eso dipende da elementi intrinseci alla materia su cui e scritto il documento quali firme, sottoscrizioni, punzoni, etc). Ovviamente lo stesso discorso è impensabile se parliamo di documenti informatici. In questo caso la consrrvazione deve essere assai più attiva: devo prevedere un apparato organizzativo dedicato alla gestione e conservazione di questo archivio che periodicamente verifichi i supporti, i formati, la validità dei documenti (dato che, ad esempio, le firme digitali e le marche temporali scadono), migri la documentazione da supporti e formati obsoleti ad altri leggibili nel futuro,  mantenga i metadati archvistici, organizzativi e giuridici, etc. che consentano di collocare la documentazione nel guisto contesto per continuare a comprenderla nel suo significato.

Si tratta di uno sforzo di non poco conto di cui bisogna essere pienamente consapevoli. Il documento digitale, infatti, offre grandissime opportunità. Va però maneggiato con le dovute cautele e senza quell’ecceso di faciloneria e finto modernismo che spesso si incontrano quando si affrontano questi temi.

Si tratta di temi ampiamente noti in ambito archivistico. Tra tutti basti citare il progetto Titulus97 [2] delle Università Italiane (che si pone questi problemi dal lontano 1997) evoluto nel più recente “Procedamus [3]” o lo studio internazionale InterPAres.  [4]

E’ però sicuramente importante e di grande interesse che di questi argomenti si inizi a trattare non solo tra addetti ai lavori ma diventino  patrimonio culturale comune per chiunque si approcci alla gestione e alla conservazione documentale e della memoria. Per questo l’intervento di  Vint Cerf ci è parso di grande interesse.