IN POCHE PAROLE …
La recente giurisprudenza in tema di requisiti di partecipazione e limiti al cumulo nei consorzi stabili operanti nel settore dei beni culturali riafferma alcuni principi fondamentali: autoresponsabilità del concorrente, la centralità della tutela dei beni culturali e impossibilità di modificare o interpretare in modo estensivo le regole della procedura in sede applicativa, a pena di lesione del principio di par condicio tra i concorrenti.
Un contributo significativo alla chiarezza interpretativa della normativa speciale in materia di appalti pubblici per beni culturali, che rafforza la coerenza del sistema tra disciplina contrattuale, interesse pubblico alla tutela del patrimonio e principi costituzionali.
Consiglio di Stato, sez. V, 04/02/2025, n. 875 – Pres. D. Sabatino, Est. A. Fasano
La disciplina degli appalti pubblici relativi ai beni culturali rappresenta da sempre un settore normativo ad alta densità valoriale e tecnica, in cui l’ordinario equilibrio tra concorrenza, semplificazione e tutela dell’interesse pubblico assume una configurazione peculiare. La recente sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 875/2025 – in continuità con l’arresto n. 4724/2024 – interviene a dirimere una controversia significativa circa l’applicazione del principio del divieto di cumulo alla rinfusa anche ai consorzi di cooperative di produzione e lavoro, con specifico riferimento ai lavori su beni culturali. Il tema al centro della decisione concerne il possesso dei requisiti di qualificazione da parte della consorziata indicata come esecutrice unica dell’appalto. La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale volto a garantire un’interpretazione restrittiva delle norme di gara in funzione della salvaguardia del patrimonio culturale, ribadendo il valore precettivo della lex specialis e l’obbligo di qualificazione in proprio da parte del soggetto esecutore.
Il caso
La controversia trae origine da una procedura di gara indetta da una centrale di committenza per conto del Ministero della Cultura, con ad oggetto lavori di restauro su un bene culturale sottoposto a tutela. L’aggiudicatario della commessa aveva indicato come esecutore integrale dei lavori un soggetto privo della necessaria classifica SOA. La seconda classificata ha impugnato l’aggiudicazione dinanzi al TAR competente, denunciando la violazione delle previsioni contenute nella lex specialis, che imponevano la qualificazione “in proprio” del soggetto esecutore, in conformità al regime speciale previsto per gli interventi su beni culturali, indicando come esecutrice una consorziata priva della classifica SOA richiesta (OG2, classe IV), possedendo solo una qualificazione in III-bis.
La seconda classificata ha impugnato l’aggiudicazione dinanzi al TAR Toscana, deducendo la violazione delle previsioni della lex specialis, che imponevano la qualificazione “in proprio” del soggetto esecutore, in conformità al regime speciale previsto per gli interventi sui beni culturali.
La questione centrale affrontata prima dal TAR e poi dal Consiglio di Stato concerne la possibilità, per un consorzio di cooperative (ex art. 65, co. 2, lett. b, d.lgs. n. 36/2023), di soddisfare i requisiti di qualificazione richiesti dalla normativa e dal disciplinare di gara mediante il possesso del requisito da parte del solo consorzio, senza che l’impresa consorziata designata come esecutrice lo possegga in proprio.
L’art. 8.5.3 del Disciplinare di gara stabiliva con chiarezza, a pena di esclusione, che “i requisiti di capacità economica e finanziaria, nonché tecnica e professionale, […] devono essere posseduti direttamente […] dalla/e singola/e impresa/e consorziata/e, eventualmente designata/e per l’esecuzione”, richiamando, tra l’altro, gli articoli 132, 133 e l’Allegato II.18 del d.lgs. n. 36/2023. Tali disposizioni, che disciplinano il regime speciale per i beni culturali, impongono il rispetto del divieto di cumulo alla rinfusa, vietando l’utilizzo della qualificazione del consorzio per supplire all’assenza dei requisiti da parte dell’esecutore effettivo.
La sentenza
Il Consiglio di Stato, nella sentenza annotata, conferma l’interpretazione offerta dal TAR Toscana, ritenendo irrilevanti le giustificazioni fornite dal Consorzio circa una presunta “indicazione prudenziale” della consorziata esecutrice. Al contrario, la documentazione di gara – in particolare il DGUE e la dichiarazione di subappalto al 100% – dimostrano inequivocabilmente la volontà del Consorzio di demandare integralmente l’esecuzione alla società.
Ciò comporta l’applicazione del principio di autoresponsabilità del concorrente: ogni soggetto partecipante a una procedura di evidenza pubblica è tenuto a sopportare le conseguenze delle proprie scelte, anche se erronee, nella redazione della documentazione di gara. Né può rilevare l’eventuale buona fede o la volontà soggettiva non correttamente espressa, in assenza di elementi che giustifichino un’interpretazione correttiva.
La pronuncia, inoltre, valorizza il dato sistemico e assiologico: la tutela del patrimonio culturale rappresenta un interesse pubblico superiore, riconosciuto dall’art. 9 della Costituzione e dall’art. 36 del TFUE, il quale consente espressamente restrizioni alla libertà di circolazione per motivi di tutela dei beni culturali.
In tale ottica, la previsione della qualificazione in proprio dell’esecutore non risponde solo a finalità di verifica amministrativa, ma costituisce garanzia sostanziale della capacità tecnico-professionale di chi materialmente interviene sul bene tutelato. Il divieto di cumulo alla rinfusa, quindi, non è una deroga alla regola generale, bensì una regola speciale fondata sulla peculiarità dell’oggetto dell’appalto.
Richiamando una consolidata giurisprudenza (Cons. Stato, n. 7595/2019; n. 3502/2017), il Collegio ribadisce che l’Amministrazione, una volta auto vincolatasi tramite il disciplinare di gara, è tenuta al rigoroso rispetto delle prescrizioni autoimposte. Ciò implica l’impossibilità di modificare o interpretare in modo estensivo le regole della procedura in sede applicativa, a pena di lesione del principio di par condicio tra i concorrenti. La lex specialis costituisce un parametro inderogabile di legittimità, anche alla luce dell’esigenza di prevedibilità e trasparenza che informa l’intera disciplina degli appalti pubblici.
Conclusioni
La sentenza n. 875/2025 si colloca nel solco di un orientamento rigoroso, volto a riaffermare i seguenti principi fondamentali:
- Prevalenza del criterio sostanziale di qualificazione: è il soggetto che esegue i lavori a dover possedere i requisiti previsti, senza possibilità di surroga da parte del consorzio;
- Estensione del divieto di cumulo alla rinfusa ai consorzi di cooperative, anche in presenza del legame organico tra consorzio e consorziata;
- Centralità della tutela dei beni culturali, che giustifica anche restrizioni ai principi di concorrenza e libertà organizzativa degli operatori economici;
- Effettività del principio di autoresponsabilità nella redazione della documentazione di gara, escludendo margini di correzione interpretativa postuma;
- Forza cogente della lex specialis, quale garanzia di parità di trattamento e affidamento dei partecipanti.
In breve, il Consiglio di Stato fornisce un contributo significativo alla chiarezza interpretativa della normativa speciale in materia di appalti pubblici per beni culturali, rafforzando la coerenza del sistema tra disciplina contrattuale, interesse pubblico alla tutela del patrimonio e principi costituzionali.
dott. Riccardo Renzi