IN POCHE PAROLE…

Nelle gare di appalto per l’aggiudicazione di contratti pubblici i requisiti generali e speciali devono essere posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata del ciclo di vita del contratto, ivi compresa la fase dell’esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità.

Le cause escludenti previste dalla legge (ivi inclusa quella di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016) possono essere dunque fatte valere in linea di principio (anche) in fase di esecuzione, né rileva di suo il solo tempo intercorso tra l’aggiudicazione e inizio di esecuzione e la sopraggiunta causa escludente, tale da inficiare comunque – a rapporto contrattuale ancora pendente, e in via sopravvenuta – il possesso continuativo dei requisiti.»

Per consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato è sufficiente – ai fini del rispetto dell’obbligo di contraddittorio procedimentale – che le osservazioni procedimentali formulate dall’interessato siano prese in considerazione (e, dunque, richiamate) nel provvedimento finale, non occorrendo un’analitica e puntuale confutazione, da parte dell’amministrazione, di tutti gli argomenti proposti dallo stesso…»

Non  rileva, in diverso senso, l’esatto adempimento degli obblighi dichiarativi in sede di gara da parte dell’esecutore, atteso che altra è (i.e., il sopraggiunto venir meno del requisito generale di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, peraltro per vicenda inerente proprio alla procedura per l’affidamento qui in rilievo) la causa escludente nella specie fatta valere dalla stazione appaltante.


Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 4417 del 22.05.2025Pres. D. Sabatino, Est. A. Urso


Il fatto

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 4417 del 2025, affronta il delicato tema dell’applicabilità delle cause di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016 anche nella fase esecutiva del contratto pubblico. La pronuncia conferma l’orientamento consolidato secondo cui i requisiti generali di partecipazione devono sussistere ininterrottamente per tutta la durata del rapporto contrattuale. In particolare, è ritenuta legittima la risoluzione dell’appalto disposta da una stazione appaltante in presenza di una misura interdittiva a carico del legale rappresentante di una società socia dell’aggiudicataria, laddove tale fatto incida sull’affidabilità dell’operatore. Il Collegio ribadisce che la discrezionalità amministrativa in materia di affidabilità deve essere esercitata in modo motivato e proporzionato, senza necessità di un’analitica confutazione delle osservazioni procedimentali.

La sentenza si configura come un punto fermo in tema di tutela della legalità sostanziale e affidabilità contrattuale nella fase post-aggiudicazione.

La sentenza

La controversia origina dalla risoluzione di un contratto pubblico per lavori di riqualificazione urbana, stipulato tra un  Comune e la società appellante, a causa dell’accertata interdizione a contrarre con la PA inflitta al legale rappresentante di una società socia dell’aggiudicataria. Tale elemento, secondo l’amministrazione, configurava un grave illecito professionale, rilevante ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016 , e come tale idoneo a fondare la risoluzione del contratto ex art. 108 del medesimo decreto. L’appellante, tuttavia, contestava la riconducibilità del divieto a un soggetto estraneo alla propria struttura decisionale e il fatto che la causa escludente fosse emersa dopo l’aggiudicazione e durante l’esecuzione, quando già era stato eseguito circa il 20% dei lavori.

Il cuore motivazionale della sentenza si fonda sull’applicazione del principio della continuità del possesso dei requisiti, richiamato nella sua formulazione classica dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 8/2015: “I requisiti devono essere posseduti non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione delle offerte, ma anche in ogni fase successiva della procedura di gara e per tutta la durata dell’esecuzione contrattuale.” L’Adunanza Plenaria chiarisce che tale principio non è derogato dall’art. 108, il quale disciplina le cause di risoluzione contrattuale tipizzate, poiché la perdita sopravvenuta dei requisiti costituisce di per sé causa autonoma di scioglimento del contratto.

In questo quadro, l’interdizione del legale rappresentante di una società socia dell’appaltatore è stata ritenuta idonea a incidere sull’affidabilità complessiva dell’operatore economico, anche tenendo conto della natura della relazione societaria e dei rapporti parentali coinvolti. Il Collegio riconosce dunque la piena legittimità della valutazione discrezionale della stazione appaltante, che ha ravvisato nella vicenda un elemento sostanziale di inaffidabilità, fondato su presupposti fattuali pertinenti e non irragionevolmente motivato.

Rilevanza della “white list” e differenziazione tra le cause di esclusione

L’appellante aveva evidenziato la propria iscrizione nella “white list” prefettizia, sostenendo che ciò escludesse di per sé la configurabilità di una causa escludente. Il Giudice di appello, tuttavia, rigetta la doglianza, puntualizzando che: l’iscrizione nella “white list” riguarda cause escludenti ex art. 80, comma 2, ovvero infiltrazioni mafiose; nel caso di specie, l’amministrazione ha fatto valere una causa di esclusione distinta, ovvero l’illecito professionale di cui alla lett. c), comma 5, dello stesso articolo.

Questa precisazione assume rilievo sistematico, in quanto ribadisce la distinzione tra le diverse tipologie di cause escludenti, ciascuna delle quali impone una valutazione autonoma, non suscettibile di neutralizzazione per effetto dell’assolvimento di obblighi connessi ad altre fattispecie.

La sentenza affronta anche il profilo procedimentale, rilevando che la stazione appaltante ha correttamente dato corso al contraddittorio mediante due comunicazioni di avvio del procedimento e che le osservazioni presentate dalla società sono state valutate e menzionate nel provvedimento finale. Secondo la giurisprudenza consolidata (sentenza n. 5868/2015 del Consiglio di Stato – Sez. V), l’amministrazione non è tenuta a confutare analiticamente ogni rilievo difensivo, purché dia atto di aver considerato l’apporto partecipativo del privato. È quindi conforme a diritto l’assenza di un ulteriore “preavviso di rigetto” ai sensi dell’art. 10-bis l. 241/1990, in presenza di un procedimento correttamente avviato e concluso.

La sentenza n. 4417/2025 rappresenta un punto di riferimento nella riflessione sull’evoluzione del principio di legalità nei contratti pubblici, specialmente nella fase di esecuzione. Nel nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), si fa strada il principio del risultato (art. 1), che valorizza l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa. Tuttavia, questa pronuncia ci ricorda che l’interesse pubblico al risultato non può prevalere automaticamente sulla legalità sostanziale, intesa come presenza effettiva e continuativa dei requisiti morali e professionali dell’operatore. Il Consiglio di Stato riafferma che la discrezionalità dell’amministrazione nella valutazione dell’affidabilità non è arbitraria, ma ancorata a fatti oggettivamente idonei a compromettere il rapporto fiduciario tra stazione appaltante e appaltatore. Anche la sopravvenienza di un evento “non tipico” (es. misura interdittiva a carico del legale rappresentante di una società socia) può integrare la fattispecie di grave illecito professionale, purché ben motivata.

Conclusioni

La sentenza in commento si distingue per il suo approccio rigoroso ma equilibrato, che: conferma il principio di continuità dei requisiti anche nella fase esecutiva del contratto; ammette che le cause escludenti possono operare anche dopo l’aggiudicazione, qualora incidano sull’affidabilità sostanziale dell’operatore; chiarisce i limiti del controllo giurisdizionale sull’esercizio della discrezionalità amministrativa; esclude la portata assorbente di elementi formali, come l’iscrizione alla white list, rispetto a cause escludenti di natura diversa.

In un contesto normativo in trasformazione, la decisione si inserisce nella linea di continuità della giurisprudenza amministrativa, ribadendo che la salvaguardia della fiducia pubblica e della legalità sostanziale deve prevalere sull’interesse meramente esecutivo del contratto. La sentenza è dunque da considerarsi un precedente rilevante per le stazioni appaltanti, che legittima interventi risolutori anche nella fase esecutiva in presenza di elementi concreti di inaffidabilità, purché adeguatamente istruiti e motivati.

Dott. Riccardo Renzi


Stampa articolo