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Il numero dispari dei componenti della commissione giudicatrice di gara è obbligatorio?4 min read

Nel caso di procedura da aggiudicare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la previsione del numero dispari di componenti della commissione giudicatrice, espressamente sancita dall’art. 84, co. 2 del d.lgs n. 163/2006 [1], non è espressione di un principio generale, immanente nell’ordinamento, tale da determinare l’illegittimità della costituzione di un collegio avente un numero pari di componenti.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 11 luglio 2013, n. 3730. Pres. Lignani, Est. Simonetti

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Il caso

Fra le diverse censure dedotte in appello dall’originaria ricorrente di prima grado, è stato eccepito che nel corso dello   svolgimento della gara, sarebbero state violate una serie di regole fondamentali concernenti la composizione ed i lavori della commissione nonché la conservazione delle buste contenenti le offerte

La sentenza

Il Consiglio di Stato, nel riformare parzialmente la sentenza di primo grado, sostiene la tesi sintetizzata nella massima ai fini della rivalutazione delle offerte da parte della stessa commissione di gara, con la precisazione che nella fattispecie trattasi di appalto rientrante nell’allegato II B al Codice dei contratti [1], cui si applicano, oltre ai principi della materia di cui all’art. 27, solamente le disposizioni puntuali del Codice richiamate nell’art. 20, tra le qualinon si fa menzione dell’art. 84, sulla composizione della commissione di gar, che neppure il bando richiama.

Commento

Con l’innovativa (e, si spera, isolata) sentenza in esame, il Consiglio di Stato ha ritenuto che, nonostante l’espressa previsione recata dall’art. 84, c. 2 del d.lgs n. 163/2006, a termini del quale è stabilito che «La commissione, nominata dall’organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, è composta da un numero dispari di componenti, in numero massimo di cinque, esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto», il numero dispari di componenti della commissione giudicatrice incaricata di valutare le offerte nell’ambito delle procedure da aggiudicare facendo ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa non sia da ritenere espressione di un principio inderogabile, tale da «determinare l’illegittimità della costituzione di un collegio avente un numero pari di componenti».

In particolare, la pronuncia in questione è stata motivata dai giudici di Palazzo Spada in considerazione del fatto che sono «note le numerose ipotesi di collegi, sia giurisdizionali che amministrativi, che operano (o che occasionalmente possono operare) in composizione paritaria, come, per fare solamente alcuni esempi, le Corti di assise nel giudizio penale che sono costituite da un numero pari di componenti; mentre la Corte costituzionale e le sezioni consultive di questo Consiglio di Stato, in caso di non infrequente assenza di taluno dei loro componenti, possono decidere anche in composizione paritaria. Senza contare i consigli e le giunte degli enti locali e delle regioni, e la generalità degli organi collegiali amministrativi».

Il problema, tuttavia, è che la necessaria formazione in «numero dispari di componenti» delle predette commissioni giudicatrici risulta prescritta da un’espressa disposizione normativa (l’art. 84 cit.), ritenuta dall’Adunanza Plenaria applicabile a tutti i pubblici appalti e alle concessioni in cui è parte una pubblica amministrazione(così Cons. St., Adunanza Plenaria, 7 maggio 2013, n. 13 [3]).

Lascia sinceramente perplessi la motivazione sviluppata dal Collegio, soprattutto nella parte in cui paragona il citato seggio tecnico – preordinato ex lege alla valutazione delle offerte avanzate nell’ambito di procedure di gara – a organi aventi finalità e prerogative del tutto distinte, quali i collegi giudicanti, ovvero ancora gli organi politici o amministrativi.

Peraltro, la stessa ratio sottesa al disposto dell’art. 84, c. 2 del d.lgs n. 163/2006 è stata a più riprese chiarita dalla giurisprudenza amministrativa, che ha avuto modo di affermare che «le commissioni giudicatrici delle gare indette per l’aggiudicazione di appalti con la Pubblica Amministrazione devono essere necessariamente composte da un numero dispari di membri, onde assicurare la funzionalità del principio maggioritario, con la conseguenza che è illegittima, con effetti vizianti dell’intero procedimento, la commissione che opera con la partecipazione di un numero pari di membri» (così, ex plurimis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 28 gennaio 2012, n. 933 [4]), risultando infatti assai frequente il caso in cui, nell’ambito di una procedura di valutazione delle diverse offerte tecniche avanzate in sede di gara, ci sia trovati in presenza di posizioni discordanti assunte dai diversi commissari; in altre parole, la necessità della composizione in numero dispari dei commissari è volta ad evitare l’insorgenza di situazioni di “stallo” dell’operatività dei seggi tecnici (che si potrebbero verificare, ad esempio, in caso di numero pari di componenti, qualora la metà dei commissari propenda per un’offerta e l’altra metà ne preferisca un’altra), che potrebbero di fatto impedire il regolare e celere funzionamento delle commissioni giudicatrici, il tutto con grave compressione dell’interesse pubblico e con il fondato rischio di contestazioni formulate nella fase post affidamento da parte del concorrente eventualmente non risultato aggiudicatario dell’appalto.