IN POCHE PEROLE…

La qualificazione  di un intervento edilizio come nuova costruzione, soggetta al titolo abilitativo “permesso di costruire” e non alla DIA,  determina conseguenze rilevanti sul piano  procedimentale e sanzionatorio.


Consiglio di Stato, sez. VII, n. 4382 del 21 maggio 2025 – Pres. M. Lipari, Est. R.M. Castorina

D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, Testo unico edilizia


La qualificazione da parte del Comune di un intervento edilizio come “nuova costruzione” –  soggetta come tale al regime del permesso di costruire –  e non all’alternativo titolo edilizio abilitativo della D.I.A, rende incompatibile perfino l’astratta applicabilità dell’art. 37 del d.P.R n. 380/2001, con conseguente rigetto implicito dello stesso motivo di appello.

L’Amministrazione non ha alcun obbligo di concludere il procedimento se l’istanza presentata è  del tutto incompatibile con il regime edilizio delle opere realizzate. In tale evenienza, il silenzio serbato dal Comune assume piena efficacia di provvedimento esplicito di rifiuto, concretizzandosi, nella specie, un vero e proprio provvedimento tacito di diniego.

La valutazione circa la possibilità di dare corso all’ applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire. Ne consegue che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive.

In ogni caso, l’applicabilità della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, in deroga alla regola generale della demolizione, propria degli illeciti edilizi, presuppone la dimostrazione dell’oggettiva impossibilità di procedere alla demolizione delle parti difformi senza incidere, sul piano delle conseguenze materiali, sulla stabilità dell’intero edificio.

La nuova disciplina delle tolleranze costruttive, introdotta dal D.L. 69/2024 (c.d. Decreto Salva Casa), non può essere applicata in via retroattiva.


Il fatto

La sentenza annotata riguarda un contenzioso sorto in seguito all’esecuzione coattiva di un ordine di demolizione e all’ingiunzione di pagamento di una sanzione pecuniaria per opere edilizie abusive, qualificate come nuova costruzione e realizzate senza titolo abilitativo valido. Dopo che il TAR Lazio aveva respinto il ricorso avverso gli atti repressivi (sentenza n. 6295/2016), l’appello contro tale decisione era stato rigettato dal Consiglio di Stato con sentenza 17.2. 2022, n. 1184.

A fronte dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, il Comune aveva disposto la demolizione d’ufficio, atto a sua volta impugnato. Il Consiglio di Stato, però, non ha rilevato che sussistessero i vizi  denunciati negli atti impugnati e, pertanto, ha respinto anche questo  ricorso, condannando l’appellante al pagamento delle spese di giudizio.

La sentenza

Nello specifico, la pronuncia del Consiglio di Sato, che ha posto fine ad un contenzioso che si trascinava da tempo, conferma, quindi, la legittimità dell’esecuzione coattiva disposta dal Comune.

La sentenza riafferma principi consolidati in materia urbanistica e di repressione dell’abusivismo edilizio, confrontandosi anche con le recenti innovazioni normative introdotte dal D.L. 69/2024,. convertito con modificazioni dalla L. 24 luglio 2024, n. 105.

Inoltre, offre un’importante occasione per riflettere sul valore preclusivo del giudicato amministrativo, sulla natura eventuale della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, nonché sul significato del silenzio procedimentale quale forma di diniego tacito in caso si richiesta di sanatoria edilizia.

A fondamento della  decisione di rigetto, il Collegio ha costruito un impianto motivazionale conforme, per lo più, a orientamenti giurisprudenziali consolidati. Ha affrontato, però, anche un tema nuovo. Infatti, nel negare il rinvio richiesto dalla parte per presentare un’istanza ex art. 34-bis d.P.R. 380/2001 (come modificato dal D.L. 69/2024, cd. “Salva-Casa”), ha escluso l’applicabilità, nel caso in esame,  della nuova disciplina delle tolleranze costruttive .

I Giudici di Palazzo Spada, in particolare,  hanno rigettato i seguenti motivi di appello: (i) asserita erroneità della sentenza del TAR circa l’errata qualificazione dell’opera e la carenza di istruttoria e motivazione; (ii) contestazione della circostanza che la precedente decisione del Consiglio di Stato avrebbe formato giudicato in merito all’inapplicabilità dell’art. 37 d.P.R. 380/2001, lasciando aperta, invece, la possibilità di valutare l’istanza di sanatoria; (iii)   mancata considerazione, da parte del Comune, della possibilità di applicare la sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, stante una presunta impossibilità materiale di riduzione in pristino senza pregiudizio per la parte legittima del fabbricato.

In relazione all’istanza di sanatoria ex art. 37 del testo unico dell’edilizia, il  Collegio ha ribadito che la qualificazione dell’intervento come nuova costruzione, accertata con la precedente sentenza dello stesso massimo Organo di giustizia amministrativa, n. 1184/2022,  ha reso l’istanza radicalmente inammissibile, sicché non sussisteva alcun obbligo per l’amministrazione di pronunciarsi espressamente. Per il Collegio, il silenzio dell’amministrazione sul punto è stato correttamente inteso come «diniego tacito», in conformità alla sentenza della Corte costituzionale n. 42 del 16 marzo 2023, che ha ritenuto tale meccanismo compatibile con i principi costituzionali. Su questo aspetto, il Collegio ha richiamato il consolidato orientamento del Consiglio di Stato, secondo cui “ Il silenzio della p.a. sulla richiesta di concessione in sanatoria e sulla istanza di accertamento di conformità, di cui all’art. 36 t.u. edilizia, ha un valore legale tipico di rigetto, costituisce cioè una ipotesi di silenzio significativo al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego; in effetti la natura provvedimentale è anche confermata dall’articolo stesso, secondo cui sulla richiesta di sanatoria si pronuncia il dirigente o il responsabile entro sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata; […]. Il silenzio serbato dal Comune sull’istanza di accertamento di conformità urbanistica, quindi, non ha valore di silenzio-inadempimento, ma di silenzio-rigetto, con la conseguenza che, una volta decorso il relativo termine, non sussiste un obbligo di provvedere; ciò comporta altresì il permanere della facoltà di provvedere espressamente, nella specie esercitata ragionevolmente, anche a fronte del supplemento istruttorio svolto dall’amministrazione” (Cons. St. Sez. VI, sent. 15.3.2023, n.  2704; ex multis, v. sent. Sez. VI n. 3396/2022 e n. 3417/2018).

Anche per ciò che riguarda la sanzione pecuniaria, il Consiglio di Stato ha ripreso un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui la “valutazione circa la possibilità di dare corso all’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire di talché tale profilo non influisce sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione […]; in ogni caso, l’applicabilità della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, in deroga alla regola generale della demolizione, propria degli illeciti edilizi, presuppone la dimostrazione dell’oggettiva impossibilità di procedere alla demolizione delle parti difformi senza incidere, sul piano delle conseguenze materiali, sulla stabilità dell’intero edificio”, ragione per cui la mancata valutazione di tale possibilità non incide  sulla legittimità dell’ordine di demolizione.

Conclusioni

La sentenza in esame si distingue per il rigore e la coerenza con cui ha affrontato i profili sistematici e pratici della repressione dell’abusivismo edilizio, confermando l’impianto rigoroso e formalmente intransigente, teso a garantire l’effettività della funzione di governo del territorio, costruito da un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale.

A fronte della persistente difficoltà operativa di eseguire gli ordini di demolizione, la sentenza in esame si pone come esempio di applicazione ferma dei principi di legalità e certezza giuridica.

Molti i punti d’interesse della decisione, che si possono così riassumere

Innanzitutto, conferma che il silenzio procedimentale sulla richiesta di concessione in sanatoria è uno strumento legittimo di silenzio rigetto ( e non ha il significato di silenzio inadempimento) ed è un meccanismo compatibile  con in principi costituzionali, come confermato dalla Corte costituzionale. Ribadisce, inoltre, che la sanzione pecuniaria sostitutiva ha natura eventuale e accessoria, valutabile solo nella fase esecutiva e subordinatamente alla prova dell’impossibilità materiale della demolizione dell’immobile abusivo.

Infine, esclude l’applicabilità retroattiva,  nella specie,  delle nuove tolleranze costruttive del D.L. 69/2024, confermando così un modello rigoroso di legalità.

dott. Riccardo Renzi

 


Stampa articolo