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Enti no profit ammessi al casellario nazionale delle Società di ingegneria e architettura5 min read

L’articolo 19, paragrafo 1, e l’articolo 80, paragrafo 2, della direttiva 2014/24, letti alla luce del considerando 14 della medesima direttiva, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che esclude, per enti senza scopo di lucro, la possibilità di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi di ingegneria e di architettura, sebbene tali enti siano abilitati in forza del diritto nazionale ad offrire i servizi oggetto dell’appalto.

Corte di Giustizia UE, sez. X, sentenza 11 giugno 2020, causa C 219-19 [1], Presidente Jarukaitis, avvocato generale Pikamäe

A margine

In seguito al diniego dell’ANAC all’iscrizione di una società no profit nel casellario nazionale delle società di ingegneria e dei professionisti abilitati a prestare servizi di architettura e di ingegneria, il Tar del Lazio, con ordinanza del 28 febbraio 2019 n. 2644 [2], chiede alla CGUE, se l’articolo 19, paragrafo 1, e l’articolo 80, paragrafo 2, della direttiva 2014/24 [3], letti alla luce del considerando 14 della medesima direttiva, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che esclude, per enti senza scopo di lucro, la possibilità di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi di ingegneria e di architettura, sebbene tali enti siano abilitati in forza del diritto nazionale ad offrire i servizi oggetto dell’appalto di cui trattasi.

La sentenza

La Corte ricorda che, già con la sentenza CoNISMa [4] (C‑305/08), ha dichiarato, con riferimento a una normativa nazionale di trasposizione, nell’ordinamento giuridico interno, della direttiva 2004/18/CE [5] che, certamente, gli Stati membri hanno il potere di autorizzare o non autorizzare talune categorie di operatori economici a fornire certi tipi di prestazioni e che essi possono, in particolare, autorizzare o meno enti che non perseguono finalità di lucro, e il cui oggetto sia principalmente volto alla didattica e alla ricerca, ad operare sul mercato in funzione della circostanza che l’attività in questione sia compatibile, o meno, con i loro fini istituzionali e statutari. Tuttavia, se, e nei limiti in cui, siffatti enti siano autorizzati a offrire taluni servizi sul mercato, il diritto nazionale non può vietare a questi ultimi di partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici aventi ad oggetto la prestazione degli stessi servizi.

Tale giurisprudenza è stata confermata sia per quanto riguarda la medesima direttiva sia per quanto riguarda la direttiva da essa sostituita (direttiva 92/50/CEE [6] del 18 giugno 1992).

La rilevanza di detta giurisprudenza della Corte non è venuta meno con l’entrata in vigore della direttiva 2014/24. [3]Infatti, oltre alla circostanza che la nozione di «operatore economico» che figurava nella direttiva 2004/18 [5] è stata ripresa, senza modifiche sostanziali, nella direttiva 2014/24 [3], il considerando 14 di quest’ultima indica ora espressamente che tale nozione dovrebbe essere interpretata «in senso ampio», in modo da includere qualunque persona e/o ente attivo sul mercato, «a prescindere dalla forma giuridica nel quadro della quale ha scelto di operare». Parimenti, l’articolo 19, paragrafo 1, di tale direttiva, così come il suo articolo 80, paragrafo 2, prevedono espressamente che la candidatura di un operatore economico non possa essere respinta soltanto per il fatto che, secondo il diritto nazionale, esso avrebbe dovuto essere una persona fisica o una persona giuridica.

Ne consegue che il diritto nazionale non può vietare ad una fondazione senza scopo di lucro, che è abilitata ad offrire taluni servizi sul mercato nazionale, di partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici aventi ad oggetto la prestazione degli stessi servizi.

Questa interpretazione non può essere rimessa in discussione per il motivo, evocato dal giudice del rinvio e ripreso dal governo italiano nelle sue osservazioni, secondo cui la definizione restrittiva della nozione di «operatore economico» di cui all’articolo 46 del codice dei contratti pubblici [7] nel contesto di servizi connessi all’architettura e all’ingegneria sarebbe giustificata dall’elevata professionalità richiesta per garantire la qualità di tali servizi nonché da un’asserita presunzione secondo cui i soggetti che erogano tali servizi in via continuativa, a titolo professionale e remunerato, siano maggiormente affidabili per la continuità della pratica e dell’aggiornamento professionale.

In primo luogo, il governo italiano non ha dimostrato l’esistenza di alcuna correlazione particolare tra, da un lato, il livello di professionalità dimostrato nell’ambito della prestazione di un servizio e, di conseguenza, la qualità del servizio fornito, e, dall’altro, la forma giuridica nella quale l’operatore economico che fornisce tale servizio è costituito.

In secondo luogo, per quanto riguarda la «presunzione» secondo cui i soggetti che erogano servizi connessi all’architettura e all’ingegneria in via continuativa, a titolo professionale e remunerato, siano maggiormente affidabili per la continuità della pratica e dell’aggiornamento professionale, è sufficiente rilevare che una simile presunzione non può essere accolta nel diritto dell’Unione, essendo quest’ultima incompatibile con la giurisprudenza della Corte dalla quale deriva che, qualora un ente sia abilitato in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura nello Stato membro interessato, esso non può vedersi negato il diritto di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico avente ad oggetto la prestazione degli stessi servizi.

Infine, si aggiunge che il legislatore dell’Unione era sensibile all’importanza, per i candidati e gli offerenti nel settore degli appalti pubblici di presentare un elevato grado di professionalità. Per questo ha previsto, nella direttiva 2014/24 [3], la possibilità di obbligare le persone giuridiche ad indicare, nell’offerta o nella domanda di partecipazione, il nome e le qualifiche professionali delle persone incaricate di fornire la prestazione per l’appalto di cui trattasi. Per contro, detto legislatore non ha, per lo stesso fine, stabilito alcun trattamento differenziato in ragione della forma giuridica nella quale tali candidati ed offerenti hanno scelto di operare.

Per tali ragioni, alla questione sollevata, la Corte risponde dichiarando che l’articolo 19, paragrafo 1, e l’articolo 80, paragrafo 2, della direttiva 2014/24 [3], letti alla luce del considerando 14 della medesima direttiva, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che esclude, per enti senza scopo di lucro, la possibilità di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi di ingegneria e di architettura, sebbene tali enti siano abilitati in forza del diritto nazionale ad offrire i servizi oggetto dell’appalto di cui trattasi.