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Come valutare la domanda di accesso sotto l’aspetto della normativa applicabile6 min read

IN POCHE PAROLE …

Per fissare il confine fra accesso civico e accesso documentale, il responsabile del procedimento deve fare riferimento al contenuto dell’istanza di ostensione.


Cons. Stato, sez. IV,  sentenza [1]22 novembre 2022, [1] n. 10275, [1]Pres. Poli- Est. Loria

Se l’interessato fa  inequivoco riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, l’istanza presentata deve essere esaminata unicamente sotto i profili dettati dalla legge 241 del 1990  e non anche con riferimento all’accesso civico generalizzato.


LINK UTILI

Legge 241/1990 [2]


Introduzione

L’esercizio dei diritti di accesso agli atti è elemento fondante il principio di trasparenza che deve caratterizzare l’agire pubblico.

L’istanza di accesso ricevuta dalla Pubblica Amministrazione può avere contenuti differenti, la cui disamina risulta assumere primario rilievo al fine di valutare e comprendere le conseguenze che ne derivano sulla sfera giuridica del soggetto richiedente. Una distinzione tra le varie categorie di disclosure, che viene generalmente suddivisa in tre ipotesi differenti: l’accesso documentale, l’accesso civico semplice e l’accesso civico c.d. generalizzato.

La prima tipologia citata di accesso ai documenti della Pubblica Amministrazione, ossia l’accesso documentale, rappresenta la forma tradizionale di accesso agli atti. La sua disciplina è contenuta nell’art. 22 della L. 241/1990 e si traduce in una richiesta di prendere visione ed estrarre copia di documenti, dati ed informazioni detenuti da una Pubblica Amministrazione, istanza non esperibile però da chiunque, bensì soltanto da quel soggetto che abbia un interesse diretto, concreto ed attuale rispetto al documento stesso. La richiesta dovrà essere regolarmente motivata ed in caso di mancata risposta da parte dell’Ente nel termine previsto si perverrà ad un silenzio-diniego.

Passando, sia pure per sommi capi, alle altre due forme di accesso, va fin da subito precisato come l’accesso civico è stato introdotto dall’art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013 [3], così come modificato dal successivo D.Lgs. n. 97/2016 [4].

Entro questa macro-categoria, l’accesso civico c.d. semplice consente a chiunque il diritto di richiedere ad una Pubblica Amministrazione documenti, informazioni e dati nei casi in cui sia stata illegittimamente omessa la loro pubblicazione.

Con l’espressione accesso civico c.d. generalizzato si intende, invece, l’istituto che consente a chiunque il diritto di accedere ai dati ed ai documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, pur sempre nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’art. 5 bis del D.Lgs. n. 33/2013. Quest’ultimo accesso è stato, infatti, riconosciuto proprio al fine, da un lato, di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e, dall’altro, di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.

Il caso

Nella fattispecie controversa sottoposta all’attenzione del Consiglio di Stato, i Giudici di Palazzo Spada sono stati chiamati a pronunciarsi sull’accertamento della presunta illegittimità del silenzio-diniego opposto da un Comune alle tre istanze di accesso difensivo ex art. 22 L. n. 241/1990. 

In particolare, la prima istanza era stata presentata a seguito di un sopralluogo disposto dall’Ente territoriale, la seconda, qualificata in sede giurisdizionale in realtà come una mera diffida, reiterava la precedente richiesta, sollecitando l’Amministrazione a consentire la presa visione dei documenti entro trenta giorni dal suo ricevimento, ed infine la terza istanza agli atti del procedimento, nella quale ai motivi difensivi dei propri interessi in giudizio veniva anche aggiunto un interesse del soggetto a conoscere lo stato dell’ambiente limitrofo all’attività gestita.

In assenza di riscontro da parte della Pubblica Amministrazione, il privato ha esperito un ricorso dinanzi al TAR, che ha però concluso il giudizio con una dichiarazione di irricevibilità condannando l’attore al pagamento delle spese di lite.

Giunti in grado di appello, i Giudici, nel respingere il ricorso, hanno avuto modo di approfondire l’importante istituto sotteso al caso in esame, chiarendone i profili maggiormente tipizzanti.

La sentenza

Nella risoluzione di questa controversa, il Consiglio di Stato si è posto in una linea di continuità con i precedenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul punto, operando un diretto richiamo alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 10/2020 [5].

É proprio in quella pronuncia, infatti, che l’organo giudicante ha avuto modo di chiarire che la Pubblica Amministrazione destinataria di un’istanza di accesso a documenti amministrativi formulata in modo del tutto generico, senza quindi un riferimento né all’accesso di tipo tradizionale né tantomeno all’accesso civico c.d. generalizzato, ovvero che contempli il richiamo di entrambi i predetti istituti, mediante quella che viene solitamente definita come una istanza cumulativa, il soggetto pubblico ha il potere-dovere di esaminarla nella sua interezza. Dunque anche con riferimento alla disciplina dell’accesso civico c.d. generalizzato.

Una regola generale che, però, non varrebbe, secondo questa corrente interpretativa consolidata, nel caso in cui l’interessato abbia fatto inequivoco riferimento alla disciplina dell’accesso oggetto della L. n. 241/1990. In tale ipotesi, l’istanza presentata dovrà essere esaminata unicamente sotto i profili dettati dalla legge richiamata e non anche con riferimento all’accesso civico generalizzato.

A giudizio del Consiglio di Stato, la controversia su cui è stato di recente chiamato a pronunciarsi rientrerebbe proprio in quest’ultima categoria, alla luce di una serie di considerazioni.

Anzitutto, le espressioni testualmente utilizzate dall’istante presenterebbero un espresso ed univoco riferimento all’accesso documentale disciplinato dagli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990.

Inoltre, una chiarezza in questo senso sulla natura dell’istituto giuridico fatto valere dal privato sarebbe confermata dall’enunciazione dell’interesse sotteso all’accesso agli atti, che, come evidenziato in sede di ricorso, sarebbe proprio quello di consentire al privato di “difendere i propri interessi in giudizio, considerato che pendono a suo carico procedimenti civili, penali ed amministrativi […]”.

L’anno scorso, un intervento dell’Adunanza Plenaria ha peraltro riaffermato che, in relazione all’accesso difensivo di cui alla L. n. 241/1990, l’Amministrazione detentrice dei documenti debba verificare che vi sia uno “stretto collegamento” tra gli atti richiesti e le difese da apprestare in un processo già pendente o eventualmente da instaurare, fermo restando il limite per la Pubblica Amministrazione di esprimere valutazioni ulteriori circa l’influenza o la decisività del documento ai fini della risoluzione della controversia.

Da ultimo, per i Giudici di appello un’ulteriore elemento utile per connotare, nel caso sottoposto alla loro attenzione, l’interesse all’accesso in termini di accesso difensivo sarebbe stato il fatto che gli atti richiesti riguardavano terreni nella esclusiva disponibilità dell’attore.

A questo si aggiunga, a titolo di completezza espositiva, la differenza della richiesta di specie rispetto al c.d. diritto all’informazione ambientale, fatto valere nella terza istanza di accesso e successivamente richiamato dall’attore in sede giurisdizionale anche tra i motivi di impugnazione. La ratio della disciplina relativa all’accesso al pubblico alle informazioni ambientali ex art. 1 del D.Lgs. n. 195/2005 [6] non si attagliava, infatti, alle istanze presentate dal ricorrente (difesa dei propri interessi in giudizio), così come, sotto un profilo più propriamente di carattere formale, la stessa materia era stata solo genericamente indicata dal privato, senza che fosse stato in alcun modo circostanziato l’interesse all’informazione ambientale.

Conclusione

Nella sentenza annotata emergere come l’interesse fatto valere dall’istante in tale fattispecie concreta fosse un vero e proprio interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale veniva chiesto l’accesso, esattamente rispondente alla tipologia di posizione giuridica di cui all’art. 22 della L. n. 241/1990.

Da questo deriva che, ricostruito in tali termini l’interesse, l’istante aveva illegittimamente azionato il ricorso ex art. 117 c.p.a. così come era incorso nella decadenza dal termine previsto dall’art. 116 c.p.a., dovendosi escludere un riferimento all’accesso civico generalizzato, dal momento che non si sarebbe trovato nella posizione del quisque de populo e non avrebbe quindi potuto essergli riconosciuto un interesse ancipite.

Dott. Alessandro Sorpresa