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Appalti, valore del contratto con o senza il quinto d’obbligo?6 min read

Il “quinto d’obbligo” rappresenta una prestazione aggiuntiva rispetto al contratto originario costituendo una sopravvenienza.

Nessuna norma del Codice dei contratti pubblici, e tantomeno l’art. 106, comma 12, richiede che il ricorso al “quinto d’obbligo” assuma rilevanza ai fini della determinazione del valore dell’appalto oggetto di gara nemmeno per la definizione della soglia di rilevanza comunitaria.

TAR Lombardia, Milano, sez. II, sentenza 10 febbraio 2020, n. 284 [1], Presidente Caso, Estensore Di Mario

A margine

Il fatto – La ditta seconda classificata di una procedura negoziata per l’affidamento della fornitura triennale di “cartucce per l’esecuzione di test sul tempo di coagulazione e noleggio di due sistemi per test viscoelastici e di aggregazione”  lamenta, tra le altre cose, l’illegittimità della lex specialis, al fine di vederla annullare e ottenere la rinnovazione dell’intera procedura, a fronte di un presunto errore nella determinazione del valore di gara.

In particolare, secondo la ricorrente, risulta illegittima la scelta di una gara “sotto-soglia” ai sensi dell’art. 36, comma 2, lett. b), del d.lgs. n. 50/2016 [2], avendo il capitolato previsto la possibilità di operare con il cd. “quinto d’obbligo”, in conformità al disposto dell’art. 106, comma 12, del d.lgs. n. 50/2016 [3], per cui anche tale “quinto” (ovvero il 20% del valore posto a base d’asta) avrebbe dovuto essere computato, con conseguente superamento della soglia comunitaria di € 221.000,00 e necessaria applicazione di una procedura diversa per la scelta del contraente.

L’amministrazione, costituita in giudizio, afferma che il “quinto d’obbligo”, non è, né potrebbe qualificarsi, come un’opzione e nemmeno come un rinnovo ai sensi del comma 4 dell’art. 35 del Codice dei contratti pubblici.

Lo stesso fa la ditta aggiudicataria secondo cui il “quinto d’obbligo” (art. 106, co. 12, del Codice [3]) non sarebbe riconducibile alle “eventuali opzioni” di cui all’art. 35, comma 4, del Codice ma ad un meccanismo ipso iure applicabile a prescindere da qualsiasi previsione della lex specialis.

La sentenza – Il TAR ritiene il ricorso infondato ricordando che l’art. 35, comma 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 [3] prevede che “Il calcolo del valore stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture è basato sull’importo totale pagabile, al netto dell’IVA, valutato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore. Il calcolo tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di eventuali opzioni o rinnovi del contratto esplicitamente stabiliti nei documenti di gara. Quando l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore prevedono premi o pagamenti per i candidati o gli offerenti, ne tengono conto nel calcolo del valore stimato dell’appalto”.

A sua volta, il successivo art. 106, comma 12, stabilisce che “La stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, può imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto”.

Secondo il Collegio tale norma è chiara nel definire il “quinto d’obbligo” come una prestazione aggiuntiva rispetto al contratto originario che costituisce una sopravvenienza. Essa quindi si sottrae alla previsione dell’art. 35, comma 4, del Codice dei contratti pubblici [3], il quale fa riferimento a clausole già previste al momento della predisposizione degli atti di gara ed in essi inserite per effetto di un scelta discrezionale della stazione appaltante – che evidentemente ne valuta ab initio l’utilità per l’interesse pubblico perseguito –, sia pur rimesse dette clausole, nella loro concreta applicazione, ad una successiva valutazione facoltativa dell’amministrazione. Tale ricostruzione risulta confermata dal fatto che il “quinto d’obbligo” rientra tra le modifiche contrattuali, oggetto di variante, e quindi si differenzia nettamente dai patti aggiunti al contenuto del contratto che si inseriscono nella fase di formazione del medesimo ed ai quali la norma in esame si rivolge.

Inoltre la sua inclusione negli atti di gara, ma non nel contratto, finirebbe per creare una distonia rilevante tra valore della gara e valore del contratto. Infatti l’art. 106, comma 12, del Codice dei contratti [3] prevede che tale diritto potestativo ha fonte legale e non negoziale, innestandosi ab externo sul contratto il cui valore può essere ridotto o incrementato per effetto di scelte operate solo ex post dalla stazione appaltante, mentre il valore della gara risulterebbe fin dall’inizio ancorato ad un importo solo ipotetico e sicuramente divergente dalle offerte dei concorrenti, dal cui confronto concorrenziale dovrebbe di norma scaturire la difformità tra valore della gara e valore del contratto.

In considerazione di ciò nessuna norma del Codice dei contratti [3], e tantomeno l’art. 106, comma 12, richiede che il ricorso al “quinto d’obbligo” assuma rilevanza ai fini della determinazione del valore dell’appalto oggetto di gara. E non se ne può dunque tenere conto neppure per le soglie di rilevanza comunitaria.

Non rileva neppure che, nel caso in esame, il capitolato speciale d’appalto prevedesse “…un aumento o una diminuzione della fornitura … fino alla concorrenza del quinto dell’appalto alle medesime condizioni del contratto…”, giacché il richiamo esplicito dalla lex specialis nulla aggiunge all’ambito di efficacia dell’istituto del “quinto d’obbligo”, trattandosi di meccanismo che comunque opera ex lege, sì da non rientrare tra le voci “opzioni o rinnovi” previste di volta in volta dall’ente appaltante all’atto dell’indizione della gara.

Il parere del MIT – Sul tema del valore stimato dell’appalto si è di recente espresso il servizio di supporto giuridico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con il parere n. 581 del 18 novembre 2019 [4].

In particolare, ai fini della risoluzione del quesito proposto da una SA, il MIT ha chiarito la differenza tra importo a base d’asta e valore stimato dell’appalto precisando che l’espressione “importo massimo stimato come valore contrattuale dell’appalto” di cui all’art. 35, comma 4 del Codice [3], si riferisce al valore stimato di un appalto pubblico. Tale valore non è lo stesso dell’importo a base d’asta (che a sua volta si compone dell’importo a base d’asta soggetto a ribasso e dell’importo a base d’asta non soggetto a ribasso). Ai sensi dell’art. 35 del Codice [3], il valore stimato di un appalto da prendere in considerazione al fine di valutare l’eventuale superamento della soglia comunitaria è quello derivante dalla somma dell’importo a base di gara (al netto di Iva e/o di altre imposte e contributi di legge, nonché degli oneri per la sicurezza dovuti a rischi da interferenze non soggetti a ribasso) e di eventuali opzioni, rinnovi, premi e pagamenti. Pertanto, per determinare il valore stimato dell’appalto, all’importo a base d’asta devono esser aggiunti – eventualmente – opzioni, rinnovo, premi e pagamenti. Il valore complessivo dell’appalto di cui all’art. 35, è fondamentale soprattutto per individuare la corretta procedura da seguire nell’aggiudicazione di un appalto con relativi obblighi di pubblicità (contratto di rilevanza europea oppure contratto sotto soglia), nonché per verificare gli obblighi previsti dall’art. 21 del Codice [3] di inserire, rispettivamente, i lavori nella programmazione triennale dei lavori e le forniture/servizi nel programma biennale di forniture e servizi (è, infatti, obbligatorio l’inserimento dei lavori il cui valore stimato dell’appalto è pari o superiore a € 100.000 o l’inserimento delle forniture/servizi d’importo unitario stimato pari o superiore a € 40.000).

Questo importo è anche quello che deve essere indicato in occasione di richiesta del CIG. Diversamente, l’importo A BASE D’ASTA è il valore di riferimento per la presentazione delle offerte economiche da parte dei concorrenti; ai fini della determinazione dello stesso non occorre tener conto di eventuali opzioni. Alla luce di quanto sopra, posto che negli atti di gara occorre indicare sia l’importo a base d’asta che il valore complessivo stimato dell’appalto, si rappresenta che l’importo a base d’asta non dovrà tener conto di eventuali rinnovi; al contrario, il valore stimato dell’appalto terrà conto di tutte le eventuali opzioni. Si vedano sul punto anche le indicazioni contenute ai paragrafi 3 e 4 del Bando tipo ANAC n. 1 [5].

di Simonetta Fabris