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Alla Corte costituzionale l’affidamento di una quota pari all’80% dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro6 min read

É rilevante e non manifestamente infondata la questioni di legittimità costituzionale della l. n. 11/2016 e dell’art. 177, comma 1, d.lgs. n. 50/2016, nella parte in cui stabiliscono l’obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere all’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione Europea, di affidare una quota pari all’80 % dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale e per la salvaguardia delle professionalità, prevendo che la restante parte possa essere realizzata da società in house di cui all’art. 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 19 agosto 2020, n. 5097 [1], Presidente Franconiero, Estensore Saltelli

A margine

Una società gestore di impianti d’illuminazione pubblica mediante concessione chiede al Tar Lazio l’annullamento delle Linee Guida A.NA.C. n. 11 [2], recanti «Indicazioni per la verifica del rispetto del limite di cui all’art. 11, comma 1, del codice [3], da parte dei soggetti pubblici o provati titolati di concessioni di lavori, servizi pubblici o forniture già in essere alla data di entrata in vigore del codice non affidate con la formula della finanza di progetto ovvero con procedure di gara ed evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione Europea» per:

  • la violazione dell’art. 177, comma 3, del codice dei contratti pubblici [3], sviamento ed eccesso di potere e difetto di competenza, a causa dell’«occupazione di spazi di regolazione non autorizzati dalla fonte primaria», relativi all’adeguamento delle concessioni in essere a quanto previsto dai commi 1 e 2 della medesima disposizione;
  • l’introduzione di un obbligo generalizzato di esternalizzazione e il divieto per i concessionari di esecuzione diretta dei lavori e servizi;
  • la mancata esclusione dal suo ambito di applicazione dei concessionari operanti nei settori speciali;
  • la violazione delle Direttive e dei principi europei a tutela degli investimenti;
  • la mancata esclusione dal suo ambito di applicazione concessionari di servizi pubblici locali titolari di affidamento precedenti al 31 dicembre 2004 e conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 34, comma 22, del decreto-legge n. 179/2012. [4]

In via subordinata prospetta l’illegittimità costituzionale delle Linee Guida n. 11 [2] e dell’art. 177 del D. Lgs. n. 50 del 2016 [3] in relazione agli artt. 76, 11, 117, 97 e 3 Cost. [5], anche con riferimento alla violazione dell’art. 32 della legge n. 234/2012 [6] (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea), dell’art. 14, commi 24-bis e ss. della legge n. 246/2005 [7] (Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), dell’art. 1, comma 1, della legge n. 11/2016 [8], di delega per l’attuazione delle direttive europee in materia di contratti pubblici e dell’art. 2 della Direttiva 2014/23 [9] sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, oltre che dei principi europei di tutela degli investimenti; ed ancora, quanto all’obbligo di esternazione delle attività svolte, per violazione degli artt. 41 e 97 della Costituzione [5], violazione dei principi di certezza del diritto, irretroattività della norma e proporzionalità.

Il Tar Lazio, con sentenza 9309/2019 [10], dichiara inammissibile il ricorso per carenza di immediata e concreta lesività degli atti impugnati. Pertanto l’impresa si appella al Consiglio di Stato.

La sentenza

Il Consiglio di Stato chiarisce che l’obbligo di dismissione totalitaria previsto dalle disposizioni di legge censurate, ancorché finalizzato a sanare l’originaria violazione dei principi comunitari di libera concorrenza consumatasi in occasione dell’affidamento senza gara della concessione, si traduce per un verso in un impedimento assoluto e definitivo di proseguire l’attività economica privata, comunque intrapresa ed esercitata in base ad un titolo amministrativo legittimo sul piano interno, secondo le disposizioni di legge all’epoca vigenti; e per altro verso va a snaturare il ruolo del privato concessionario, ridotto ad articolazione operativa degli enti concedenti, rispetto alla sua funzione di soggetto proposto dall’amministrazione all’esercizio di attività di interesse pubblico.

Nel perseguimento di legittimi obiettivi riconducibili ad imperativi di matrice euro-unitaria il legislatore sembra così avere totalmente pretermesso le contrapposte esigenze di tutela della libertà di impresa ai sensi dell’art. 41 della Costituzione e di mantenimento della funzionalità complessiva della concessione, altre volte invece considerate in funzione limitatrice degli obblighi di dismissione a carico del concessionario senza gara (si rinvia ai sopra citati artt. 146 e 253, comma 25, del previgente codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163).

Le considerazioni svolte inducono a ritenere non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità degli artt. 1, comma 1, lett. iii), della legge delega e 177, comma 1, del codice dei contratti pubblici [3] anche con riguardo all’art. 3, comma 2, Cost. [5], sotto il profilo della ragionevolezza.

L’obbligo di dismissione totalitaria dei lavori, servizi e forniture relativi ad una concessione affidata senza gara sembra infatti eccedere i pur ampi limiti con cui la discrezionalità legislativa può essere esercitata in riferimento al sovraordinato parametro di costituzionalità richiamato, a causa delle conseguenze sopra descritte.

Al medesimo riguardo va aggiunto che rispetto all’integrale esecuzione della concessione è apprezzabile un affidamento del privato affidatario che non può essere ritenuto irragionevole o colpevole, tenuto conto della validità del titolo costitutivo all’epoca della sua formazione e dunque dell’inesistenza di cause – anche occulte – di contrarietà delle stesse all’ordinamento interno (cause che diversamente avrebbero potuto legittimare l’annullamento, la risoluzione o la riduzione della durata della concessione).

La scelta legislativa, pur legittimamente orientata a rimuovere rendite di posizione, non appare pertanto equilibrata rispetto alle contrapposte e altrettanto legittime aspettative dei concessionari di proseguire l’attività economica in corso di svolgimento, con l’inerente realizzazione degli equilibri economico – finanziari su cui erano stati pianificati i relativi investimenti; e di mantenimento delle conoscenze strategiche, tecniche e tecnologiche acquisite e la professionalità acquisite, rilevanti anche sotto il profilo dell’interesse pubblico.

Ancora sotto il profilo della ragionevolezza può essere evidenziato il fatto che l’obbligo di dismissione di cui si discute riguarda indistintamente i concessionari titolari di affidamento senza gara, indipendentemente dalla effettiva dimensione della struttura imprenditoriale che gestisce la concessione, dall’oggetto e dall’importanza del settore strategico cui si riferisce la concessione, oltre che dal suo valore economico e dal fatto che il contratto di concessione fosse ancora in vigore al momento dell’entrata in vigore dell’art. 177, d.lgs. n. 50 del 2016 [3], ovvero se la concessione fosse scaduta e che versasse in una situazione di proroga, di fatto o meno.

Per le medesime considerazioni le questioni di legittimità costituzionale appaiono non manifestamente infondate in relazione all’art. 97, comma 2, della Costituzione [5], dal momento che le concessioni cui si riferisce l’obbligo di dismissione totalitaria concernono servizi pubblici essenziali, evidentemente rispondenti a bisogni fondamentali della collettività ed affidati a concessionari privati per l’incapacità strutturale delle amministrazioni pubbliche di gestirli in modo efficiente ed efficace.

Ciò posto la norma delegante e delegata non risultano contenere alcuna considerazione circa gli effetti di tale obbligo di dismissione sull’efficiente svolgimento di tali servizi pubblici essenziali e sulle possibili ricadute sull’utenza.

Pertanto il Consiglio di Stato, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata:

  • dichiara ammissibile il ricorso ed i motivi aggiunti proposti in primo grado;
  • esaminando questi ultimi, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 41, comma 1, 3, comma 2, e 97, comma 2 della Costituzione [5], dell’art. 1, comma 1, lett. iii), della legge n. 11/2016 [8], e dell’art. 177, comma 1, del codice dei contratti pubblici di cui al d. lgs. n. 50/2016 [3], nei sensi di cui in motivazione;
  • dispone la sospensione del giudizio e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

di Simonetta Fabris